Bologna, martedì 20 giugno 2023 – Stefano Carli non ha mai vinto una medaglia internazionale: anche perché non ha mai partecipato a un campionato internazionale. Ha preso parte a un buon numero di Coppe delle Nazioni a partire dal 1969 affrontandone di prestigiosissime come quelle di Roma e Aquisgrana, ma non ne ha mai vinta una. Ha ottenuto il primo posto in una infinità di Gran Premi, ma mai in un grande Gran Premio. Eppure…
Eppure Stefano Carli è uno dei più importanti cavalieri del salto ostacoli italiano. Senza alcun dubbio. Ed essendolo, rappresenta un caso probabilmente unico nel suo genere dal dopoguerra a oggi, avendo vissuto lo sport in un mondo di professionisti con l’atteggiamento del professionista, con l’attenzione del professionista e con i risultati del professionista: pur essendo un dilettante. Un vero dilettante. Durante tutti gli anni compresi tra la laurea (in economia e commercio) e i primi dei Duemila, infatti, Stefano Carli ha montato a cavallo – più cavalli – ogni giorno tra le 6 e le 7.30 del mattino: per poi andare in studio e dedicare tutta la giornata alla sua attività di commercialista. Sempre. Ogni giorno. Per decenni. Tranne i giorni vissuti in concorso, ugualmente sottratti alla professione.
E in concorso Stefano Carli ha affrontato avversari che dalla mattina alla sera non facevano altro che montare a cavallo, il cui unico pensiero era montare a cavallo, comprare cavalli, vendere cavalli, spostare cavalli, guardare cavalli, addestrare cavalli, insegnare a cavalli. E questi avversari si chiamavano Raimondo d’Inzeo, Graziano Mancinelli, Piero d’Inzeo, Vittorio Orlandi, Lalla Novo, Antonio Oppes, Stefano Angioni… eccetera eccetera, cioè il vertice massimo del salto ostacoli italiano. Lui era tra loro e molto spesso davanti a loro: perché oltre alla tecnica sopraffina e a un’abilità innata, Stefano Carli è sempre stato animato da una determinazione e da uno spirito agonistico indomiti e implacabili. Piero d’Inzeo nel 2012 ha scritto di proprio pugno a Stefano Carli un messaggio: «Nel rievocare liete occasioni nelle quali eri un abitudinario, non ho potuto fare a meno di ricordarti come leale avversario e – perché no – come maestro. Un abbraccio – Piero d’Inzeo».
Stefano Carli ha imparato a montare a cavallo andando a scuola. Ma non a scuola d’equitazione, no: a scuola… la scuola, quella in cui si impara a leggere e scrivere. In Argentina, alla fine degli anni Quaranta e i primissimi anni Cinquanta. Lui la mattina si alzava, faceva colazione, poi prendeva il suo cavallo e percorreva diversi chilometri in totale solitudine prima di arrivare a scuola. Terminata la giornata di lezioni, riprendeva il suo cavallo e tornava a casa. Da solo: bambino di 7, poi 8, poi 9 e poi 10 anni.
Rientrato in Italia (a Padova) con la famiglia a metà degli anni Cinquanta, Stefano Carli ha avuto il primo importante maestro alla Scuola Padovana di Equitazione nel conte Alberto Tommasi di Vignano, l’uomo che del suo allievo ha strutturato in maniera logica e funzionale qualità certamente superiori ma in quel momento ancora ‘disorganizzate’. Il prodotto finale è stato un cavaliere impostato secondo i più classici criteri dell’equitazione tradizionale italiana sui quali si è inserito uno spirito agonistico feroce. La classifica dei cavalieri di salto ostacoli pubblicata dal Cavallo Italiano (il giornale della Fise) nel 1963 sulla base delle vittorie conseguite nel 1962 è molto eloquente: 1° Graziano Mancinelli (25 anni), 2° Piero d’Inzeo (39), 3° Raimondo d’Inzeo (37), 4° Stefano Carli (19).
Roberto Arioldi – uno che in quanto ad agonismo certamente non scherza – racconta: «Stefano e io abbiamo più o meno lo stesso carattere di garisti e di agonisti: entrambi non abbiamo mai lasciato nulla di intentato, per entrambi la gara è sempre stata una sfida da vincere. Proprio per questo il nostro è stato un lungo e continuo duello sportivo nel corso degli anni. Chi tra noi due si trovava a partire dopo l’altro nell’ordine di ingresso in campo aveva sempre un piccolo vantaggio: e per me battere lui era motivo di grandissima soddisfazione, quando ci riuscivo. Ma non ci riuscivo tanto spesso: superare Stefano era più difficile che superare perfino campioni come Piero, Raimondo o Graziano. Per questo era proprio lui l’avversario che mi dava più soddisfazione: però quando Stefano infilava la gara giusta non c’era niente da fare, era imbattibile».
Stefano Carli ha dato tutto sé stesso allo sport equestre: ma nei limiti che lui per primo ha ritenuto ragionevoli e soprattutto opportuni. Il che non ha voluto dire solo ‘tempo’ ma anche denaro: Stefano Carli avrebbe potuto spendere per acquistare cavalli di valore quanto meno pari alla sua abilità di cavaliere ma non l’ha mai fatto, quasi che la sua massima soddisfazione fosse quella di arrivare in alto con cavalli sui quali nessuno avrebbe scommesso una lira. Con la sola eccezione di Dalila d’Aubry, forse: cavalla di mezzi e classe notevoli in sella alla quale il cavaliere padovano avrebbe di certo partecipato alle Olimpiadi di Mosca 1980 se non ci fosse stato il famoso – o famigerato… – boicottaggio occidentale per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Il campione azzurro Natale Chiaudani riconosce proprio questo valore: «Ammiro incondizionatamente Stefano per la sua dedizione nel corso degli anni: un uomo che ha fatto una vita di sacrifici per montare a cavallo senza sottrarre tempo alla sua professione di commercialista. Stefano non ha mai montato cavalli famosi o già affermati: è stato lui a esaltare al meglio le doti dei soggetti di cui disponeva. È sicuramente il cavaliere non professionista più competitivo in assoluto. Immaginate un serio ed elegante commercialista benestante che quando entra in campo diventa un leone: ecco, questo è Stefano Carli».
Tutta la sua vita di uomo di cavalli Stefano Carli l’ha vissuta ‘dentro’ la Scuola Padovana di Equitazione, della quale ovviamente è il simbolo agonistico più alto e significativo. Non solo come cavaliere ma anche come insegnante e maestro. Quando il tempo gliel’ha permesso, infatti, Stefano Carli ha sempre amato dedicarsi ad allievi a lui congeniali, cioè ragazzi che dimostrassero di avere doti tecniche e di carattere e nei quali lui percepisse un terreno fertile. Tutto è cominciato con Giuseppe Corno alla fine degli anni Settanta per arrivare fino a oggi con Marianna e Giacomo Martinengo Marquet, figli di Raffaella Caropreso e di Riccardo Martinengo Marquet.
Il 1986 ha raccontato una storia da questo punto di vista particolarmente significativa, quasi simbolica. Il Campionato d’Italia di salto ostacoli di quell’anno si è concluso con una classifica abbastanza inusuale, cioè due cavalieri a parità di punti al primo posto. Il regolamento non prevedeva l’ipotesi di un barrage: stabiliva invece che avesse la meglio il concorrente che nell’ultima prova aveva riportato il risultato migliore rispetto a quello dell’avversario. Eccoli, i due concorrenti a parità di punti: medaglia d’oro e titolo di campione d’Italia per Giuseppe Corno su Impedoumi, medaglia d’argento per Stefano Carli su Karajan. L’allievo e il maestro.
Racconta Giuseppe Corno: «Stefano è stato il mio primo idolo equestre, un vero mito per noi ragazzini alla Scuola Padovana di Equitazione. Io poi ho avuto la fortuna e l’onore di essere seguito personalmente da lui in numerosi concorsi e non dimenticherò mai la formidabile carica agonistica che è stato capace di trasferirmi durante quelle gare: la stessa carica agonistica che del resto lui stesso metteva da cavaliere sui suoi cavalli. Ecco, questo mi impressiona tuttora: la sua capacità di trasferire agli altri la voglia di competere e vincere che ha sempre avuto dentro sé stesso per sé stesso. Credo che Carli sia il più grande agonista italiano in assoluto. Con me è stato severo, a volte anche duro, ma sempre schietto e diretto, come è il suo carattere di persona: gli sono davvero riconoscente per gli insegnamenti che mi ha trasmesso, senza i quali probabilmente non sarei riuscito a vincere quel famoso Campionato d’Italia che ci ha visto… pareggiare e salire insieme sul podio tricolore».
Stefano Carli non ha vinto medaglie olimpiche, mondiali o continentali (se si eccettua quella di bronzo a squadre nel Campionato d’Europa juniores di Venezia 1960): proprio per questo la sua dimensione di personaggio, di cavaliere e di uomo di cavalli dimostra una proporzione che non è dettata dall’albo d’oro, bensì dal valore reale. Lo sintetizza al meglio un altro grandissimo esponente dello sport equestre azzurro, Mauro Checcoli, oro individuale e a squadre alle Olimpiadi di completo nel 1964 (record assoluto nella storia dell’equitazione sportiva italiana) oltre che presidente della Fise per due mandati nel corso degli anni Novanta: «Stefano Carli oltre a essere ciò che tutti ben conoscono, cioè un eccellente e appassionato cavaliere, è oggi anche qualcosa di più importante: è il rappresentante diretto della grande tradizione del sistema naturale caprilliano, è il rappresentante della nostra storia equestre, è l’erede dei migliori valori dello sport equestre fondato sui principi del sistema naturale caprilliano. E continua a dimostrare tutto questo ancora oggi, dando vita così a una continuità i cui contenuti codificati a Pinerolo con Caprilli ai primi del Novecento arrivano fino ai giorni nostri perfettamente integri in lui e nella sua equitazione. Non solo: Stefano Carli rappresenta anche la cultura equestre che si rapporta al cavallo e allo sport nella maniera migliore, cioè non fondata su aspetti economici e di commercio, bensì solo tecnici e sportivi».
Stefano Carli è nato il 20 giugno del 1943: oggi, dunque, ma otto decenni fa. Più che fargli gli auguri di compleanno bisognerebbe dirgli semplicemente grazie: per tutto quello che ha dato e che continua a dare nella sua veste di maestro allo sport equestre italiano.