Bologna, venerdì 3 marzo 2023 – «Alla fine di ciascuna prova la gente veniva da me per sapere, per chiedere, per parlarmi… ma io non riuscivo a rispondere. Mi sono dovuto isolare per un po’ ogni volta piangendo da solo per qualche istante dall’emozione, e poi finalmente poter parlare… È stata un’esperienza semplicemente indimenticabile… mi emoziono anche adesso ogni volta che ci ripenso!».
Luca Cassottana, piemontese, 43 anni (è nato il 30 ottobre del 1979), è stato certamente uno dei protagonisti del Campionato del Mondo di attacchi ai Pratoni del Vivaro lo scorso settembre. Per noi italiani, infatti, che non abbiamo mai avuto un driver di tiro a quattro se si esclude il ‘capostipite’ Carlo Mascheroni, è stata una gioia immensa vedere un nostro atleta impegnato in una competizione di tale prestigio tenendo validamente testa ai più affermati specialisti di una disciplina così affascinante e complessa.
«Quello che mi ha dato il mondiale dei Pratoni credo sia qualcosa che non avrò mai più nella mia vita. Anche se nello sport mai dire mai: se dieci anni fa mi avessero detto che avrei fatto un Campionato del Mondo di tiro a quattro non ci avrei di certo creduto… ».
Quali erano le sue aspettative alla vigilia dell’impegno dei Pratoni del Vivaro?
«Io sono arrivato a Roma prefissandomi come obiettivo quello di fare una figura decorosa, consapevole di avere alle spalle solo un anno e mezzo di esperienza nel tiro a quattro, come anche i miei cavalli del resto: quindi molto poco per me e molto poco anche per loro… una cosa davvero difficile, quindi».
Quale era la sua maggiore preoccupazione?
«Direi la maratona. Averla portata a termine senza errori, non velocissimo ma comunque in maniera scorrevole entusiasmando i tifosi italiani, beh… è stata una gioia grandissima. Grandissima… Vedere la gente che si è emozionata, che mi ha sostenuto… è stato bellissimo».
Un’esperienza così forte e tecnicamente così difficile le consente di avere ora prospettive diverse? Migliori?
«Arrivare lì è difficile, ma salire nelle prime dieci posizioni della classifica è un’impresa davvero immane… Io conosco bene i miei limiti e non ho velleità particolari, se non quella di continuare il mio percorso di crescita impegnandomi al massimo per migliorare. Tutto qui. Adesso il mio obiettivo è il Campionato d’Europa di quest’anno per il quale sono già qualificato grazie alla mia prestazione nel Campionato del Mondo dei Pratoni».
Lei nel mondo dello sport equestre però non nasce come driver…
«Esatto, sì. In realtà i cavalli sono stati una presenza costante nella mia vita da quando avevo 8 anni. Ho fatto un po’ di tutto in sella, anche le corse in ippodromo… ».
Ma figlio di genitori appassionati di equitazione?
«No, assolutamente, nessuno nella mia famiglia. Io mi sono avvicinato ai cavalli da bambino per puro caso, ma è subito partita la… malattia! Ho interrotto per qualche anno perché sono andato via da casa molto presto, a 16 anni, e per un po’ non ho potuto permettermi di praticare lo sport equestre. Ma ho ripreso non appena mi è stato possibile e da quel momento i cavalli sono una costante nella mia vita».
Però dedicandosi prevalentemente al salto ostacoli, giusto?
«Sì, gli ultimi sette otto anni prima di cominciare ad attaccare montavo al Centro Ippico Malabaila a Canale, vicino ad Alba, di proprietà di un mio amico che è anche mio socio in affari. Sono stato lì una decina di anni, facevo concorsi, cambiavo spesso cavalli, giocavamo un po’, comperavamo e vendevamo qualche cavallo ma solo per poter mantenere lo sport che era ovviamente abbastanza costoso e io all’epoca non potevo permettermi più di tanto».
E agli attacchi come è arrivato?
«È successo nel 2008. Un mio cliente a un certo punto si è incuriosito per questo mondo del quale non conosceva nulla. E nemmeno io… Insomma, mi telefona e mi propone di andare a fare un corso insieme a lui, io l’ho accompagnato, poi da lì lui mi ha proposto di cominciare a fare qualche garetta, poi mi dice dai, facciamo una società, tu compri il cavallo, io la carrozza e i finimenti… ».
Un suo cliente, ha detto…
«Sì, io sono impresario edile, costruisco e ristrutturo case».
E avete effettivamente cominciato così?
«Sì, certo. Io però continuando a fare le mie garette in salto ostacoli, 115, 120, qualche volta mettevo il naso in 130 ma così, da vero amatore e niente di più. Con la carrozza mi allenavo solo una settimana, al massimo dieci giorni prima della gara. Però vincevo sempre, con mia grandissima sorpresa… ».
Un predestinato!
«Beh, insomma… Comunque a un certo punto mi sono reso conto che i dieci giorni di allenamento prima di ogni gara non erano più sufficienti. Allora mi ci sono dedicato un po’ di più, abbiamo anche cambiato cavallo, ho preso il 2° grado e nel 2012 dopo essermi qualificato ho fatto il mio primo Campionato del Mondo in singolo a Lisbona».
Una crescita abbastanza rapida, quindi.
«Sì, direi di sì. Dal 2012 fino al 2020 sono riuscito a prendere parte a tutte le edizioni del Campionato del Mondo».
Quali sensazioni le ha dato il passaggio dal salto ostacoli agli attacchi?
«Diciamo che economicamente parlando quella degli attacchi è una logistica abbastanza onerosa: però sull’altro piatto della bilancia c’è un prezzo di acquisto dei cavalli che è di molto inferiore. Ma di molto inferiore… e quindi l’ambizione di competere a livello internazionale è più alla portata. Comunque guidare un cavallo e una carrozza è una cosa che mi è venuta direi quasi naturale… sono riuscito ad avere dei buoni risultati abbastanza facilmente, e quando le cose ti vengono bene ti piacciono anche di più. E poi ero ben consapevole di non avere un futuro in salto ostacoli, perché non ne avevo le possibilità e molto probabilmente anche le capacità».
Però non sarà stato semplicissimo il passaggio dal singolo al tiro a quattro…
«È accaduto per una serie di circostanze quasi fortuite. A un certo punto mi sono stati offerti due cavalli, una pariglia di olandesi, molto giovani, verdissimi. Sono andato a vederli con un mio amico che è anche un mio allievo e che ha partecipato due anni fa al mondiale per pariglie, Ugo Cei, che è in scuderia da me… ».
Alt, un momento: cosa vuol dire in scuderia da lei?
«Circa quattro anni fa si è liberato un mio capannone a Magliano Alfieri, in provincia di Cuneo: siccome a Canale mi sentivo un po’ un elemento di disturbo essendo l’unico ad attaccare, ho pensato di organizzare una mia scuderia in questo capannone. E così ho fatto».
Torniamo allora ai due giovani cavalli…
«Li portiamo a casa. Dopo qualche mese Ugo mi dice di averne trovati altri più esperti, così i due giovani li ho tenuti io. Erano bravi, imparavano in fretta, così mi sono detto che per cominciare a fare qualche gara con loro avrei avuto bisogno anche del terzo cavallo da poter impegnare in maratona. Lo trovo, questo cavallo: da un mio conoscente in Ungheria, me lo faccio mandare senza nemmeno averlo visto di persona, anche perché eravamo nel momento del Covid. Così mi sono trovato ad avere la pariglia e il cavallo di riserva. Poi capita che Francesco Aletti Montano (a sua volta driver agonista, n.d.r.) mi dice di aver comperato una pariglia di cavalli molto simili ai miei con i quali però non si stava trovando molto bene, e mi chiede se ne fossi interessato… Io mi sono detto: se prendo questi due cavalli posso fare il tiro a quattro… e così ho fatto la pazzia, li ho comperati!».
Tecnicamente parlando ci sarà un po’ di differenza tra pariglia e tiro a quattro…
«Infatti Bram Chardon (grande campione olandese, n.d.r.), che già mi seguiva da qualche tempo come mio trainer, ha cominciato a prendermi in giro quando gli ho detto che avrei potuto fare un tiro a quattro… mi mandava messaggi scherzosi… Poi abbiamo provato, lui mi ha dato delle dritte, vedeva che i cavalli miglioravano… e alla fine mi ha detto: ma sai che forse è possibile?».
Tutto questo un anno e mezzo prima del Campionato del Mondo dei Pratoni del Vivaro?
«Sì, esatto. Ho poi affrontato vicissitudini varie per riuscire a prendere la qualifica per partecipare al Campionato del Mondo dello scorso settembre, e devo sinceramente ringraziare la Fise che mi ha sostenuto e aiutato tantissimo in questo. Sono riuscito a centrare l’obiettivo in Croazia: sotto il diluvio universale in maratona… ma ce l’ho fatta».
Sempre seguito da Bram Chardon…
«Certo, ovviamente. Abbiamo fatto una gara di allenamento in Olanda a Kronenberg, dove in maratona ho provato delle girate un po’ più tecniche, cosa che in tutte le maratone precedenti con l’obiettivo di conquistare questa benedetta qualifica non avevo mai fatto… Poi uno stage con lui a Caravino a fine agosto, e quindi la partenza per i Pratoni del Vivaro».
Dove ha poi vissuto questa esperienza favolosa…
«Indimenticabile. La mia presenza e la mia prestazione hanno suscitato un interesse mediatico che mi ha colto del tutto alla sprovvista… non avrei mai immaginato una cosa del genere. È stata un’esperienza straordinaria: ho pianto dall’emozione come non mi era mai capitato prima… ».