Padova, 6 febbraio 2018
Un leggero bussare alla porta.
«Sì, avanti».
Entrò Cristina, bella come sempre, discreta come sempre, lieve come sempre: «Dottore, è arrivato il paziente delle quattro e mezza».
«Grazie Cristina, vengo subito».
Il dottor Righelli ovviamente sapeva che erano le quattro e mezza e altrettanto ovviamente sapeva che alle quattro e mezza sarebbe arrivato il paziente delle quattro e mezza. Però non ne aveva proprio voglia. Non che non avesse voglia di curare il suo cliente, ci mancherebbe… del resto lui era ormai rinomato in tutta Italia proprio per la straordinaria capacità di stabilire un rapporto umano del tutto particolare con i pazienti, oltre che per essere tecnicamente un numero uno assoluto. E per questo riceveva persone che arrivavano nel suo studio dopo essersi fatte perfino centinaia di chilometri di viaggio… No, il dottor Righelli semplicemente non aveva più voglia di essere inscatolato. Programmato. Scadenzato. Preordinato. Di questo non aveva più voglia. Ma perché? Cosa non andava nella sua vita? Ogni tanto se lo chiedeva… Aveva 58 anni. Nella sua professione era universalmente riconosciuto come il migliore. Guadagnava molti soldi. Aveva una moglie bella, intelligente e ricca di fascino. Aveva tre figli grandi, simpatici, bravi e sanissimi. Aveva una casa in centro ampia ed elegante, una casa al mare in Sardegna e una casa in montagna a Cortina. Eppure…
Eppure qualcosa non andava. Cercare di capire cosa non andasse nella sua vita era per il dottor Righelli più complicato del cercare di capire quale fosse il problema di salute del paziente che di volta in volta si trovava davanti. Perché per i suoi clienti riusciva sempre a produrre una diagnosi esatta e una cura che risultava sempre efficacissima, e invece per sé stesso e per il suo disagio brancolava nel buio senza trovare mai la giusta direzione lungo la quale disporre la propria esistenza? Il dottor Righelli non lo sapeva. E così rimaneva ogni volta quasi sorpreso nello scoprire che nei momenti in cui quel disagio si faceva sentire più forte il modo migliore per esorcizzarlo era di riandare con la memoria a quel giorno, quel giorno di… mah, chissà quanti anni fa, quel giorno in cui… Strano, perché da quel giorno in poi di cose ne erano successe, e anche di molto più importanti, anzi determinanti, fondamentali, cose che si erano stratificate e sovrapposte e accumulate l’una sull’altra fino a creare lo spessore di una vita intera. Eppure quel giorno rimaneva vivido e presente nella sua memoria, nei suoi sentimenti e perfino nel suo corpo come se fosse stato il più importante giorno della sua vita, ma soprattutto come se fosse stato ieri.
Quel giorno era il giorno della finale del campionato sociale, per i ragazzini della scuola un evento paragonabile alle Olimpiadi o al Campionato del Mondo. I genitori stipati in tribuna dietro le lastre di cristallo. Il maneggio illuminato a giorno. L’atmosfera di grande trepidazione e di grande attesa e di grandi sogni e di grandi paure. Lui che entra in sella alla vecchia e brava Tania. Il suo maestro al centro del maneggio che lo guarda con attenzione. Lui che si presenta davanti alla giuria e dice «Leonardo Righelli su Tania» con la vocina che gli si strozza dall’emozione, bambino chiuso dentro un corpicino ancora più piccolo della sua età. Lui che prende il galoppo con la sensazione di non aver mai iniziato un percorso in vita sua prima. Lui che salta il primo ostacolo. Lui che dirige Tania verso il secondo ostacolo, ma Tania pur brava e paziente e saggia è una cavalla lunga e legnosa, con il collo che finisce laggiù in una bocca ormai poco sensibile e figuriamoci poi per le mani di un bambinetto… Tania è come una barca a vela troppo grande dentro un porto troppo piccolo… Tania nemmeno capisce che deve andare verso quell’ostacolo, poi quando lo capisce è troppo tardi e allora si scosta di lato, una leggera deviazione di traiettoria per evitare quella cosa che le si para davanti senza che lei quasi se ne sia resa conto, e lui, il piccolo Leonardo, semplicemente vola via, non si ritrova più cavallo sotto di sé, il vuoto davanti e il vuoto sotto, povero piccolo bambino… L’imprevedibile distacco del suo corpo da quello del cavallo e quell’attimo di sospensione durante il quale non si è né in sella né per terra, attimo istantaneo eppure sufficientemente lungo per domandarsi cosa stia succedendo e come si arriverà alla fine. Poi il contatto con la segatura e la pula e la sabbia del terreno, un contatto sparso su tutto il corpo, sulle mani, sul collo, sui vestiti, perfino un po’ in bocca e dentro un occhio. E poi le lacrime, nonostante l’assenza di dolore e di qualunque sgradevole sensazione fisica.
Quelle lacrime. Ecco: quelle lacrime. Quelle lacrime, proprio quelle lacrime di quel tempo ormai lontano il dottor Righelli sentiva dentro sé stesso, richiamava dentro sé stesso ogni volta che avvertiva il bisogno di allontanare quel plumbeo malessere che gli pesava dentro senza mai riuscire a capirne il motivo. Il dottor Righelli allora pensava a quelle lacrime, sentiva il loro scivolare sulle guance, sentiva il loro leggero sapore salato sulle labbra: e quelle lacrime lo facevano stare meglio, lo facevano sentire bene. Quelle lacrime.
Un leggero bussare alla porta: «Dottore, il paziente delle quattro e mezza… », disse di nuovo Cristina con delicatezza.
«Sì Cristina, ha ragione, prepari la sala cinque per cortesia, adesso arrivo», disse il dottor Righelli. E dopo un istante di immobilità si decise ad alzarsi dalla poltrona di pelle. Un po’ a fatica, a dire il vero, perché da qualche giorno aveva un fastidioso dolore alla schiena… Anni addietro lo avrebbe avvertito nello stesso modo, quel dolore? Chissà… Comunque il dottor Righelli si alzò dalla poltrona di pelle: e aprendo la porta del suo studio si avviò verso il paziente delle quattro e mezza sentendo sulle labbra quel leggero e meraviglioso e delicato sapore salato. Proprio quel sapore. «Sono qui», disse il dottor Righelli aprendo la porta della sala cinque.