Bologna, 2 dicembre 2016 – Prendiamo: tre partecipazioni al Campionato d’Europa di completo juniores; una medaglia d’oro nel Campionato d’Italia di completo; nove titoli assoluti seniores nel dressage; quattro Campionati d’Europa seniores di dressage; la partecipazione in dressage alle Olimpiadi di Barcellona ’92 e la selezione come P.O. per Los Angeles, Seul e Atlanta; aggiungiamo una finale di Coppa del Mondo (‘S-Hertogenbosch 2002) e sette medaglie di bronzo Coni al valore sportivo. Mescoliamo il tutto ed esce lei: Laura Conz.
Laura Conz, classe 1962, ha dedicato la maggior parte della sua vita ai cavalli, prima in veste di allieva, poi da atleta, da tecnico e infine come tecnico nazionale e dirigente federale. Nella sua carriera professionale è passata dal completo al dressage per poi abbracciare la paralimpica. Oggi è capo dipartimento dressage, membro della Commissione Formazione Fise, docente dei corsi istruttori e tecnico federale per la paralimpica.
“Quando mi hanno proposto la paralimpica – racconta la Conz – ero perplessa. Anzi, direi quasi scettica. Pur non essendomi mai fermata, nella mia vita, per apprendere e vivere il più possibile l’equitazione, in questo caso non sapevo se ritenermi in grado di ricoprire il ruolo di tecnico nella paralimpica, ben sapendo che si trattava di una disciplina che richiedeva uno studio approfondito, una piena conoscenza del sistema nazionale e del contesto internazionale con annessi regolamenti (classificazioni, aiuti, etc..) e che puntava ai massimi livelli del rettangolo fino alle Paralimpiadi. Non mi spaventava l’enorme mole di lavoro, ma il breve tempo a disposizione per apprendere tutto questo e la conseguente immediata responsabilità che andavo ad accogliere. Detto questo – sorride Laura Conz – Antonella Dallari non mi lasciò molta scelta e quella che sembrava una proposta, in realtà si è tradotto in un incarico”.
Subito al lavoro, quindi…
“Immediatamente! Dovevo colmare velocemente la mie lacune in materia, per non tradire la fiducia dell’istituzione e per svolgere bene il mio compito a favore degli atleti”.
Se il suo ruolo fosse una ricetta, quali ingredienti servirebbero?
“Studio, conoscenza, programmazione, formazione continua sul tema ‘governance federale’ (che è in perenne evoluzione), monitoraggio del territorio, e conoscenza di tutte le persone coinvolte. Questi gli ingredienti di base. Poi aggiungerei alcune spezie: dialogo costante con i paralimpici e i loro tecnici. E tanta passione”.
Cosa le ha trasmesso l’equitazione paralimpica?
“Qualcosa in più rispetto al completo e al dressage. Per me è stato emozionante e divertente portare avanti le compagini azzurre del completo e del dressage, soprattutto con i giovani. Ho dato tutta me stessa per supportare la crescita dei binomi, i sogni degli atleti e il raggiungimento dei successi azzurri. L’equitazione paralimpica, però, ha in sé un valore aggiunto unico: quello di metterti davanti agli occhi come un essere umano sia in grado di puntare su quello che gli è rimasto e non su quello che un incidente o una malattia gli ha tolto. Per questo mi fanno rabbia alcuni atteggiamenti dei normodotati. Non si rendono conto che nello sport e nella vita contano molto la speranza, la motivazione e la giusta focalizzazione. In tanti, noi tutti, abbiamo potenzialità inespresse che teniamo chiuse per timore o insicurezza (o per pigrizia e disfattismo a priori). Gli atleti paralimpici hanno saputo trovare la forza di uscire da un momento buio per rimettersi in gioco e vivere con forza anche gli insuccessi sportivi”.
Ancora una volta dobbiamo riconoscere che il cavallo è un grande amico…
“Lo sport in generale lo è. Chi nasce sportivo non ne può fare a meno. Lo sport ti mette di fronte ai tuoi limiti e dice: superali! Se perdi ti dice: migliorati! E’ uno stile di vita, essere sportivi. Il cavallo poi, lui dimostra di essere anche in questo caso l’essere più disponibile al mondo. Senza saperlo, il cavallo, richiede una responsabilità che spesso ci fa affrontare meglio i problemi quotidiani che il destino ci riserva”.
Il suo ricordo più brutto in questi quattro anni federali…
“Ci stavo pensando proprio adesso. A Sara Morganti… quando Royal Delight non è stata dichiarata ‘Fit to compete’ a Rio 2016. In pochi minuti lei ha visto espropriarsi proprio di quel diritto di battersi in campo, di dare il meglio di sé, anche per tutta la squadra. Di rincorrere una medaglia, di appropriarsi di un sogno che è valso quattro anni di sacrifici. E’ stato straziante, eravamo tutti sgretolati con lei. Non solo il team Italia e tutta la famiglia paralimpica. Anche i concorrenti stranieri con i loro tecnici. Perché in questo ambiente la motivazione che ti porta in campo è comune e non può che esserci empatia tra tutti. Poi, per carità, abbiamo reagito, anche grazie a Sara che non ha esitato a mettersi al nostro fianco animando il tifo più sfrenato”.
Sebbene sembri racchiudere, questo ricordo, qualcosa di brutto e qualcosa di bello, ha un ricordo solo bello?
“Ho una lista di bei ricordi. Tra tutti, gli Europei che ci hanno visti quarti con 0,30 centesimi di scarto dai terzi; i Mondiali, con una splendida Sara, con le grandi ‘Silvie’, con la battagliera Antonella e con un’ammirevole Francesca. Mi porto nel cuore, per lo più, i momenti di coesione con i singoli tecnici, vissuti condividendo programmi, ascoltandoci nel rispetto dei ruoli e trovando le migliori soluzioni per la squadra”.
Se dovesse convincere un genitore a far montare suo figlio a cavallo, cosa direbbe?
“Direi che l’equitazione ha in sé dei valori unici, grazie al cavallo. Che grazie al cavallo si cresce responsabili, nel pieno rispetto della natura, guardandosi perennemente allo specchio. Il cavallo, si sa, è una cartina tornasole che capta e riflette tutte le emozioni del cavaliere. Essendo dotato di un fortissimo sistema parasimpatico, assorbe le tensioni o, al contrario, uno stato di relax. Questo ci insegna a conoscerci, a gestire le emozioni, a superare gli imprevisti e a dialogare con empatia. In campo e nella vita. Inoltre il cavallo aggrega famiglie intere! Spesso ho visto mamme o papà imparare a pulirli, accompagnare i figli in scuderia, parlare con loro e partecipare alle loro ambizioni. Insomma, il cavallo è anche un collante familiare”.
Da atleta a ‘federale’, cosa ha imparato saltando al di là della staccionata ed entrando negli uffici di Viale Tiziano?
“Ho scoperto immediatamente quale è la mentalità d’ufficio che serve per tutto quello che si vede nei campi gara. E sono felice di aver vissuto questa esperienza, perché mi ha arricchito”.
Difficoltà?
“Far capire a chi è di là, cosa ho scoperto io, passando di qua. Per fare alcuni esempi, oggi il mondo sociale vive di una comunicazione molto veloce, mentre a volte risulta difficile, nel nostro mondo sportivo, esserlo altrettanto. Una difficoltà per l’istituzione che deve seguire determinate procedure, e anche per i cavalieri che passano la maggior parte del tempo sui campi”.
Il suo motto di vita?
“Crederci sempre, mollare mai!”.