Arezzo, 25 novembre 2018 – Ha destato clamore in città e anche fuori il blitz della guardia di finanza che ha portato all’arresto di Antonio e Andrea Moretti oltre a una raffica di interdizioni dall’attività imprenditoriale per altri membri della famiglia. Ma le aziende andranno comunque avanti e per questo il Gip Piergiorgio Ponticelli ha nominato due amministratrici giudiziarie nelle persone della dottoressa Polvani e di Sara Gialli: avranno il compito di garantire il proseguimento della missione aziendale sia nel campo dei vini che in quello dell’abbigliamento.
Sotto sequestro è infatti finita la Tenuta Sette Ponti di Castiglion Fibocchi dove si producono rossi di grande qualità e famosi in tutto il mondo; ma anche i marchi del settore abbigliamento e calzature della famiglia. Nel corso della prossima settimana si svolgeranno davanti al Gip gli interrogatori di garanzia e Ponticelli inizierà ascoltando i colpiti da interdizione per poi passare ad Antonio e Andrea Moretti, adesso agli arresti domiciliari.
Padre e figlio sono accusati di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio e all’autoriciclaggio, e ad altri reati fiscali. Ieri, intanto, è trapelata anche la notizia di un’altra accusa a carico dei due imprenditori aretini, qualla di mendacio bancario. L’accusa è di aver presentato ad alcuni istituti, tra i quali Intesa San Paolo, Chianti Banca, Popolare di Vicenza, fatture emesse all’interno del gruppo stesso fra una società e l’altra per scontarle e incassare la linea di credito.
Secondo la procura, che si è avvalsa delle indagini delle Fiamme Gialle, questa pratica avrebbe portato nella disponibilità dei Moretti 1,5 milioni di euro.
Emerge anche che il nome di Antonio Moretti era entrato nella black list dei cattivi pagatori, compilata da Bankitalia.
E a ciò sarebbe dunque riconducibile l’intercettazione che La Nazione ha pubblicato nell’edizione di ieri. Dice infatti Antonio Moretti in ufficio non sapendo che le conversazioni venivano carpite dalle cimici piazzate dai finanzieri: «Tanto non ho un c…».
E il riferimento sarebbe appunto all’essere stato inserito nella lista della Banca d’Italia. L’inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Marco Dioni e durata più di un anno, ha portato a sequestri per 25,5 milioni e a una contestazione di imponibile evaso, fra imposte sul reddito e Iva, di circa dieci milioni.
Il meccanismo, secondo la procura, era quello di un giro di società dopo il fallimento di Confitalia, la prima controllante. In tutto 34 sigle, sempre secondo la Procura, di volta in volta svuotate, fra mancati pagamenti di tasse e prelievi personali. Altissimo il tenore di vita: het personale, imbarcazione privata, una scuderia di decine di cavalli da polo.
Articolo di Salvatore Mannino