Milano, 3 febbraio 2023 – Se ti capita di nascere con una mono-mania non ci sono santi che tengano e chi scrive queste righe – ma probabilmente anche chi le legge, visto il target della nostra testata – è nata con la fissa dei cavalli, dei muli, degli asini: insomma, degli equidi in genere.
Per cui passando davanti alla Fondazione Ca’ Granda dell’Ospedale Policlinico Maggiore a Milano, in via Francesco Sforza cosa potevo notare se non…un mulo?
L’Amato Bene fa parte di un’opera che così, sui due piedi, non sapevo attribuire né capire. Chiaramente moderna e realizzata in cemento armato è situata sul lato sinistro dell’entrata della fondazione, nel prato antistante la facciata.
Mi ha aiutato nell’impresa uno dei bravissimi volontari del Touring Club, Walter, che con altri colleghi accompagna i visitatori alla scoperta dei Tesori della Ca’ Granda.
“Ma non è un mulo” ha precisato con molto calore, “lei è la mula Elisabetta!!!”
E io lì, a bocca aperta, sconfinatamente ammirata del fatto che si conoscessero anche genere e nome proprio della modella.
“Ma procediamo con ordine” continua Walter, “partiamo dall’inizio. Questa è l’allegoria de ‘Il buon governo dell’istituzione ospedaliera’ di Angelo Biancini, del 1964. Il racconto è strutturato a quadri consecutivi: nel primo è rappresentata l’assistenza clinica ai malati, nel secondo la carità cristiana nel curarli e onorarne anche i corpi con il ricordo di San Carlo Borromeo. Poi la pace e il lavoro che sono la base della prosperità del buon governo dell’istituzione, nel quarto l’assistenza ai più deboli e agli invalidi. E nell’ultimo è ricordato Sant’Ambrogio nel giorno del suo ingresso a Milano”.
In effetti il santo è seduto sulla sua mula ed entrambi sono portati in trionfo da una folla festante.
Ma l’episodio è stato tramandato dai milanesi in un racconto molto simpatico: pare infatti che Ambrogio, nel 374, dopo la morte de vescovo Aussenzio volesse lasciare Milano e tornarsene in Germania dove era nato.
Fuggì sulla sua mula, Elisabetta per l’appunto, per sottrarsi all’elezione al seggio vescovile.
I milanesi lo volevano ‘vescovo subito’, ma lui proprio non ne voleva sapere. Era solo un funzionario statale, cristiano sì ma senza nessuna voglia di prendere i voti.
Però la fuga proprio non girava per il verso giusto: prima Ambrogio si perse, e cominciò inspiegabilmente a girare in tondo attorno a Milano.
Poi scelse una strada impossibile da smarrire, bella dritta e sgombra che portava verso Abbiategrasso: fece anche ferrare la mula al contrario per sviare i suoi inseguitori e lasciare tracce fuorvianti.
E sentendo arrivare i suoi ‘cari’ milanesi incitava la sua mula dicendole “Curr Betta, curr Betta!”.
Ma la Betta si vede che era milanese e d’accordo coi suoi concittadini, perché a un certo punto si piantò e i due vennero raggiunti dalla folla festante.
Che li portò per l’appunto in trionfo a Milano, dove Ambrogio si rassegnò a diventare vescovo – e che vescovo!
Da questo episodio prese nome anche la località che lo vide accadere: Corbetta, ovviamente.
Oltre la mula Betta, anche gli altri i Tesori della Ca’ Granda meritano assolutamente una visita: la Quadreria dei Benefattori ad esempio è un mondo di facce e di storie tutte da conoscere.
Ogni benefattore della fondazione ha diritto, da secoli, ad avere il suo ritratto nella collezione della Ca’ Granda.
E’ affascinante poterli conoscere uno per uno, non solo guardandoli in faccia ma anche leggendo le loro storie e molte volte i perché di questa loro scelta generosa.
Tra tutti ovviamente il nostro preferito è quello di Luigi Perelli Paradisi, morto nel 1888.
Fervente garibaldino, finanziò (anche) l’impresa dei Mille e nel testamento lasciò scritto che il ritratto per la Quadreria dei Benefattori fosse tratto da una sua fotografia in sella “ricordando così la passione del cavalcare“.
A Perelli Paradisi erano riconosciuti una grandissima competenza per quanto riguarda i cavalli, e un carattere molto affabile e spiritoso.
La scelta di Sebastiano De Albertis per dipingere il ritratto di Perelli Paradisi fu suggerita dall’esecutore Antonio Ricci Oddi e coincideva con i più vivi interessi dell’artista, vero specialista nei soggetti legati all’equitazione. La lettera d’incarico è del 5 dicembre 1888 e il ritratto, retribuito in ragione di 1500 lire, fu consegnato nel marzo 1889 e esposto in occasione della Festa del Perdono.
In buone condizioni di conservazione (1986), non si registrano nei documenti interventi di rilievo.
Al favore con cui il dipinto venne accolto l’artista faceva appello in uuna lettera del 24 novembre 1890 in cui chiedeva all’Ospedale qualche altro incarico per i ritratti in programma.
Il suo è l’unico ritratto equestre di tutta la raccolta. Ma vi possiamo assicurare che è ugualmente una delizia passare per le varie stanze dell’esposizione e conoscere una ad una tutte queste persone generose.
Se il loro intento era essere ricordati o ricordare un loro caro possiamo dire che sì, ci sono riusciti: la generosità ha sempre la sua ricompensa, anche in questo mondo.
Per una lettura meno equestre e più artistica della collezione: tra gli autori che dal 1602 hanno ricevuto l’incarico di eseguire i ritratti dei benefattori ci sono Salomon Adler, Giacomo Ceruti detto “Il Pitocchetto”, Anton Francesco Biondi, Francesco Hayez, Giuseppe Molteni. E Giuseppe Bertini, Domenico e Gerolamo Induno, Giovanni Segantini, Emilio Longoni, Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Francesco Casorati, Mario Sironi, Massimo Campigli, Carlo Carrà.
Dulcis in fundo: l’entrata è gratuita.