Bologna, 26 maggio 2021 – Per gli ex-bambini amanti dei cavalli, quelli nati dal dopoguerra sino agli anni ’60, lui era un mito.
Parliamo di Albino, un cavallo Maremmano nato nel 1932 e in forza al 3° Reggimento Savoia Cavalleria, superstite equino della carica di Isbuscenskji nel 1942.
Su Albino in quegli anni erano stati scritti diversi libri, di cui uno anche per i lettori più giovani.
Ed essendo morto nel 1960 aveva portato quel pezzo di storia, che in tanti volevano o cercavano di dimenticare, sino ai giorni del boom economico.
Mediata da Albino, cavallo innocente, anche la storia recente più dolorosa poteva essere digerita meglio, e prendersi cura di lui in fondo faceva sentire meglio un po’ tutti.
Non per niente è l’unico animale a cui sia stata riconosciuta una pensione dalla Repubblica Italiana.
Quello che si faceva per lui forse alleggeriva un po’ i sensi di colpa che era impossibile non sentire per tutti quelli che erano morti nella terribile campagna italiana di Russia, equini o umani che fossero.
E il fatto che Albino non abbia mai detto una parola, su quei giorni di guerra, probabilmente facilitava di parecchio le cose.
Ma oggi Albino parla, anzi: scrive.
Grazie alla penna di Michele Taddei, giornalista e scrittore con una bella passione per l’impegno sociale, il baio Maremmano ha avuto l’occasione di dire la sua, di far vedere la storia come l’hanno guardata i suoi occhi.
O meglio il suo occhio sano, dato che dall’altro aveva un problemino di vista.
Con la nobiltà caratteristica della sue specie Albino non accusa nessuno: solo racconta il dolore, gli incubi, la disperazione e la tristezza di “ascoltare l’ultimo fiato” di tanti suoi compagni.
Noi rileggiamo quei giorni attraverso di lui e sentiamo ancora l’ammirazione per certi gesti, per certe persone, per certe figure che anche in mezzo al disastro hanno saputo rimanere pulite e belle.
Ma accusiamo, di nuovo, la rabbia per altre persone e altri comportamenti: quelli meschini e miseri di chi sfrutta il coraggio e la morte altrui per fare i propri comodi.
Perché la guerra è così da sempre: ti fa vedere il meglio, e il peggio, degli uomini che ci si trovano in mezzo.
Taddei in queste pagine cerca di risolvere il giallo del ritrovamento di Albino dopo la guerra basandosi su ricerche approfondite e facendo parlare la storia, non la fantasia.
Steppa Bianca ha il merito di far risuonare, ancora una volta, non solo il “Caricat” di Savoia ma anche la vita di persone che non ci sono più, che la persero combattendo.
E anche quello di scrollarci la coscienza e ricordarci che certe nostalgie sull’utilizzo di cavali e muli nei reparti militari operativi in zone di guerra è molto meglio che rimangano tali, nostalgie per l’appunto.
La guerra la vogliamo solo noi stupidi uomini, vediamo almeno di sbrigarcela da soli e lasciarne fuori gli innocenti.
Come il baio Maremmano Albino, che il candore dell’anima e della steppa lo aveva anche nel nome sin da puledro: gli ultimi anni li visse in compagni di un asinello, Mariolino, con il box tappezzato di disegni e letterine che gli mandavano i bambini.
E mentre dormiva in quel box chissà se sognava anche il sergente maggiore Giuseppe Fantini, il suo cavaliere, che rimase ucciso durante la carica vicino al Don, chissà se si ricordava le sue carezze.
Steppa Bianca di Michele Taddei è uscito nel 2021 per i tipi di Edizioni Cantagalli, 208 pagine, 17 Euro il prezzo di copertina.
Qui la storia di un altro superstite di Isbuscenskji, il sergente Giancarlo Cioffi di Savoia Cavalleria.