Verona, 19 gennaio 2017 – E’ bello quando i lettori ci scrivono, si instaura un dialogo che è molto più interessante e produttivo del semplice scrivere e pubblicare (su carta o web): ieri ci ha interpellati Nicole, che ha Malga, una dolcissima cavalla Kladruber di 18 anni in scuderia
Una vera chicca ippologica, la rappresentante di una razza antica e poco conosciuta in Italia originaria di quella che adesso è la Repubblica Ceca ma che tra i suoi capostipiti ha anche cavalli italiani, per la precisione veronesi: quelli allevati dalla famiglia Sagramoso.
Lo confessiamo: uno dei nostri sogni è finalmente vedere un Kladruber a Verona in Fieracavalli, sarebbe bello coinvolgere i centri di allevamento di Kladruby nad Labem e Slatinany che per anni sono stati fedeli amici della fiera scaligera – gli unici, tra l’altro, che potrebbero risolvere il dilemma di Nicole che non essendo in possesso dei documenti originali della cavalla non sa risalire alla sua genealogia.
Chissà se ce la faremo a vedere i Kladruber a Verona…perché noi, vi avvertiamo, non smettiamo mai di sognare.
Nel frattempo, ripassatevi la storia di questi meravigliosi cavalli che hanno legami anche con i Lipizzani e i nostri Murgesi.
Kladruber: il Gran Cerimoniere di Maria Cristina Magri
E’ primavera, andiamo a Praga. Per un tuffo nel post-comunismo mandato in esilio dalla Rivoluzione di velluto, direte voi? Macché, molto meglio. Arriveremo fino al Medio Evo e torneremo indietro facendoci accompagnare dal carrozziere di gala più antico al mondo: il Kladruber. Probabilmente il nome non vi dirà molto, forse farete fatica anche a ricordarne l’ immagine: più che logico visto che al mondo sono rimasti solamente 1700 esemplari (i Przewalski sono più di 2000, tanto per darvi un’idea) e quasi tutti concentrati attorno all’area di origine, la vecchia Boemia.
Ma voi cercate di immaginare un grande, nobile cavallo di modello antico: l’incollatura portata orgogliosamente alta a sostenere una bella testa dal desueto profilo romano, l’azione lenta ed enfatica degli anteriori che sembrano ancora muoversi al ritmo di qualche solenne marcia imperiale, una struttura solida ma allo stesso tempo elegante che ne faceva l’esemplare perfetto da attaccare ai lussuosi, pesantissimi cocchi intagliati (anche 4 tonnellate, corone escluse…) che portavano re e imperatori verso cerimonie ufficiali di ogni genere.
Dietro metteteci per sfondo la valle dell’Elba come era attorno al XII secolo: boschi infiniti che scendono dalle montagne attorno, pascoli lievissimamente ondulati e acqua in abbondanza ne facevano l’ideale per l’allevamento equino, e nel 1400 questa attività era già così importante per la zona che sullo stemma dei signori locali campeggiava un ferro di cavallo. Tra il 1490 e il 1500 la famiglia Pernstejn acquista tutti i terreni, compreso il villaggio di Kladruby e crea un vero e proprio stud di razza con scuderie e tutto quello che serviva per allevare un consistente numero di cavalli: l’ultimo erede, Jaroslav Pernstejn, era un famoso cavaliere e comprò alcuni dei suoi stalloni direttamente in Spagna. L’imperatore Ferdinando I nel 1539 lodò molto suoi cavalli e manifestò interesse per la riserva di caccia di Kladruby, incrementando ulteriormente l’allevamento per far fronte alla grande richiesta di cavalli causata dalla guerre contro i turchi. Grazie a questa strategica importanza, la Camera imperiale pensò valesse la pena acquistarla dallo stato Ceco; nello stesso anno Massimiliano II aggiunse alle strutture già esistenti una azienda agricola, una bottega di maniscalco e un maneggio oltre a diversi cavalli spagnoli (sì, ancora).
Nel 1575 anche suo figlio Rodolfo visitò Kladruby: lo colpirono molto la ricchezza di foraggi e pascoli del luogo, la qualità delle strutture già esistenti e decise che da qui sarebbero arrivati i cavalli necessari ai più nobili bisogni della sua corte, che aveva spostato da Vienna a Praga. Il 6 aprile 1579 Rodolfo II emise un imperial-regio decreto che ufficializzava il reale allevamento di Kladruby: giusto un anno prima della fondazione dell’equile di Lipizza, quanto basta a farne il più antico allevamento del mondo ancora esistente.
Rodolfo II fu di fondamentale importanza per l’allevamento dei cavali in Boemia: usava cavalli spagnoli grigi per i suoi viaggi, e il suo allevamento si avvantaggiò molto sia dei soggetti iberici che di quelli italiani. Dall’Italia venivano anche la maggior parte degli addetti alle scuderie, specialmente da Milano e dai possedimenti asburgici nella penisola.
I cavalli che si volevano ottenere a Kladruby erano molto solidi, forti e di grande taglia: vennero quindi importati non solo Spagnoli ed Italiani ma anche Danesi, Holstein, Frisoni, Oldenburg e Olandesi, tutte razze accomunate da una certa percentuale di sangue iberico. Nel XVIII secolo dall’Italia arrivarono molti cavalli Napoletani, famosi per la loro taglia e forza; la selezione accurata portò un rafforzamento dei caratteri morfologici, permise un notevole miglioramento delle performance grazie alla struttura possente dei soggetti ottenuti che avevano anche tutta la grazia e la leggerezza necessari alle sfarzose cerimonie imperiali. I grigi erano i preferiti come carrozzieri dalla corte asburgica mentre i morelli erano gli specialisti degli attacchi dedicati agli alti ecclesiastici. Proprio dall’allevamento dell’arcivescovo di Ries, vicino Salisburgo, proveniva Sacramoso: uno splendido morello di origine italiana con qualche po’ di spagnolo nelle vene che diede origine ad una delle famiglie più importanti dell’antico Kladruby, poi estintasi assieme a quella di Napoleone, stallone di origine romana. Da un altro Sacramoso nato nel 1800 (anche lui appartenente ad un vescovo, quello di Olmuc), nacque una seconda famiglia con lo stesso nome e viva ancora oggi: entrambi i cavalli provenivano dagli allevamenti dei marchesi Sagramoso di Verona, che aveva vaste proprietà in Polesine.
Anche Pepoli, capostipite di tutti i Kladruber grigi attraverso il nipote Generale, era un cavallo italiano. Nato nel 1774 portava il nome di una delle più antiche e pregiate razze della provincia di Bologna, quella appartenente al marchese Pepoli: «Si apprezzano per vantaggio di statura, bellezza ed eleganza di forme» scrivevano ancora nel 1853 riguardo alle cavalle del conte Pepoli «e i loro puledri sono robusti e docili». Da notare che il marchese bolognese utilizzava stalloni arabi e del Macklemburg per le sue cavalle, cercando quindi di dare sangue e finezza a una solida base carrozziera. In questo periodo nacquero anche due Kladruber grigi di nome Favory e Maestoso: i loro discendenti diedero vita a due importanti famiglie dei Lipizzani, tuttora esistenti.
A parte qualche sfollamento temporaneo causato da varie guerre, la storia dei cavalli di Kladruby scorre dolcemente fino al 1918: ogni anno tutti i giovani stalloni ritenuti idonei al lavoro venivano inviati alla corte imperiale di Vienna. Dopo qualche anno di addestramento i migliori tra loro venivano scelti come riproduttori; quelli che rimanevano più tempo a corte e tornavano in tarda età venivano scrupolosamente seguiti e curati fino all’ultimo giorno della loro dorata pensione, quando lasciavano i verdi pascoli di Kladruby per cause naturali; la corte imperiale richiedeva circa 500 cavalli di Kladrub per le proprie scuderie, tra cui due equipaggi da otto di morelli e altrettanti di grigi, più i soggetti di riserva.
Con al fine dell’impero asburgico comincia il decadimento anche per i Kladruber: vennero venduti per carne praticamente tutti i soggetti morelli, vittime di ragioni commerciali e politiche. L’occupazione tedesca del 1938 complica ulteriormente le cose e il vecchio allevamento imperiale comincia a vivere il periodo più triste della sua lunga esistenza. Nel 1945 arrivano i russi, e dal 1948 la Cecoslovacchia diventa una Repubblica Popolare su modello sovietico.
Ma in questo sfacelo c’era ancora chi pensava ai Kladruber: uno su tutti il professor Frantisek Bilek. Nel 1925 scrive un libro sull’importanza di preservarli nelle due varietà di mantello, una decina di anni dopo comincia a lavorare sulla preservazione del patrimonio genetico della razza: è grazie a lui se abbiamo ancora questi meravigliosi cavalli al giorno d’oggi e la dottoressa Lenka Gotthardova (ex-direttrice dell’allevamento, che ringraziamo di cuore per averi raccontato la storia dei suoi cavalli) ci dice che il prof. Bilek meriterebbe davvero un monumento: magari in un bel marmo di Carrara, visto che ha salvato cavalli che si possono considerare anche italiani.
Dal 1992 l’Allevamento Nazionale di Kladruby nad Labem ha lo Stud Book dell’Antico Kladruber che comprende descrizione e linee genealogiche di tutti i cavalli ammessi in razza sino ai loro antenati nati attorno al 1750 (in quell’epoca un incendio distrusse tutto l’archivio dell’allevamento, oltre a buona parte del villaggio) e dal 1995 gli edifici storici dell’azienda agricola, la mandria base di 65 fattrici e quattro stalloni grigi della linee antiche sono stati dichiarati patrimonio Culturale Nazionale. E’ la prima volta nella storia che esseri viventi sono stati inseriti accanto a beni architettonici e siti culturali: 69 Kladruber sono quindi costantemente presenti tra i tesori di proprietà del governo Ceco. La varietà morella ha lo status di monumento culturale, e uno dei prossimi obiettivi della razza è quello di diventare Patrimonio dell’Umanità e essere inserita nella lista dell’Unesco.
L’altro, e forse il più caro a chi se ne occupa con tanta passione nella Repubblica Ceca è quello di conservare la antica razza Kladruby: con tutte le sue tipiche attitudini e caratteristiche, con la sua precisa tipologia morfologica esteriore e la meccanica del suo movimento, così particolare. il suo carattere è pieno di dignità, intelligente e docile. E’ un magnifico cavallo, il risultato di una lunga storia e di una attenta cura in ogni parametro di selezione, sia morfologico che caratteriale che non ha bisogno di essere cambiata in nulla: per questo la tradizione continuerà ad essere onorata qui a Kladruby, come sempre.
Per saperne di più: “The National Stud Kladruby nad Labem”, di Dalibor Gregor e Milan Vitek. Editore Ing. Dalibor Gregor.
Bianco, nero e….
Le due varianti di mantello oggi ammesse in razza sono le superstiti di un più ampio ventaglio di possibilità presenti nei secoli passati, prima che le necessità di corte concentrassero le attenzioni sui grigi e morelli necessari al protocollo come carrozzieri di gala ufficiali. Le famiglie pure classiche sono quelle discendenti dagli stalloni Generale (nato nel 1787), Favory (1779), Napoleone (1845) Generalissimo (1797) e Solo (da Sacramoso XXXI, 1927) e quelle di Generalissimus (1938), Favory Generalissimo (1965) e Sacramoso (1800). Le famiglie non classiche sono quelle derivate dagli stalloni Siglavi Pakra (Lipizzano, 1946), Romke (Frisone, 1966) e Rudolfo (Lusitano, 1968), incrociati con le fattrici Kladrub dopo la seconda guerra mondiale per portare sangue nuovo da razze comunque strettamente imparentate al ceppo classico e mitigare i rischi di consanguineità, oltre che per ricreare la variante morella che dopo gli anni ’30 era rappresentata solo da poche fattrici.
Nelle strutture di Kladruby nad Labem vengono allevati i grigi, mentre la mandria di fattrici e gli stalloni dei morelli sono alla stazione di ricerca di Slatinany. Nei morelli non sono ammessi segni bianchi, e la varietà era apprezzata anche per i lavori agricoli perché considerata particolarmente robusta. Il Kladruber, ottimo carrozziere per antica tradizione è attaccato in equipaggi formati anche da undici pariglie senza nessun aiuto per il guidatore, a riprova del suo grande equilibrio e della sua ottima addestrabilità. Ai nostri giorni è molto utilizzato per l’equitazione di scuola e barocca, dove il suo aspetto così nobile è perfettamente in tono con livree e costumi ispirati alle epoche passate. Come tutte le razze tardive nella maturazione è molto longevo; eccezionalmente nascono Kladruber che rimangono sauri o bai (il grigio è sempre un incanutimento precoce, più o meno accelerato del mantello di base), ma in razza vengono ammessi solo grigi e morelli. Parente stretto del Lipizzano per lagami storici e di sangue, è molto più alto e solido del cugino viennese, con i suoi 170 cm. di altezza media al garrese dei soggetti iscritti.