Viterbo, 31 marzo 2023 – Dicono che la famiglia ti capita, e gli amici te li scegli.
I Lenarda padre e figlio Alessandro e Nicolò, veneziani di sangue, hanno scelto anche la loro patria di elezione: le colline di tufo attorno a Blera, dove la storia degli etruschi traversa ancora la strada a chi ha voglia di perdersi tra macchia e tagliate.
E dove la monta da lavoro tradizionale è ancora viva, e bardelle e uncini sono arnesi del mestiere d’allevare o dell’amore di una vita.
Nicolò è nato qui, ma soprattutto ci è cresciuto: allevato dentro l’attenzione per una cultura equestre che ha corso il rischio di scomparire, e che gente troppo frettolosa definisce ‘dura’, intransigente, cattiva.
Invece la monta tradizionale maremmana, come ci ha già cominciato a far capire anche Lisa Mabilia tra gli altri, conosce sapienze che le più conosciute scuole etologiche stanno diffondendo adesso.
Perché i cavalli insegnano le stesse cose a tutti quelli che li frequentano prestando loro la dovuta attenzione.
Ma quando eri un cavalcante nelle Maremme amare d’un tempo e il padrone ti chiedeva di non sprecare tempo, che il tempo è denaro, e di preparare un puledro di tre anni appena sbrancato in tre giorni lo facevi: ma forzavi la mano sia a te che al cavallo.
L’alternativa erano il licenziamento per te e la fame per la tua famiglia.
Per questo la doma etologica di oggi è definita ‘dolce’ e la vecchia maniera maremmana invece ‘cattiva’: una questione di tempistica.
Ma torniamo a Nicolò, che questa vicinanza di due mondi apparentemente tanto diversi la sta sperimentando insieme a Lisa Mabilia e ai suoi asini.
Cosa state combinando, laggiù a Blera?
“Ho aperto il mio centro, la Scuola di monta Maremmana Il Cavalcante: abbiamo alcuni cavalli da scuola, due in doma e ovviamente gli asini, uno mio e gli altri di Lisa. Insegno a chi viene da noi quello che hanno insegnato a me”.
Una volta mi sembra che non fosse così facile mettere insieme le vostre visioni equestri…
“Macchè, ci scannavamo: io morso e speroni e maniscalco, lei carrot stick e Parelli e barefoot. Proprio all’opposto, e ognuno col suo paraocchi. Ma abbiamo comunque continuato a sentirci per via di asini e cavalli, scambiarci esperienze. Tutti e due un po’ perplessi da quello che faceva l’altro ma allo stesso tempo incuriositi: soprattutto dai risultati ottenuti ‘dall’altra parte'”.
E poi che è successo?
“Che lei una volta è venuta qui a Blera, ha visto come lavoravo i miei due cavalli giovani interi, quelli della scuola, li ha montati e ha osservato con attenzione tutto: imboccature, capezzoni, come vanno usati. Addirittura si è lasciata mettere gli speroni, quelli appena zigrinati da tacco, leggerissimi: e si è accorta che si possono usare senza forare nessuno. Quella volta siamo stati fuori tutto il giorno a cavallo: è rimasta colpita dal fatto che fossero così sereni, tranquilli, collaborativi. E che alla sera, una volta smontata, si è accorta di non essere per nulla stanca: lì ha capito che la monta da lavoro ha la sua ragione d’essere ben precisa”.
E il cavalcante Nicolò Lenarda invece come è cambiato, scambiando chiacchiere con Lisa dell’Asino Felice?
“Mi sono addolcito, soprattutto nel lavoro a terra ho acquisito più tecnica, qualche percezione in più dello sguardo e del movimento del cavallo”.
Sempre innamorato dei cavalli Tolfetani?
“Mi piacciono e ho avuto anche i Maremmani, ma i Tolfetani li preferisco, mi trovo meglio con loro. Li trovo molto giusti come statura, poi sono estremamente frugali e hanno una grande capacità di apprendimento”.
Lisa però ha il suo centro ben avviato a Torino: come conciliate le vostre attività?
“In inverno lei sta su a Villareggia e io qui a Vetralla, dove poi a maggio mi raggiunge: con gli asini ovviamente, un Pantesco, un Romagnolo e probabilmente un altro Amiatino. Poi il prossimo inverno salirò io da lei. La cosa che in fondo ci unisce tanto è che nella vita abbiamo voluto fare esattamente le stesse scelte: studiamo, addestriamo, insegniamo, ci piace passare la giornata con i nostri animali. Le differenze sono minime, in fondo: e per nulla insormontabili”.
Ecco, questa è la storia di Nicolò e Lisa, il diavolo e l’acqua santa: perché la condizione esistenziale che piace a noi è quella della comunicabilità, con buona pace di Michelangelo Antonioni.
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