Bologna, martedì 25 agosto 2020 – Oggi ma sessant’anni fa si inauguravano le Olimpiadi di Roma. Le favolose Olimpiadi di Roma: l’annuncio all’universo intero che quindici anni dopo la fine di una guerra mondiale drammatica per tutto il mondo – ma catastrofica per un’Italia che usciva a pezzi fisicamente e moralmente dopo non solo il conflitto bellico ma anche il ventennio di dittatura fascista – il nostro Paese aveva ripreso definitivamente forza, vigore, e certamente anche splendore dopo gli anni dell’oscurantismo nero. Un’edizione memorabile dei Giochi Olimpici, sicuramente la più grandiosa tra quelle del dopoguerra: l’Italia diventa in quel momento il simbolo migliore dell’apertura, della fratellanza sportiva, della condivisione, il tutto proposto e distribuito su una serie di impianti all’avanguardia avendo come fulcro una città senza eguali al mondo. Cinquemila atleti, ottantaquattro nazioni, nomi destinati a entrare nella leggenda (non dello sport: della vita… ) come quelli di Abebe Bikila, Cassius Clay, Livio Berruti… Tra questi grandi campioni emergono poi come protagonisti di una storia meravigliosa Raimondo e Piero d’Inzeo: loro due, fratelli, romani, nati come cavalieri in quella scuola di equitazione fondata dal loro padre a pochi metri di distanza dallo Stadio Olimpico sui colli della Farnesina, loro due mercoledì 7 settembre salgono sul podio individuale nel tempio dello sport equestre italiano e mondiale – Piazza di Siena – per ricevere rispettivamente la medaglia d’oro e quella d’argento conquistate in sella a Posillipo e a The Rock nella gara di salto ostacoli… Insieme ad Antonio Oppes (con The Scholar) qualche giorno più tardi – domenica 11 settembre – i due fratelli dentro lo Stadio Olimpico strabordante di 100 mila spettatori conquistano la medaglia di bronzo a squadre. L’Olimpiade di Roma di per sé è un evento memorabile: per il mondo dello sport equestre è perfino qualcosa di più grazie ai due fratelli d’Italia.