Milano, 11 maggio 2018 – I cavalli di Genova hanno le ossa forti; i cavalli di Genova, hanno larghi fianchi…viene in mente quella divertente canzone di Francesco Baccini (che però attribuiva le ossa forti alle donne di Modena: noi ci siamo presi una licenza poetica) guardando le vecchie fotografie dei cavalli che, fino a una settantina di anni fa, erano una delle peculiarità del difficile sistema di trasporti della città ligure.
Porto di mare con un via vai impressionante di merci verso l’entroterra, complicato dalla morfologia del territorio caratterizzato da strade strettissime, selciati scivolosi e pendenze notevoli. Condizioni estreme in cui si selezionarono due razze fenomenali di esseri viventi: i carrettieri genovesi e i loro compagni di lavoro con zoccoli e criniera.
Questi ultimi provenivano da ogni razza e paese. Si andava dai piccoli cavallini Croati, adatti ai legni più leggeri sino ai fenomenali tiro pesante lento quali Bretoni e Ardennesi addetti alle delicatissime manovre ferroviarie del porto assieme ai Cavalli Agricoli Italiani da tiro pesante rapido, passando per Maremmani, Franches Montagnes, Percheron, Murakoz e qualsiasi altro soggetto equino che presentasse la caratteristica fondamentale per quel difficile lavoro: la sincerità.
Perché era una vita pericolosa, dura e difficile e senza quel tratto speciale fatto di generosità, buona volontà, comprensione e voglia di collaborare da parte della componente equina non c’era possibilità di scampo: così, grazie a quella che è stata definita una vera e propria Università del trasporto a trazione animale si erano formati uomini e cavalli del tutti speciali.
I carrettieri genovesi furono una consorteria molto orgogliosa della loro arte, che custodivano e tramandavano anche grazie all’attento controllo dei giovani apprendisti guardati a vista (ed adeguatamente presi in giro, sino a lezione compresa) dai più anziani ed esperti colleghi. Ad esempio guai a chi non fosse capace di tenere come si conviene le redini dei cavalli condotti da cassetta, cioè tutte nella mano sinistra che la destra doveva solo tenere la frusta: gli sfottò lo avrebbero annullato professionalmente.
E tenevano in modo particolare ai loro cavalli, non c’è foto di loro che non annoti scrupolosamente ed affettuosamente il nome e la razza di ognuno. Si sono tramandate sino ad oggi le descrizioni delle gesta di tanti Gilli, Topolino, Ciarò, Pullu, Baldo e Cassoula e le abilità di carrettieri come Dario Peiente, che non toccava mai i suoi cavalli con la frusta ma sapeva tirar fuori da loro gli sforzi più grandi solo chiamandoli con la sua voce dolce.
Un mondo che non c’è più, perché sono arrivati i motori a fare tutta questa fatica: ma ci siamo persi qualcosa.
Da leggere: ruote, zoccoli e schiocchi di frusta
Siamo debitori a questo libro di quanto abbiamo imparato sulle vite dei carrettieri genovesi e dei loro cavalli: è scritto con amore, competenza, profondità di ricerca e attenzione ai dettagli. Una storia di nicchia che diventa il paradigma di un rapporto che si allunga nella nostra storia da migliaia di anni, quello che ci lega a queste creature (dire animali sembra quasi irriguardoso) così capaci di diventare indispensabili a noi uomini: i cavalli, ovviamente, e i loro cugini asini e muli. Eva Franich con l’aiuto di Egisto Venturini non sbaglia un termine, riesce a rendere comprensibile la complicata tecnica di attacco dei cavalli da lavoro e cura in modo maniacale ogni approfondimento possibile: davvero un interessante leggerlo, rimane la voglia di trovare un altro volume della stessa mano per continuare a godersi il piacere.
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