Roma, 20 ottobre 2018 – Un grande amico di Cavallo Magazine non c’è più: Mauro Perni se ne è andato sabato, 20 ottobre 2018, dopo una breve malattia che a fatica ha avuto ragione della sua fibra.
Ci stringiamo alla moglie Margherita e alla figlia Alessandra con tutto il nostro affetto: non vedremo Mauro in carne e ossa alla ormai imminente Fieracavalli di Verona, ma lo ricorderemo e lo sentiremo vicino a noi in ogni momento: sarà lì, tra i suoi amici e i suoi cavalli, come sempre
I funerali di Mauro si terranno lunedi 22 ottobre 2018 alle ore 15 presso la Chiesa di Santa Maria, a Torrita Tiberina, suo paese di origine. La Camera ardente sarà aperta dalle ore 10 della mattina di lunedì al policlinico Casilino.
Chi era Mauro Perni
Almeno una volta lo avrete visto tutti, sicuramente.
Un paio di baffi grigi a spazzola che parlano da soli, cappellaccio, mazzarella appoggiata sulla spalla, camicia bianca dal colletto a solino e gilet di velluto a coste.
Sotto la bardella un cavallo Tolfetano come il suo Pallante o Polverino sempre composti, sereni, obbedienti, attorno i suoi amici di Cottanello o di Blera o di chissà dove, che Mauro amici ne ha dappertutto.
A Mauro piaceva sembrare un vecchio buttero: era nato a Torrita Tiberina nel 1947 da una famiglia dove sempre hanno avuto i cavalli come compagni di lavoro e di fortuna.
Da bambino non lo riuscivano proprio a tener lontano da loro, uno dei suoi primi ricordi è il calcio che una giumenta gli aveva allungato senza volere e lo ha quasi ucciso: «Avevo 5 anni, mi ricordo che stavo dietro la cavalla, scendevamo giù per la viottola e lei era carica delle gerle con l’uva. Dalle gerle colava un filo di mosto, le ha fatto il solletico sotto la coda e lei ha mosso il posteriore per tirasse via il fastidio, mica me voleva piglià ma mi son rotto la mandibola, una settimana di coma e m’hanno rimesso assieme col fil di ferro».
Aveva imparato dal padre, dal nonno e dagli zii cose che in tanti hanno dimenticato o mai appreso – perché la mazzarella la devi fare col legno del crognolo (il corniolo, fuor di Maremma), come si fa un capezzone o come si usa la lacciaia. Ma sopra tutto come deve essere un cavallo da lavoro: senza vizi, senza paure, bravo e facile da montare.
Ma se lo guardavate bene, vi accorgevate che Mauro Perni era anche qualcosa d’altro, oltre a un buttero.
Lo notavi magari quando vedeva qualcosa di mal fatto ad un cavallo, o una trascuratezza in qualche cavaliere nei paraggi.
Allora gli andava su la pressione e il sigaro (che ogni tanto si concedeva) ballava di qua e di là dai baffi, che cominciavano ad agitarsi e a trapestare sul posto e invece di uscirgli una serie di santoni assortiti Mauro diceva quello che serve ad aggiustare le cose, a raddrizzare l’errore e a far capire qual’è la strada giusta: che Mauro era un maestro, più di ogni altra cosa.
Di quelli che insegnare è una seconda natura e lo fanno in modo così garbato che quasi non te ne accorgi di aver sbagliato.
Faceva come con i puledri bradi da spostare da un pascolo all’altro: metteva le sue osservazioni nei posti giusti, poche parole precise a chiudere le strade sbagliate e che ti lasciano aperta solo quella migliore, che hai proprio lì davanti al naso e allora è facile imbroccarla e la ricorderai volentieri anche la prossima volta.
Poi Mauro è stato anche qualcosa d’altro nella vita: tecnico della Rai in prima linea, trent’anni di giornalismo anche d’assalto che lo hanno portato in quasi tutti i paesi del mondo (sono solo due o tre quelli dove non ha mai messo piede).
Quando e dove succedevano le cose lui era lì, a rendere possibili collegamenti e servizi in situazioni impossibili: magari da una stanza dell’Holiday Inn di Sarajevo a 19° sotto zero e senza vetri per via dei bombardamenti all’inizio della guerra in Bosnia, o dalla Mogadiscio del 1993 prima che sbarcassero gli americani (il film Black Hawk Dawn racconta quella battaglia, che pose fine all’intervento dell’Onu).
Chissà com’è dover andare in diretta nello spazio immobile di poche decine di secondi senza possibilità di errore, confezionando lo stesso identico tipo di prodotto che esce da un ovattato studio romano ma trovandosi invece in zona di guerra, dentro un palazzo aperto dalle bombe o sotto il sole dell’equatore e lontano da quasi ogni sicurezza, certezza e prospettiva di tranquillità: Mauro lo sapeva, ci è passato tante volte, ma mica ne parlava tanto di questo pezzo della sua vita.
Come non parlava tanto degli anni che ha passato al Quirinale lavorando con Scalfaro e Ciampi, o di quelli in cui ha seguito Papa Giovani Paolo II nei suoi viaggi per il mondo: una volta si era appisolato in aereo per la stanchezza e si svegliò sentendo la carezza di Papa Wojtyla che passando aveva avuto per lui quel gesto di tenerezza, così semplice.
Mauro era questo, e anche tanto altro: se una persona è fatta di quello che ha vissuto ce ne vorrebbero di pagine per raccontarlo tutto, noi ci limitiamo a puntare un po’ di luce su quello che conosciamo meglio.
Che era un buttero con gli occhi attenti, la mano dolce coi cavalli, che sapeva prendere la mira con le parole giuste e si commuoveva pensando a un ragazzino montato su un pony piccolo così, che da sotto in su gli chiede «Zi’ Mauro, va bene così?».
Questo era il nostro Mauro: un buttero, tra le altre cose.