Pechino, 12 gennaio 2017 – L’ascesa di Lee Jae-yong, chiamato d’urgenza al capezzale di una Samsung Electronics travolta dal fallimento delle batterie difettate del Galaxy Note 7, rischia di aver vita breve, anzi brevissima.
Il manager 48enne, rampollo dell’ultima generazione della famiglia fondatrice del colosso Samsung, è indagato per corruzione e a suo carico potrebbe essere addirittura emesso un mandato d’arresto.
Il team investigativo speciale, al lavoro in Corea del Sud sullo scandalo abbattutosi sulla presidente Park Geun-hye (sotto procedura di impeachment) e sulla sua confidente Choi Soon-sil (arrestata per corruzione e abuso di potere vista l’influenza esercitata sulla presidente), ha deciso di convocare Lee a causa dei sospetti sugli aiuti finanziari erogati a Choi dalla prima conglomerata di Seul a fronte del sostegno «politico» in una delicata operazione di riassetto societario intragruppo. Neanche il tempo di festeggiare il boom di profitti operativi del quarto trimestre anticipati la scorsa settimana da Samsung Electronics (+49,84% annuo) e marcato oggi dal +2,79% guadagnato dalle azioni alla Borsa di Seul, che s’è profilata all’orizzonte la bufera della «convocazione» di Lee: sarà interrogato domani alle 9:30 locali (l’1:30 in Italia) nei panni di «indagato» per corruzione, ha detto il portavoce del pool investigativo Lee Kyu-chul, in conferenza stampa.
Dalle ricostruzioni, secondo l’agenzia Yonhap, è emerso che Samsung avrebbe firmato l’accordo da 22 miliardi di won (circa 18,3 milioni di dollari) con una società tedesca, riconducibile a Choi, sotto forma di consulenza ma allo scopo di finanziare lezioni di equitazione e acquisti di cavalli per sua figlia.
Si sarebbe trattato della contropartita per l’aiuto ottenuto nel riassetto societario del 2015 che vide coinvolto il principale fondo pensionistico statale.
Nel mirino è finita la fusione tra Samsung C&T, ramo delle costruzioni, e Cheil Industries (holding de facto della famiglia Lee) di cui il National Pension Service deteneva rispettivamente l’11,6% e il 5% del capitale.
L’operazione fu duramente criticata dagli investitori guidati dall’hedge fund americano Elliott Associates in base al fatto che l’aggregazione era «un tentativo di trasferire il potere» dal proprietario del gruppo Lee Kun-hee a suo figlio, Lee Jae-yong, da fine ottobre nel board di Samsung Electronics con la carica di vice presidente.
Quindi, una fusione senza valenza industriale, con l’adesione del fondo statale che non fu oggetto d’esame del panel indipendente secondo le norme sudcoreane sui fondi pensione pubblici all’esercizio di voto in aziende quotate. «Tutte le possibilità sono aperte», ha aggiunto il portavoce sull’ipotesi di arresto.
Gli inquirenti stanno esaminando tablet e computer sequestrati a Choi e usati nelle «corrispondenze» con Samsung, mentre «sono centinaia le e-mail da valutare». Lee, che è anche consigliere di amministrazione indipendente della Exor della famiglia Agnelli, rischia poi l’accusa per «l’evidenza di spergiuro» per la testimonianza con diverse incongruenze resa il 6 dicembre scorso in un’audizione parlamentare sul caso Park.
Dopo la tempesta istituzionale lontana da una soluzione, Seul teme quella economica con la destabilizzazione della principale conglomerata del Paese e dell’imprevedibile effetto domino.
Agenzia Ansa