Da Cavallo Magazine di Novembre 2015
Cottanello, 11 settembre 2016 – Ricordate quel proverbio sui pifferi di montagna, che andarono per suonare e furono suonati? Ecco, chi scrive per voi ha vissuto l’esperienza in prima persona – anche se in modo più che piacevole e positivo.
Il tutto è capitato lo scorso giugno, in un trekking che si è svolto ai confini tra Lazio e Umbria grazie alla Associazione degli Allevatori di Ponzano e Cottanello. Una sessantina di binomi, per la maggior parte butteri o appassionati di monta da lavoro, riuniti ad accompagnare una razzetta di puledri Tolfetani sulle tracce delle antiche transumanze. L’intento era quello di documentare tutto come solito, armata di macchina fotografica e taccuino e montata su Pallante, un cavallo della Tolfa che sa leggere, scrivere e fare da balia asciutta a chi ha la fortuna di calcare la sua bardella.
Ma una volta arrivata in loco ecco l’imprevisto: con noi ci sarebbe stata una troupe televisiva per girare un documentario su butteri, cavalli Tolfetani e transumanza. Questo rendeva impossibile armeggiare con obiettivi e penne nel bel mezzo del gruppo montato, le riprese sarebbero state rovinate. Quindi che fare, piede a terra e seguire il tutto dalla macchina di servizio? Macché, la vostra cronista ha egoisticamente scelto di godersi Pallante accantonando i doveri giornalistici, sfruttando la possibilità di pensare solo ai cavalli e senza preoccuparsi di altro.
E’ così che ho potuto andare a prendere i puledri con gli altri a Collesecco: arrivare piano al passo fino a loro per non farli galoppare via, aspettare che venisse presa e incapezzata la campanara (cioè la capobranco, quella che tutti gli altri seguiranno) che sarà portata sotto mano tutto il tempo da Antonio.
E poi finalmente poter tenere in mano la mazzarella, che se non puoi toccare i puledri che stai lì a fare? E scoprire che i cavalli la sbirciano con la coda dell’occhio e basta inclinarla a dovere per smorzare già dall’inizio qualche timido tentativo di evasione.
Per quelli più decisi invece serve il cavallo montato, San Pallante nel mio caso: che non si distrae un attimo dalla razzetta, e se qualche puledro tenta ingenuamente di fargliela sotto il naso lui zacchete, fa anche le mostre di appioppargli un mozzico – e quello via, si riadegua obbediente accosto agli altri. Su per il bosco, il sentiero è stretto e ripido e tortuoso ma così bello da togliere il fiato: una luce liquida e verde cade dall’alto, noi a lato o dietro i puledri come una processione silenziosa.
A un certo punto salendo c’è stato come uno squarcio di sogno: in una radura tra il folto la luce del sole scendeva giù dritta, limpida, a illuminare un gruppo di giovenche candide, che ruminavano tranquillamente silenziose come solo i sogni sanno essere, e gli animali pacifici.
Siamo sfilati loro accanto, senza disturbarle: più su ci aspettava l’altopiano di Fonte Cerro, con una merenda messa lì apposta per ristorarci: legati i cavalli all’ombra degli alberi attorno dopo averli abbeverati al fontanile è stato bello riposarsi, ma ancora più bello rimontare in sella e continuare attraverso i pascoli. Su, fino alle Casette: un agglomerato di case dove i pastori passavano l’estate, poche case sparse su un prato largo e ondulato che è solo una parte del grande altopiano.
Querce, cerri e lecci sono gli alberi più imponenti della flora locale e alcuni esemplari sembrano monumenti sparsi da un paesaggista raffinato tra i prati tenuti bassi e puliti dal bestiame che pascola qui, dove l’erba è corta e vellutata. Adesso è il momento di una pausa più lunga, abbiamo fatto più di quattro ore di sella su sentieri molto impegnativi e i cavalli meritano una sosta.
Noi ci sediamo ai lunghi tavoli e gustiamo l’acquacotta preparata sul fuoco da campo, poi con calma il gruppo si ricompone e torna verso Cottanello. Sempre con gli amici che stanno facendo le riprese per la televisione all’opera con le loro telecamere: un gioco che costringe anche me a fare del mio meglio per non stonare in mezzo agli altri – ma che bello avere una buona scusa per far finta di essere un po’ buttero anche io, almeno per una volta. Ringrazio silenziosamente Pallante che come sempre riesce a prestarmi la sua esperienza, scendo verso valle parlando con gli amici che oggi mi hanno tenuta tra di loro, insegnandomi qualcosa di nuovo che mi rimane sempre la voglia di riuscire a imparare meglio.
Come piffero non sarò un granché e come buttero nemmeno ma questa è stata un altra giornata incantevole: come sempre merito di alcuni amici, e di tanti cavalli.
Il Trekking:
1 razzetta di puledri Tolfetani, 2 giorni di trekking, 60 binomi per 550 metri di dislivello e 20 chilometri giornalieri, percorsi in ogni volta in circa 5 ore. Questi i numeri che misurano le 2 giornate trascorse a Cottanello e dei percorsi che hanno toccato le seguenti località:
1° giorno – Raduno e una prima colazione a Collesecco vicino ai resti di una villa romana detta dei Cotta poi siamo passati attraverso il paese di Cottanello e saliti verso Fonte Cerro, che è il valico dove passa la strada che va verso Rieti. Poi siamo saliti vero le Casette alle Prata di sotto e di qui siamo tornati verso Cottanello.
2° giorno – Il gruppo è salito direttamente alle Prata passando per il paese di Cottanello, da lì attraverso i sentieri naturalistici dell’altopiano verso Stroncone, un comune che è già parte dell’Umbria per poi tornare verso Casette e quindi di nuovo a Cottanello.
L’Associazione Allevatori di Ponzano e Cottanello ringrazia in modo particolare il sindaco di Cottanello, Franco Piersanti: che ha messo a disposizione in una serata di pioggia i locali del comune per permettere lo svolgersi della cena del venerdì sera e ha dato il permesso a cavalli, amazzoni e cavalieri di sfilare per le strade del paese.
Cottanello
E’ un comune di 600 abitanti che si trova a 70 km. da Roma e 20 da Rieti, al confine tra Lazio e Umbria. La struttura del paese arroccato su di una collina deriva da quella del castrum romano da cui ha avuto origine. Trasformato poi in castello (era un feudo Orsini) , conserva due cinte murarie concentriche e tra loro il sentiero di ronda completo: è ancora percorribile a piedi e offre una vista mozzafiato sui monti Sabini. Dalle cave di Cottanello proviene un marmo rosso molto particolare, chiamato anche persichino: la villa romana dei Cotta presenta decorazioni fatte proprio con questa materia prima locale, e anche le 44 colonne degli altari laterali della Basilica di San Pietro provengono da qui.
Il Cavallo Tolfetano
I Monti della Tolfa, tra Lazio e Toscana, sono aspri, ricchi solo di miniere di caolino e alunite e sassare. Caolino e alunite hanno fatto campare cave e miniere della Tolfa per 500 anni, le sassare invece hanno pensato al cavallo Tolfetano. Che è stato dimenticato lassù sin dai tempi in cui i Saraceni sbarcavano sulle vicine coste del Tirreno e arrivavano coi loro spigolosi e robusti cavalli Berberi: e mentre in pianura gli allevamenti più ricchi producevano il cavallo Romano raffinandolo con sangue andaluso e orientale, sui monti della Tolfa si erano arrampicati solo cavallini rusticissimi, che si accontentavano dei pascoli più marginali ed erano utili per il basto e l’uso comune, quello per i butteri che non si vedevano contendere da nessuno questi soggetti così essenziali nella morfologia.
Adattabile, rustico, frugale, dal piede sicurissimo sui sentieri più scabrosi: queste sono le qualità del Tolfetano. Caratteristiche oggi ottimali per un comodo e piacevole compagno di passeggiate: mantello sempre baio più o meno oscuro o morello, per gli stalloni un’altezza massima al garrese di 1.58 mt., collo corto ma muscoloso e ben curvato, groppa inclinata e pastorali corti, crini abbondanti e un temperamento vivace e generoso. Resistenza e coraggio, azioni rapide e immediate sono le doti che questi cavalli antichi si portano dentro dai tempi degli etruschi.