Padova, domenica 17 novembre 2019 – La cosa che colpiva di più era lo spazio. La dimensione dello spazio. Nessuno di noi era preparato a una cosa del genere. Non eravamo preparati all’idea di non poter raggiungere e individuare con lo sguardo il limite e il perimetro di quello spazio. Noi eravamo tutti giovani cavalieri cittadini: arrivavamo in scuderia in motorino, o in bicicletta, o in macchina accompagnati dai genitori, qualcuno perfino in autobus. Poi da quel momento venivamo perfettamente addestrati a muoverci all’interno di una serie di punti di riferimento percepibili fisicamente: pareti, porte, cancelli, staccionate, siepi, muri… Quando il nostro cavallo usciva dal box percorrevamo con lui un corridoio, poi si apriva una porta che ci faceva entrare in maneggio coperto, poi dal maneggio coperto si apriva un’altra porta che conduceva sì all’esterno ma lungo una specie di vialetto perfettamente incanalato tra le siepi che a loro volta dividevano il campo ostacoli in erba dal percorso che bisognava fare per arrivare in rettangolo o nel campo ostacoli in sabbia, poi si entrava in rettangolo oppure nel campo ostacoli in sabbia e naturalmente avevamo la staccionata perimetrale o la siepe che delimitavano lo spazio a nostra disposizione per lavorare… Insomma, una serie continua di sponde e punti di appoggio e riferimenti e argini all’interno dei quali ci muovevamo come tanti pesciolini in un acquario. E poi oltre la siepe che circondava il tutto c’era la città, con il suo asfalto, le sue macchine, le sue case e i suoi palazzi, i suoi rumori, i suoi negozi, il suo febbrile andirivieni di gente che camminava veloce guardando l’orologio preoccupandosi di incasellare impegni di vario genere a ritmo serrato, la città che sembrava quasi ingurgitare questa piccola bolla fatta di sabbia, erba, legno, cavalli e ragazzi… E’ per tutta questa serie di ragioni che quando davanti a noi si è spalancato lo spazio immenso e sconfinato e incalcolabile dei Pratoni del Vivaro ci siamo tutti sentiti come improvvisamente sperduti, abbandonati, incapaci di trovare un orientamento, un riferimento, in preda a una vertigine che ci dava timore ed euforia allo stesso tempo. Noi in sella a un cavallo non avevamo mai visto una cosa del genere: prati e colline e alberi e ancora colline e altri prati e altri alberi… tutto davanti a noi a perdita d’occhio e senza apparentemente una fine. Eravamo davanti a tutto questo in sella ai nostri cavalli: e per la prima volta ci siamo sentiti liberi. Potevamo prendere il galoppo e andare dritti e in avanti senza mai dover svoltare a destra o a sinistra per chissà quanto… forse per sempre, forse avremmo potuto raggiungere tutto quello che della vita in quel momento per noi era sconosciuto… Per la prima volta ci siamo resi conto di cosa volesse dire essere insieme a un cavallo: non per saltare o per fare una ripresa di addestramento in rettangolo o per far vedere quanto bravi fossimo a presentare cavalli morbidi ed elastici e agli ordini e ben toelettati… no, niente di tutto questo. Ci siamo sentiti per la prima volta insieme al nostro cavallo semplicemente perché in quello spazio sconfinato abbiamo capito di non poter fare a meno di lui: quello spazio senza fine aveva senso per noi solo grazie alla presenza del nostro cavallo sotto la nostra sella. Come se quell’infinita dimensione rappresentasse improvvisamente lo spazio di una libertà in cui il protagonista principale fosse lui, e non noi. Come se improvvisamente ci rendessimo conto di quanto innaturale fosse muoversi in sella ai nostri cavalli dentro una scatola: e viceversa quanto naturale fosse immaginare i nostri cavalli liberi di galoppare lungo quei prati su quelle colline e tra quegli alberi a perdita d’occhio, un galoppare che volesse dire galoppare davvero e non fare finta di farlo dovendo svoltare su di un angolo a novanta gradi ogni tot metri per ritrovarsi infine a calpestare le stesse impronte marcate proprio in quel luogo solo qualche attimo prima. Lo spazio. Ecco: noi giovani cavalieri cittadini abbiamo sentito e pensato tutto questo quando ci siamo trovati per la prima volta davanti ai Pratoni del Vivaro. Poi la gara, certo. E tutto quello che di meraviglioso, emozionante, indimenticabile la gara ci ha regalato. Sensazioni indelebili. Ma quella vertigine e quell’euforia iniziali non sono paragonabili a nulla. A nulla. Trovarsi a cavallo per la prima volta dentro i Pratoni del Vivaro è stato come scoprire quale fosse la collocazione perfetta della nostra vita in questo mondo. Il mondo era quello: e bisognava viverlo in sella a un cavallo. Insieme a un cavallo.