Roma, 7 dicembre 2021 – Simone Perillo, al convegno sul ‘Cavallo Vincente’ lei giocava in casa: laureato alla Luiss, master economico a Londra, uno studio sull’indotto del mondo equestre in economia.
Cosa aggiungiamo?
“E’ vero, è stato un appuntamento emozionante a livello personale. Un lavoro di grande qualità, in cui ho creduto molto fin dall’inizio da quando abbiamo portato avanti questo progetto che è la giusta evoluzione di una Federazione che ha il suo core business nell’attività sportiva ma che deve abbracciare vari comparti, dall’attività terapeutica con i cavalli al turismo equestre. In questo contesto saper rappresentare la filiera equestre, che a livello nazionale è molto articolata, dall’abbigliamento sportivo ai trasporti, dai mangimi al turismo, dalle sellerie all’assistenza veterinaria, deve essere un obiettivo federale”.
La sport economy è generalmente sottovalutata: c’è un po’ il sospetto che abbiate fatto questo studio per ribaltare un po’ questa situazione a livello istituzionale o forse solo nella percezione collettiva.
“Sicuramente il mondo sport è stato oggetto di attenzione e anche di aiuti. Nel caso degli sport equestri c’è stata forse in passato meno attenzione rispetto ad altri sport che hanno più visibilità come il calcio e sembrano per questo essere più importanti. La nostra è una disciplina che negli ultimi tempi ha conquistato tantissimi nuovi appassionati ed anche quell’atteggiamento un po’ schivo nel raccontarsi che ha caratterizzato il passato è sfumato, così che oggi l’unica cosa da fare era realizzare uno studio che raccontasse tutta la nostra complessa filiera. Serviva una partnership importante e la Luiss è stata in grado di interpretare questa esigenza arrivando a quantificare numeri molto significativi per il nostro indotto”.
In pratica 30 mila unità lavorative sono una città di medie dimensioni che vive sull’attività equestre…
“Ma non solo. In termini di valutazione economica, tre miliardi di euro sono un comparto industriale che in altri casi ha rappresentanza sindacale più forte perché più uniforme; in questo il riconoscimento legislativo del cavallo atleta contribuisce tanto ad una maggiore garanzia di tutto il movimento, per avere riconosciute alcune giuste agevolazioni mirate, che non sono richieste di fondi a pioggia, ma finalizzate a valorizzare per esempio il turismo equestre, inteso sia come passeggiate in campagna sia come turismo sportivo“.
Che uso farete dello studio ‘Il Cavallo Vincente’?
“E’ uno strumento che ha portato ad una grande attenzione da parte dei vertici istituzionali presenti al convegno, dal Presidente del Coni Malagò al sottosegretario Vezzali fino al direttore generale di Sport e salute Nepi. Una platea di ascolto istituzionale forte, interlocuzioni forti, partner come Snaitech con cui collaboriamo in vista europei, Fieracavalli che fisicamente rappresenta la ricchezza del mondo equestre. Abbiamo raccontato a tutti che in Italia muoviamo questi numeri, il cavallo sportivo della Fise è il cavallo del futuro, continuerà ad accompagnare la nostra crescita ed assieme la crescita economica di numerosi comparti del paese”.
E comunque il dato finale si riferisce al 2018: da allora i tesserati sono raddoppiati…
“Sì e va detto che se la crescita nel 2020 poteva essere considerata come episodica, ora sta diventando strutturale, stiamo fidelizzando un numero crescente di nuovi appassionati grazie al lavoro dei comitato regionali e dei circoli territoriali. Gli sport equestri sono in linea con i valori del rispetto della natura e quindi con la sensibilità più vicina alle giovani generazioni. In pratica facciamo crescere l’economia favorendo anche un rapporto migliore con l’ambiente”.
Quanto valgono grandi eventi come potranno essere i prossimi mondiali ed europei in Italia?
“Gli eventi singoli hanno un impatto diretto misurabile nei bilanci; stiamo per licenziare formalmente il bilancio consuntivo di Piazza di Siena che si chiuderà su una cifra vicina ai tre milioni di euro, costi ovviamente bilanciati da altrettanti ricavi. Il concorso vale sei milioni in termini di movimento economico diretto, poi c’è lo stimolo di questi soldi sui prestatori di servizi, albergatori, turisti, giornalisti, eccetera. Gli eventi creano valore aggiunto netto, perché favoriscono una economia che altrimenti non ci sarebbe. Aggiungo che ai Pratoni per esempio stiamo prevedendo importanti lavori di riqualificazione che a loro volta generano una risorsa positiva con ricaduta che deriva dal budget del mondiale”.
Usciamo dal tema principale: Reining e format olimpico. Qui lei gioca ancora in casa o in trasferta?
“L’America, che è la culla del Reining e punto di partenza più importante per questa disciplina, non si è assoggetto ad una governance mondiale, con pregi e difetti, ma comunque espressione di una comunità in cui tutte le discipline si ritrovano. Ciò non toglie che tutte le federazioni europee hanno investito tanto e vogliono continuare ad essere punto di riferimento per il Reining, quindi sicuramente l’impegno della Fise in ambito Reining verrà mantenuto e valorizzato”.
E sul format olimpico che posizione avete?
“Qui si sono scontrate due visioni che meritano entrambe rispetto: c’è una idea tradizionale con la squadra classica a quattro binomi che caratterizza la disciplina. Questa impostazione ha però un limite nei numeri dei potenziali partecipanti: un po’ tutti gli sport sono chiamati a contenere il numero di atleti presenti”.
E questa è la posizione dei cavalieri: quella che ha perso…
“Esatto… a fronte di questo c’è la posizione opposta, che vuole accompagnare la globalizzazione spostando il baricentro degli sport equestri i non più appannaggio dell’Europa, degli Stati Uniti, dell’Australia e della Nuova Zelanda ma aprendo all’America latina, al Sud Est asiatico, al Medio Oriente, dove – per fortuna, aggiungo io – la nostra disciplina sta prendendo piede. Questa necessità ha portato alla decisione di Anversa, che credo sia una decisione saggia”.
Non proprio una posizione popolare la sua…
“Ora dobbiamo lavorare sul livello qualitativo, dobbiamo far in modo che ci siano squadre di alto livello. Come Fise stiamo già ragionando per facilitare l’uso delle riserve che quindi contemplino le giuste osservazioni che diversi autorevoli cavalieri hanno sollevato. Capisco la contrapposizione, ma l’obiettivo è proiettarsi verso il futuro, il muro contro muro non sarà utile e la vera sfida in vista di Parigi è come arriveranno le nostre squadre, come favoriremo l’apertura al mondo. Gli sport veri sono quelli veramente mondiali, per cui vedo come obiettivo della Fise e di tutti noi che si superi questa contrapposizione. Il basket ad esempio resta 5 contro 5 ma ha lanciato il 3 contro 3 che nasce dall’esperienza dello street basket. Bisogna ricordarsi sempre a dove si parte, orgogliosi di sapere da dove si viene, però felici che arrivino anche altre nazioni”.