Roma, 8 gennaio 2024 – In questo periodo natalizio, in cui le nostre città, paesi e campagne stanno subendo una vera e propria invasione, silenziosa ma luminosa, di babbi natale, slitte, pupazzi di neve, angeli e angioletti che risplendono nella notte, è bello ricordare quanto meraviglioso e incredibile fosse quello che per noi è il “Pupazzo di neve” per eccellenza, l’unico in grado di sciogliere, con la sua storia (vera), i cuori di un intero Paese: gli Stati Uniti d’America.
Non solo l’America, probabilmente alcuni di noi si ricorderanno di come Snowman ed Harry De Leyer (il suo cavaliere) nel 1958 vinsero la “Triple Crown” del mondo del salto ostacoli americano, aggiudicandosi nello stesso anno i titoli di campioni della Professional Horseman’s Association, Campioni al Madison Square Garden del Diamond Jubilee e “Pupazzo di neve” fu anche nominato cavallo dell’anno dall’American Horse Shows Association.
Questo tripudio di riconoscimenti furono seguiti da una valanga di attenzioni da parte dei media di tutto il mondo: erano loro le prime pagine dei maggiori quotidiani, centinaia di articoli su di loro rimbalzavano su ogni tipo di rivista, decine di trasmissioni televisive litigavano per poter ospitare Harry De Leyer, tanto che Johnny Carson in “The Tonight Show” arrivò non solo ad ospitare il cavallo nel suo studio televisivo, ma appoggiò anche una scala su Snowman, il quale rimase completamente impassibile, e ci salì sopra durante la diretta del programma.
Ma può davvero la “Triple Crown” del salto ostacoli americano sconvolgere così un Paese?
No, Pupazzo di neve non invase i media americani per il prestigio dei titoli ottenuti. Non furono le vittorie a renderlo speciale, fu lui a dare un nuovo valore alla concezione di campioni.
Snowman e Harry furono due campioni a modo loro, chi avrebbe scommesso su un povero immigrato olandese in sella ad un grigio cavallo da aratro? Dobbiamo dire che è, oggettivamente, molto probabile che il campo prova del Madison Square Garden non avesse mai visto passeggiare al suo interno un cavallo che fino a poco tempo prima lavorava nei campi agricoli. Tirava l’aratro e anche invenduto ad un’asta di cavalli.
Proprio così, nessuno voleva Pupazzo di neve, un cavallo invenduto che era già stato caricato sul “rimorchio della carne”, destinato al macello per l’industria di cibo per cani, quando Harry De Leyer arrivò in ritardo a quell’asta ormai conclusa.
Snowman non era un campione ed Harry non cercava un campione. Quello che gli serviva era un tranquillo cavallo per la scuola, da portare al rinomato ed esclusivo Istituto femminile Knox college di Long Island, dove insegnava in quel periodo della sua vita.
In quel lontano giorno d’inverno, sotto un cielo che prometteva neve, i due si intravidero per un attimo attraverso le fessure del camion del macello.
Harry urlò di scaricarlo. Se lo sarebbe portato a casa sua. 60 dollari per la vita di Snowman e 20 dollari per il suo trasporto. 80 dollari totali fu il prezzo per una nuova vita.
Una nuova vita a cui serviva un nuovo nome, che non ci mise tanto ad arrivare. Quando il cavallo quella sera giunse a casa di Harry, il cielo mantenne la sua promessa e iniziò a nevicare, tutta la famiglia uscì nel cortile per salutare il nuovo arrivato che trovò così ricoperto dai fiocchi neve. Pupazzo di neve era arrivato a casa.
Snowman sapeva che quella sarebbe stata la sua casa, voleva che quella fosse la sua famiglia. Harry, come spesso accade, non lo capì subito e pensò che fosse solo un bravo cavallo della scuola e poi anche un ottimo affare, quando lo vendette a un vicino di casa (a sei miglia di distanza) per 160 dollari. Ma Harry non fece i conti con Snowman, che non era d’accordo e glielo disse, in modo anche piuttosto chiaro: tornò a casa. Una volta nel paddock del nuovo proprietario, Pupazzo di neve saltò la recinzione e tornò a quella che era casa sua.
Ovviamente gli umani sono sempre piuttosto lenti nel comprendere le verità, per cui Snowman dovette ritornare a casa sua per ben tre volte prima che Harry capisse. Ci vuole pazienza. A nulla valsero la recinzione alzata a 1.50 mt o il grosso copertone di un’auto che gli avevano legato con una corda alla cavezza, per impedirgli di saltare la staccionata.
Pupazzo di neve ritornò al galoppo dalla sua famiglia, trascinandosi dietro la corda, il copertone e un pezzo non indifferente di staccionata. Fortunatamente questa volta Harry capì: il cavallo aveva scelto e il cavallo era anche un gran saltatore.
Si dice che si è campioni per qualcosa che si ha nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Harry, quando da ragazzo viveva in Olanda, desiderava diventare un grande cavaliere, ma la Seconda Guerra Mondiale gli strappò via il futuro con tutta la violenza possibile; aveva anche sognato l’America e una nuova vita dove non dovesse avere sempre davanti agli occhi il terrore degli ebrei in fuga che chiedevano aiuto e che nascondeva in delle botole sottostanti la concimaia (unico posto in cui i nazisti non cercavano), ma la verità fu che una volta arrivato nel Nuovo Mondo, era solo l’ennesimo povero immigrato che doveva lavorare in una piantagione di tabacco per poter sopravvivere, a stento.
Mancava la visione, ma è qui che entrò in gioco il nostro Pupazzo di Neve.
Snowman aveva scelto di rimanere accanto ad Harry, non gli interessava cosa dovesse fare, lui voleva stare con Harry. Così fu e così nacque lentamente in Harry la sua visione con Snowman: da cavallo della scuola, a cavallo di famiglia (ben 8 bambini da accompagnare in mille avventure: nuotare, sciare, galoppare, insomma aveva un gran da fare per badare a tutti), a cavallo da concorso a campione.
Non importava cosa gli chiedesse di fare Harry, a Pupazzo di Neve andava bene. Sempre calmo, socievole e volenteroso, spesso veniva definito uno “scherzo della natura” o il “cavallo cenerentola”, ma la verità è che Harry lo rispettava, non gli imponeva mai niente. Semplicemente chiedeva a Pupazzo di neve di collaborare. E a lui stava bene.
Una collaborazione diventata lentamente visione e trasformata poi in un sogno che divenne realtà.
E così Snowman ed Harry arrivarono sotto le luci del campo prova Madison Square Garden, dove le iniziali risate di scherno dei concorrenti e del pubblico, si trasformarono ben presto in sorrisi d’incredulità e poi in urla di ammirazione quando i due dimostrarono in campo gara di poter saltare l’impossibile, insieme.
Un campione a modo suo (diventato oggi anche un film Harry & Snowman) incurante delle accecanti luci degli studi televisivi, degli aratri da tirare, dei salti da affrontare (celebre per aver saltato anche altri cavalli), delle ore di lezione con i principianti da portare a termine e delle luminose giornate di giochi con i bambini di Harry.
Snowman era un campione perché ha dimostrato ed ha insegnato a tutti noi che anche un semplice Pupazzo di neve ha diritto a far parte di una famiglia e che non potrà mai esistere coercizione tanto feroce da poter eguagliare la forza che deriva dalla collaborazione e dal rispetto reciproco.
“Snowman ed io siamo venuti dal nulla. Ma solo insieme siamo arrivati in cima al mondo”.