Bologna, giovedì 18 novembre 2021 – Su quanto accaduto ieri in sede di votazione nell’Assemblea Generale della Fei tanto si è detto e tanto ancora si dirà. La sostanza è questa: su cento federazioni nazionali votanti, settanta hanno preferito la conferma del format olimpico di Tokyo 2020 anche per Parigi 2024 seguendo l’indicazione della commissione salto ostacoli della Fei, trenta invece hanno votato contro manifestando così la preferenza della vecchia formula. Per il momento lasciamo stare il contenuto di tali format (non perché l’argomento in sé non sia importante: ma proprio perché, essendolo, ci ritorneremo con ulteriori approfondimenti) e cerchiamo di capire quale sia il problema di base.
IL CUORE DEL PROBLEMA
Al di là di discorsi più o meno ampollosi, di documenti, di dichiarazioni istituzionali, di labirintiche costruzioni burocraticamente e cervelloticamente concettuali, il vero cuore del problema è uno e solo uno: il rischio di sopravvivenza degli sport equestri in seno alla famiglia olimpica. Quindi, sgombriamo il tavolo da qualunque complicazione accessoria e affrontiamo la questione in modo diretto.
Esiste davvero questo rischio? Sì, esiste. Perché esiste? Esiste per due ragioni interconnesse. Prima ragione. Il Comitato Olimpico Internazionale deve ampliare il più possibile il numero degli sport in programma alle Olimpiadi e altrettanto deve fare con le nazioni rappresentate. Ma sarebbe come dire che in una stanza che contiene al massimo cinquanta persone ne debbano entrare sessanta: il che è impossibile. Dunque per dieci nuovi arrivi ci devono essere dieci espulsioni: molto semplice.
PERCHÉ IL RISCHIO
Ma perché gli sport equestri rischierebbero di essere tra le… persone espulse per fare posto ai nuovi arrivi? Ed ecco la seconda ragione. Gli sport equestri presentano agli occhi del Cio una serie di criticità assolutamente tipiche e soprattutto esclusive. Primo: la logistica. La presenza dei cavalli raddoppia lo sforzo organizzativo rispetto a quello profuso nei confronti di qualunque altro sport: perché gli atleti sono due con tutto ciò che ne consegue, basti pensare alla sola e semplice questione dell’alloggio (ma poi anche problemi sanitari: ricordiamo il caso delle Olimpiadi di Melbourne 1956 con lo sport equestre dirottato su Stoccolma, o quello di Pechino 2008 con i cavalli a Hong Kong… solo per fare due esempi molto significativi). Secondo: gli impianti richiedono ancora una volta uno sforzo tecnico, economico e organizzativo superiore a quello necessario nel caso di qualunque altro sport. Pensate solo al percorso di cross del completo… Ma anche al campo di gara per il salto ostacoli e il dressage: se non esiste bisogna allestirlo, per farsene cosa poi?
IL BENESSERE
Ma l’argomento preponderante è il benessere. Dei cavalli, ovviamente. Benessere: una parola di cui oggi si abusa indiscriminatamente. Fateci caso: ormai al giorno d’oggi qualunque dichiarazione, intervista, programma, documento, descrizione, analisi… porta dentro di sé l’esibizione quasi plateale dell’espressione ‘benessere dei cavalli’. E’ sbagliato? Sì: perché il benessere dei cavalli dovrebbe essere sottinteso, scontato, ovvio, indiscutibile… Invece siamo arrivati alla ridicola (davvero ridicola) situazione per cui di questo benedetto benessere si parla anche quando proprio non ce ne sarebbe motivo… Domanda: c’è il sole o piove? Risposta: il benessere dei cavalli… Domanda: esci o stai a casa? Risposta: il benessere dei cavalli… Il mondo dell’equitazione è terrorizzato dalla proliferazione di organizzazioni – o sedicenti tali – che in nome del benessere dei cavalli dichiarano guerre di facilissima presa su un pubblico generico che di cavalli e di sport nulla sa: preferite che i cavalli vengano picchiati, torturati, squartati, oppure preferite che pascolino liberi e felici in un prato brucando l’erbetta dolce e buona? Però se si è arrivati a questo punto è perché cose orribili e per questo inaccettabili sono state effettivamente fatte nel mondo dello sport equestre da parte di chi i cavalli li ha solo sfruttati per un bieco interesse personale: dunque chi è causa del suo mal pianga sé stesso…
LA DIFFIDENZA DEL CIO
Quindi, il benessere. Il Cio da questo punto di vista guarda lo sport equestre con una certa diffidenza. Inutile che qui ci si racconti il perché: basta infatti che un cavallo si morda un labbro e ne esca una goccia di sangue o che si faccia un graffio contro un arbusto per finire sui banchi della pubblica inquisizione… Dunque lo sport equestre sulla spinta di questa talvolta molto giusta ipersensibilizzazione dell’opinione pubblica è corso negli ultimi decenni a organizzare una serie di provvedimenti e misure che tutelassero sempre meglio e sempre di più il benessere dei cavalli (e anche dei cavalieri: si pensi per esempio agli ostacoli frangibili e collassabili dei percorsi di cross del completo… ). Rimane però un dato di fatto indiscutibile: un cavallo che fa lo sport è pur sempre potenzialmente soggetto a qualche tipo di rischio, esattamente tanto quanto il suo cavaliere. Ma ecco l’aggressione pubblica: il cavaliere ha scelto di fare quello che sta facendo, il cavallo no… E qui si aprirebbe un dibattito infinito: dunque in questa sede non lo apriamo.
UN RICATTO SUBDOLO
La conseguenza di tutto questo è che sulla testa dello sport equestre aleggia il sentore di un ricatto mai espresso pubblicamente e men che meno ufficialmente, ma ugualmente molto ben percepito: attenzione, perché il rischio è che vi facciamo fuori una volta per tutte. Quindi le istituzioni che gestiscono lo sport equestre – soprattutto nel corso degli ultimi anni – cercano di fare di tutto per assecondare le indicazioni e i voleri del Cio. E’ stato il Cio infatti a congratularsi pubblicamente con la Fei con una lettera nella quale si enumerano tutti gli aspetti positivi – a detta del Cio stesso – determinati dal formato a tre delle squadre in gara alle Olimpiadi di Tokyo: ed è stata proprio questa lettera il documento utilizzato dalla commissione salto ostacoli della Fei per ‘suggerire’ alle federazioni nazionali votanti in Assemblea Generale di seguire le indicazioni del Cio. La conseguenza è stata il risultato di settanta a trenta…
LO SCENARIO PEGGIORE
Ma ipotizziamo ora lo scenario più catastrofico possibile: lo sport equestre viene cancellato dal programma agonistico delle Olimpiadi dopo Parigi 2024 (non accadrà: ma facciamo finta che accada). E’ davvero un male? Quali potrebbero essere le conseguenze a lungo termine? La risposta è sì, è davvero un male. Un grande male. E non per faccende tipo la tradizione… la storia… la cavalleria… i militari…. Caprilli… no, niente di tutto questo. Il male sta nel fatto che senza le Olimpiadi perderebbero la loro ragione di essere le federazioni nazionali degli sport equestri e naturalmente la stessa Fei. Dice: tanto meglio, chissenefrega della Fise (nel caso dell’Italia) e della Fei, io ho il mio cavallo, lo tiro fuori dal box, lo monto e sono felice così. Questa però è un’ottica miope e… nichilista. Le istituzioni sono organizzazioni fondamentali per fare in modo che lo sport venga vissuto bene da una collettività. Ma senza Olimpiadi alla lunga succederebbe che le organizzazioni private prenderebbero fatalmente il sopravvento nella gestione e nell’organizzazione dello sport, il che non sarebbe necessariamente né un male né un bene: ma sarebbe una cosa diversa. Le Olimpiadi ai cavalieri non portano denari, ma portano un prestigio che è professionalmente monetizzabile: se togliamo alle federazioni nazionali il ‘potere’ di mandare un proprio cavaliere alle Olimpiadi perché lo sport equestre alle Olimpiadi non esiste più, quale potrà mai essere il loro ‘appeal’ sullo sport di alto livello? Si dirà: rimangono pur sempre i campionati internazionali… Ebbene, a tal proposito si è già verificato un esempio molto significativo: alla vigilia del Campionato del Mondo di Tryon 2018 due importantissimi cavalieri di una importantissima federazione hanno dichiarato la propria indisponibilità a far parte della squadra nazionale perché più interessati in quel momento a partecipare ai concorsi del circuito Global. Il che – si ripete ancora una volta – non è in assoluto né un bene né un male: ma è una cosa diversa. Se le federazioni nazionali perdono il potere di gestire lo sport di alto livello (sì, ok: c’è chi dice che sarebbe finalmente un bene, ma con tutto il rispetto per chi la pensa così, questa è una visione un po’… qualunquistica) è ovvio che a cascata e alla lunga gli effetti deteriori si avvertirebbero fino alla base. Con conseguenze facilmente immaginabili sulla vita e sulla natura dello sport stesso…
L’OBIETTIVO DI OGGI
Questo è dunque lo scenario globale sul quale si muovono lo sport equestre con le sue istituzioni da una parte, e il Cio e le federazioni di tutti gli altri sport dall’altra. Il compito della Fei non è affatto facile, quindi. La federazione internazionale deve cercare di salvaguardare il più possibile l’interesse del nostro sport, dei cavalli, degli addetti ai lavori, delle federazioni nazionali, cercando nello stesso tempo di non creare situazioni di potenziale rottura con il Cio e con le federazioni degli altri sport. Il compito non è facile per nulla: ma sarà quello più importante da affrontare andando verso le Olimpiadi di Parigi 2024.