Grosseto, 22 luglio 2024 – La cultura è una catena di anelli forgiati solidamente tra loro: in caso se ne apra uno la catena delle informazioni si spezza e si deve ricominciare da capo, con pazienza, a ribadirne di nuovi.
Esempio perfetto anche per la mascalcia dove la forgiatura non è solo una poetica similitudine e a ribadire il concetto è la storia stessa del Cavaliere Prisco Martucci.
Ora libero pensionato, ma sino al 2018 istruttore della Scuola di Mascalcia del Centro Militare Veterinario di Grosseto.
Dove, dopo il trasferimento da Pinerolo del 1996, si è continuato a tramandare il metodo di ferratura secondo la scuola italiana.
E di cui il Maresciallo Vincenzo Blasio (istruttore sino all’ultimo anno di Pinerolo) ha consegnato il testimone proprio a Martucci, suo aiutante ed erede, quando la scuola si è trasferita a Grosseto.
Prisco Martucci a dire la verità non aveva mai pensato di fare il maniscalco. “Evidentemente era destino perché mi ero arruolato come meccanico di mezzi corazzati”, ci racconta Martucci.
Che continua: “Ma non c’erano più posti nelle altre specialità, e allora mi hanno mandato al corso da maniscalco. Non sapevo niente, né di cavalli né di di ferri. Ma sono nato in provincia di Caserta, a due chilometri dal paese di Blasio: chissà, magari hanno pensato che saremmo andati d’accordo venendo dalle stesse parti”.
Di che anni parliamo?
“Mi sono arruolato a 16 anni e sono arrivato a Pinerolo nel 1975: sono stato più fortunato di tanti miei colleghi, perché in quegli anni c’erano ancora i reparti di artiglieria da montagna someggiati e molti sono finiti a ferrare muli in qualche paesino dove non c’era altro che la caserma. Quando sono arrivato io invece c’era richiesta di sottufficiali maniscalchi per il Reggimento Carabinieri a cavallo di Roma (a quei tempi ancora parte dell’Esercito), per l’Accademia Militare di Modena e la Scuola d’Applicazione d’Arma a Torino: e a Roma hanno mandato me”.
Chi sono stati i suoi maestri?
“A Pinerolo è stato il Maresciallo Paolo Muratore, ma a Roma c’era anche Salvatore Germano. Che si era ormai congedato ma era il maniscalco ufficiale della Federazione: uomini che avevano fatto la Guerra d’Africa, di Libia e poi il conflitto mondiale. Con Germano ho lavorato due anni: a Montelibretti a quei tempi c’erano ancora il Maresciallo Dino Costantini e tantissimi altri cavalieri che si preparavano ai Pratoni per il Completo. Essere lì voleva dire conoscere tanti professionisti, lavorare con loro e soprattutto conoscere tanti cavalli. Il comandante del Gruppo Squadroni dei Carabinieri a cavallo era Raimondo D’Inzeo, quella era veramente una generazione di cavalieri. Ho servito il reggimento a cavallo presso il centro ippico dal ‘78 all’80: poi ho chiesto di tornare a Pinerolo. A me piace fare il maniscalco, non l’operatore di mascalcia».
Qual’è la differenza?
“Il maniscalco è una figura professionale completa: vede il cavallo e ne riconosce eventuali difetti dei piedi, foggia il ferro e lo applica e osserva se il cavallo va bene o peggiora. Una cosa molto diversa da quegli ‘appiccicaferri’ che invece di ragionare seguono le indicazioni del proprietario del cavallo e del gestore del centro ippico e applicano un ferro fabbricato in serie. La mascalcia faceva parte della arti sanitarie veterinarie: per questo c’era un iter formativo severo. Ora che non c’è più nemmeno Grosseto, tanti nuovi maniscalchi sono privi di una formazione di base corretta e completa. Bene che vada ora seguono stage qua e là per mettere insieme un puzzle di informazioni. Ma non è così che si diventa maniscalchi”.
Come si diventa veramente maniscalchi?
“Frequentando una scuola di formazione di base, dove si parta dagli elementi fondamentali di podologia per arrivare a capire cos’è e come funziona il piede di un cavallo, quali tipologie di ferri esistono, come si realizzano e come si applicano. Non è facile, occorrono tempo e pratica. Ti deve piacere il cavallo, devi conoscerlo e sapere come si muove e cosa dovrà fare con quei ferri. E ti deve piacere anche forgiare per realizzarlo con incudine e martello. E’ una responsabilità: a volte non dormivo la notte pensando a come avevo messo un chiodo, a come sarebbe andato un certo cavallo».
Una combinazione di talenti e inclinazioni non facile da trovare in una sola persona.
Deve essere per questo quando si trova un maniscalco che sa fare davvero il suo lavoro si rimane lì, un po’ incantati, a guardarlo lavorare: come si fa con ogni artista.
Vincenzo Blasio
Nato nel 1942 a Santa Maria Capua Vetere è l’ultimo di una stirpe di maniscalchi: la sua era la settima generazione. A insegnargli il mestiere fu lo zio, perché come ci ha detto Martucci ‘a quell’epoca si preferiva mandare i figli a imparare il mestiere fuori casa’. Il giovane Vincenzo Blasio arrivò nell’Esercito già con un patrimonio di esperienza pratica alle spalle. E soprattutto con le idee ben chiare su quello che voleva diventare: un istruttore maniscalco di Pinerolo. In una bella intervista di Amalia Pagliaro Blasio racconta che aveva sentito parlare di Pinerolo da suo padre ben prima di essere consapevole del fatto che esistesse una città come Roma. Il suo obiettivo era arrivare lì, ed esserne protagonista. Riuscendoci alla perfezione: primo del suo corso nel 1960, per anni Blasio è stato il front-man della scuola di mascalcia, oltre che apprezzatissimo istruttore e relatore. Negli anni 1987/88 è stato anche una firma di Cavallo Magazine: rispondeva ai quesiti dei lettori nella rubrica ‘Posta del Maniscalco’. Da Pagliaro rubiamo una citazione ricorrente del Maresciallo Blasio, ‘Ferro, martello, cavallo e cervello’: i quattro elementi indispensabili al buon maniscalco.
Salvatore Germano
Ricordiamo il maresciallo Salvatore Germano con una particolare reverenza: abruzzese di Chieti, dove era nato nel 1914, fece la guerra in Africa Orientale come maniscalco. Ma all’occorrenza caricava con il suo squadrone anche se non era tenuto a farlo. Rimase nell’Esercito anche una volta scoppiata la pace, e diventò celebre per la sua capacità speciale di trattare qualsiasi cavallo, anche il più difficile. Era il maniscalco di fiducia di Raimondo D’Inzeo, che lo chiamava ‘l’insostituibile maniscalco’.