Bologna, 10 novembre 2020 – Sembrano fatti di emozioni: eleganza, leggerezza, orgoglio e forza.
La materia con cui sono costruiti pare non avere nessuna importanza, è lo spirito che li anima a renderli unici, i cavalli per eccellenza: sono i Purosangue Arabo o per meglio dire El Asil, i Puri nella lingua dei Beduini.
Estremamente resistenti e frugali, così preziosi geneticamente da essere miglioratori (o fondatori, tout-court) per la maggior parte delle razze equine esistenti: Arabi e Berberi sono i padri del Purosangue Inglese, tutte le razze da sella o attacchi europee e americane sono state scaldate dal loro sangue – dal Quarter all’Hannover, dal Lipizzano all’Haflinger per non parlare dell’Orientale Siciliano e dell’Anglo-Arabo, arrivando fino al Percheron.
Conservano tutta la loro impronta esotica nonostante galoppino da secoli anche dentro la nostra storia: già nel Rinascimento Giovanni dalla Bande Nere ne riconosceva l’importanza come cavalli da impiegare in guerra rivoluzionando l’uso che fino a quel tempo si era fatto della cavalleria e il regalo più ambito dai potenti, la preda di guerra più preziosa era sempre un nobile stallone di provenienza orientale.
Quel posto che era stato riservato loro in Europa come eleganti soggetti da maneggio lo hanno usato per far vedere l’acciaio di cui sono fatti: dopo la durissima Campagna di Russia, tra i cavalli degli ufficiali di Stato Maggiore di Napoleone solo gli Arabi erano sopravvissuti alle privazioni e ai rigori della terribile ritirata e ai nostri giorni, nelle più massacranti gare di Endurance, non c’è altro soggetto che possa contendere loro le vittorie più prestigiose.
Ma da dove vengono questi cavalli eccezionali, chi li ha fatti diventare quello che sono?
Sono nati dai deserti della penisola arabica grazie ai Beduini.
E’ lì, sulle sabbie e le pietre tra il Mar Rosso e l’Eufrate che, nel secondo secolo dopo Cristo, i nomadi del deserto cominciarono veramente ad allevare cavalli e ad importarne alcuni dall’Egitto, dalla Cappadocia, dalla Siria, dalla Palestina.
Il tutto in un ambiente ostile, arido e poverissimo.
Fino a quel momento si erano serviti soltanto di asini e cammelli, e ci vollero ancora duecento anni prima che i loro cavalli fossero sufficientemente numerosi da poterli almeno in parte sostituire. I cavalli importati dai Beduini erano animali di lusso che provenivano da paesi ricchi, dotati di scuderie raffinate: servirono generazioni intere, decimate da una selezione naturale durissima e dalle prestazioni quasi feroci richieste dalla vita nomade per arrivare a lui, il Puro.
Il sesto secolo vide non solo un rapido sviluppo del loro allevamento ma anche la nascita di Maometto, il Profeta, nel 570 d.C. Mohammed era della tribù dei Quraysh, un guidatore di carovane coraggioso e intelligente che si era guadagnato un’ottima posizione.
Ma amava meditare in solitudine sul monte Hira, e una notte gli apparve l’Arcangelo Gabriele: gli disse che lui era il prescelto da Dio, e Maometto cominciò a predicare l’Islam, il dovere dell’uomo di accettare la volontà di Allah, unico e solo Dio.
Fare cose del genere in un mondo di animisti e politeisti può creare problemi: parte della sua famiglia fu sterminata, Maometto costretto a fuggire. Era il 20 settembre del 622: il calendario islamico parte da questa data, il giorno della «Hegira». Si rifugiò a Jatrib, tra i Beduini e li trovò pronti ad accogliere Allah.
E scoprì i loro cavalli: resistenti, veloci, indispensabili per razziare al volo e scomparire nel deserto.
Divenne abile nell’assaltare le carovane tanto quanto lo era stato nel guidarle, e furono proprio i settanta cavalli di cui disponeva che nel 624 gli permisero di fare un colpo ricchissimo, assaltando la carovana di Abu Sufyan.
I successi continuarono costanti, e l’Islam conquistò la Siria, la Persia, l’Egitto poi Tripoli, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Spagna: l’Islam era stato capace di unire popoli diversi e conquistare sempre nuove terre, grazie ai preziosi cavalli dei Beduini.
Maometto era perfettamente cosciente della loro importanza, e li amava: si rallegrava sentendo i loro nitriti, legò a precetti religiosi le norme che ne miglioravano l’allevamento.
Ma non dimenticò di incentivare anche in modo più pratico la loro diffusione: chi andava in battaglia con un Asil riceveva il doppio di bottino rispetto a chi montava un cavallo kadish, impuro.
La purezza delle origini era ed è alla base della selezione: un Arabo è Asil solo se figlio di uno stallone Asil e di una fattrice Asil, non vengono accettati come riproduttori soggetti su cui esista un dubbio di origine per quanto belli siano morfologicamente.
In Arabia, tra i Beduini le fattrici vengono coperte solo davanti a testimoni che assistono anche alla nascita del puledro per garantire la sua discendenza da fattrice pura.
Questa mania per la purezza genealogica ha ragioni pratiche: la mortalità spaventosamente alta dei puledri (alla fine XX secolo era ancora del 50%) e la scarsità di cibo ed acqua a disposizione rendevano indispensabile ottimizzarne l’investimento, pena la morte per sete e inedia non solo dei cavalli ma dell’intera tribù.
Ci si poteva permettere il lusso di far riprodurre solo le linee di sangue che avevano già dimostrato la loro resistenza, ogni soggetto arrivato da altrove inserito in razza avrebbe portato una dose massiccia di variabili genetiche sconosciute, non depurate dalla selezione ambientale e aumentato quindi la mortalità dei puledri.
L’altro cardine dell’evoluzione degli Arabi è stato il livello delle prestazioni: i cavalli nel deserto dovevano non solo sopravvivere ma anche galoppare come il vento e a lungo, quando serviva.
Indispensabili nelle guerre, arma preziosa da non lasciar cadere in mano ai nemici (era punito con la morte chi vendeva un Asil ai cristiani, gli avversari, che avrebbero potuto servirsene contro i musulmani) erano anche il compagno migliore del Beduino durante le razzie, che non servivano solo ad aumentare la sua ricchezza ma anche l’onore personale per mezzo di azioni coraggiose e temerarie.
Gli Asil sono stati cresciuti per secoli nelle tende con la famiglia del padrone, abituati al contatto con l’uomo dal primo giorno di vita e quindi fiduciosi, disponibili e generosi: l’addestramento era dolcemente graduale, ogni richiesta troppo precoce o pesante era dovuta soltanto alle esigenze crudeli che la vita nel deserto poteva imporre, pena la vita, a tutta la tribù: uomini e cavalli condividevano le stesse asprezze e lo stesso destino.
Chi lo direbbe guardando queste creature meravigliosamente eleganti che sono il prodotto della fatica più cruda, dell’ambiente più ostile?
Da noi una gran parte degli Arabi viene riservata agli show di morfologia: un controsenso guardando alla storia della razza, che non ha mai considerato la bellezza del modello un criterio di selezione.
Ma ci sono anche gli altri Arabi, quelli dell’Endurance dove nessuno è loro pari per resistenza e capacità di recupero. Prove funzionali da veri Asil: e a volte i migliori ritrovano la strada del deserto, vengono comprati da qualche Emiro e tornano in Arabia.
Gare di fondo al posto di una battaglia, acquisti spettacolari a suon di petrodollari invece di razzie nel deserto: e tutto per avere il migliore, il più forte, il più puro, capace di volare senza ali e portare sulla sua groppa quel poco di Paradiso che possiamo avere sulla terra.
Il poeta ha detto.
Non esiste un solo tipo di Arabo puro, ed è riduttivo riassumerli in una scheda morfologica comune: altezza al garrese da 1,42 m. a 1,55 m. circa, stinco dai 17 ai 20 cm., sono ammessi tutti i mantelli semplici, arti asciutti e resistentissimi, schiena corta e robusta, hanno generalmente una vertebra in meno e sempre un giro di cinghie decisamente superiore agli altri cavalli…ma è come ridurre una poesia alla mera analisi logica, e difatti in molti testi d’epoca prima di una definizione della loro morfologia si legge “Il poeta ha detto”. E davvero, per rendere tanta distinzione ed eleganza, non si può fare altro che ricorrere alla poesia.
Per avere comunque un canone di riferimento, leggiamo cosa scrisse l’Emiro Abd-el-Kader: “Se un cavallo riesce a bere da una pozzanghera rimanendo con gli arti piazzati in posizione normale, si può essere sicuri che è costruito perfettamente e che le parti del suo corpo sono tutte armoniche fra di loro”.
Sono inoltre estremamente longevi, e fertili fino a tarda età.
Cinque famiglie per cinque cavalle
Al Khamsa, Le Cinque: sono le famiglie principali degli Arabi, che la leggenda riconduce ad ognuna delle fattrici che risposero al richiamo del Profeta. Si racconta che Maometto avesse un centinaio di fattrici in un recinto, vicino al quale scorreva un ruscello. Le cavalle erano senz’acqua da giorni e quando il Profeta fece aprire i cancelli si precipitarono verso l’acqua, assetate. Maometto fece suonare l’adunata dal suo trombettiere: 5 cavalle si staccarono subito dal branco senza neppure bere, e nitrendo gagliarde arrivarono al galoppo dal loro padrone. Benedicendole, il Profeta le battezzò una ad una: Abayah, Kuhaylah, Saqlawyah, Hamdanyah e Hadbah. .
Un ben preciso tipo di Arabo è associato ad ognuna delle più diffuse famiglie:
Kuhaylan: mascolino, eccezionalmente resistente, costato molto pronunciato e dorso corto: il più potente.
Saqlawi: elegante, dalla bellezza dolce, molto sottile, incollatura elegantissima, porta testa e coda molto alti, groppa piatta: il più bello.
Abayyan: simile al Saqlawi, coda ancora portata più alta, dorso lungo, groppa obliqua, il profilo della testa decisamente concavo: il più veloce.
Hamdani: testa larga, profilo dritto, orecchie molto corte, tratti meno scavati, torace molto ampio, posteriore a uovo: il più resistente.
Dahman: molto classico, somiglia al Saqlawi. Testa a forma di cuneo, occhi molto grandi.
Mu’niqi: il meno apparentemente Arabo di tutti, profilo dritto, ma estremamente veloce, lungo, sottile, groppa obliqua ed angolata.
Arabi quanto?
Molti paesi hanno importato Arabi più o meno puri nei secoli passati, e sia per le diverse condizioni climatiche e alimentari che per precisi gusti allevatoriali hanno creato un tipo di Arabo “personalizzato”, come la Polonia ad esempio. Ma il criterio della purezza non è stato rispettato, al di fuori degli Emirati, con la stessa islamica precisione: spesso sono stati messi in razza soggetti che avevano una percentuale di sangue non puro, o addirittura di origini sconosciute. Ogni Paese nel quale vengono allevati cavalli arabi tiene il proprio Libro Genealogico, approvato dall’Associazione Mondiale per il Cavallo Arabo, W.a.h.o.
Qui un nostro articolo sull’allevamento in cui abbiamo fotografato il cavallo che vedete nell’immagine a corredo di questo articolo