Pensavo fosse Eros…e invece c’era anche Pathos: il Carro della Sposa a Pompei
Il carro della sposa di Pompei: tra Eros e Pathos l'impronta di una tragedia di quasi duemila anni fa
Carro della Sposa di Pompei, foto Ansa
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Napoli, 29 aprile 2023 – E’ finalmente tornato a farsi ammirare sotto la luce del sole il ‘legno’ trovato due anni fa a Pompei nel portico della villa di Civita Giuliana.
E’ il ‘Carro della Sposa’, come è stato ribattezzato dagli archeologi: che ne hanno restaurato i frammenti ricomponendoli in modo da ricrearlo, con opportuni supporti che prendono il posto delle parti mancanti.
Un lavoro lungo e meticoloso che ci dà un elemento in più per immaginare la tragedia del 79 d.C.: vicini al ‘pilentum‘ erano infatti stati ritrovati anche due corpi, la pioggia di lapilli e ceneri aveva fermato per sempre la fuga di quei due esseri umani.
“Abbracci voluttuosi e amplessi rubati, violenza e piacere che si mischiano, eros e pathos”.
Spiega Massimo Osanna, il direttore generale dei musei del Mic che lo ha voluto, in prima assoluta, per ‘L’istante e l’eternità’, la grande mostra in programma dal 4 maggio al 30 luglio a Roma alle Terme di Diocleziano: “Un lavoro straordinario che recupera un manufatto unico al mondo. Quasi più una lussuosa carrozza Un veicolo rilucente di bronzi e di argenti, fatto per stupire e incantare. È incredibile come Pompei abbia questa particolarità di fermare l’attimo “.
Il Ministro della Cultura Sangiuliano: “Un’autentica perla che dimostra ancor più, ove ve ne fosse bisogno, l’unicità del nostro patrimonio”, e sottolinea il lavoro congiunto degli archeologi del parco archeologico di Pompei, i carabinieri, la procura di Torre Annunziata che ha reso possibile questo straordinario recupero.
Da notare che questa tipologia di legno, chiamato pilentum dai romani, la conoscevamo praticamente solo grazie dai racconti antichi, e alle immagini musive o in bassorilievo dell’epoca.
E’ legato al mondo femminile in quanto Livio, Virgilio, Claudiano l’associavano ai culti femminili descrivendone lo splendore e la comodità.
Bello sapere che è stato restaurato e sarà esposta questa rarità. Diminuirà almeno in parte il dolore per la splendida Biga di Monteleone di Spoleto che è stata restaurata ed esposta al Metropolitan Museum di New York, di cui non è ancora chiaro l’iter di esportazione.
Di seguito il comunicato Ansa da cui abbiamo tratto la notizia:
Il restauro, che dopo la delicatissima fase dello scavo ha impegnato per un intero anno, microscopio alla mano, il team guidato da Emiliano Africano, ci riporta ora davanti agli occhi l’oggetto stupefacente di quei racconti.
Perché a dispetto degli inevitabili interventi moderni – il legno di base del cassone che naturalmente è stato ricostruito, gli elementi in plexiglass per indicare le parti mancanti- quello che ci troviamo davanti agli occhi è a tutti gli effetti una macchina di duemila anni fa, meravigliosa, complessa e certo delicatissima.
Con grandi ruote che una volta erano in legno di faggio e i cerchioni in ferro che l’orrore dell’eruzione e l’ingiuria del tempo hanno risparmiato, i tronconi dei mozzi in legno che il fenomeno della mineralizzazione ha in qualche modo tenuto in vita, il lungo perno in ferro che garantiva il movimento delle ruote anteriori ancora lì a rendere possibile lo sterzo.
Senza parlare del cassone di legno dipinto – stretto, certo, se immaginato per una ragazza di oggi – letteralmente tappezzato di metalli lucenti, grandi e piccoli medaglioni con scene erotiche anche molto crude, amorini, figurine femminili, una miriade di raffinate e a volte microscopiche decorazioni sparse ovunque, dallo sfondo in bronzo alle pigne che rifinivano i terminali dei mozzi.
Tutto è decorato in questo capolavoro di raffinatezza artigianale, persino le bobine in ferro dove si avvolgevano le funi che si immagina sorreggessero un po’ come una culla il cassone della carrozza, così da offrire a chi ci stava sopra il conforto di un’andatura basculante.
E poi la spalliera della seduta di cui oggi rimane solo lo scheletro in ferro ma che è facile immaginare ricoperta di cuoio e di comodi cuscini, con i due braccioli per rendere più agevole il percorso alla sposa e a chi l’accompagnava.
E’ la prima volta in assoluto che un pilentum viene ricostruito e studiato.
I restauri che hanno reso leggibili i decori riportando alla luce centinaia di particolari, confermano il legame di questo carro con il mondo femminile e con le nozze.
“Ora bisogna lavorare sull’iconografia dei medaglioni», anticipa Osanna, e poi «sul sistema di movimento del carro”.
Ludovica Alesse e Paola Sabbatucci, le restauratrici del parco di Pompei, supervisionano attente i lavori di assemblaggio.
“Eravamo lì quando il carro veniva fuori, impresse nella cinerite erano ancora evidenti le tracce delle corde, delle stoffe, dei legni”, raccontano.
Tutte cose che il tempo ha dissolto, come l’impronta delle due spighe di grano lasciate sulla seduta.
A pochi metri da lì, nella grande stalla, sono stati trovati i resti dei cavalli, anche un sauro ancora bardato.
Gli scavi, come gli studi, intanto proseguono.
Certo, è difficile dire se quel giorno di festa la giovane sposa l’abbia vissuto davvero.
Ma chissà che non sia proprio il suo splendido carro d’argento a raccontarci, ora, qualcosa di più.