Bologna, domenica 30 dicembre 2018 – Ted Edgar, una vera e propria leggenda dello sport equestre britannico e mondiale, ci ha lasciato oggi, questa mattina alle 6.30. Un uomo di cavalli straordinario che ha avuto una duplice carriera e un duplice ruolo: prima come cavaliere, poi come trainer, ma sempre da protagonista, sempre da numero uno, anche se il Ted Edgar trainer ha probabilmente oscurato la fama del Ted Edgar cavaliere. In campo ostacoli certamente la sua più grande affermazione è stata la vittoria nel 1969 della King George V Gold Cup – il Gran Premio dello Csio della Gran Bretagna – in sella a Uncle Max, un cavallo acquistato negli Stati Uniti dove faceva i rodei e che Edgar aveva trasformato in un formidabile saltatore. Nel ruolo di trainer, nella sua scuderia Rio Grande, Ted Edgar ha però vissuto i successi più significativi, che hanno un nome e un cognome: Elizabeth Broome, Nick Skelton, Lesley McNaught, Marie Edgar (solo per citarne alcuni tra i più prestigiosi). La prima è la moglie di Edgar, da tutti conosciuta con il diminutivo di Liz, sorella del grandissimo David Broome; è stata la prima amazzone della storia capace di vincere il Gran Premio dello Csio di Aquisgrana, nel 1980 in sella a Forever: detto ciò è inutile aggiungere altro… Marie è la figlia: amazzone di valore internazionale. Lesley McNaught è in seguito divenuta una delle amazzoni più importanti del mondo per i colori della Svizzera: ma i tre anni trascorsi a Rio Grande sono quelli che l’hanno formata da capo a piedi. E Nick Skelton? Beh, nel suo caso la storia vissuta a Rio Grande è davvero un romanzo pieno di amore, odio, lacrime, gioia, passione, tradimenti… Skelton è arrivato ragazzino quattordicenne in scuderia da Ted Edgar, e ci è rimasto fino ai 28 anni: la sua vita di uomo e di cavaliere è stata costruita lì. «All’inizio un sacco di volte mi è venuta la voglia di piantare tutto e scappare a casa dai miei genitori dicendo che dagli Edgar non sarei mai più tornato. Ma mio padre mi ci avrebbe riportato subito… », ha raccontato Skelton. Ma per comprendere al meglio la natura del rapporto vissuto da Edgar e da Skelton tra di loro – e quindi la personalità davvero particolare di Edgar – non esiste nulla di meglio che leggere alcuni passaggi tratti dalla meravigliosa autobiografia che Nick Skelton ha pubblicato nel 2017 per l’editore Weidenfeld & Nicolson dal titolo “Gold”. Un libro che non dovrebbe mancare nella biblioteca di qualunque appassionato di sport equestri. Eccone alcuni estratti.
«Alcuni dei suoi metodi (di Ted Edgar, n.d.r.) erano decisamente poco ortodossi. Una volta stavo montando Maybe in una gara riservata gli young riders a Burley-on-the-Hill e in campo prova Ted continuava a ripetermi che sul salto non avanzavo abbastanza, non era per niente soddisfatto della mia posizione. A un certo punto mi urla di andare da lui: mi afferra la cravatta e me la lega al collarino della martingala di Maybe dicendo: “Così la smetterai di stare indietro!”. Mi sono praticamente ritrovato con il naso attaccato al collo del cavallo… Fortunatamente saltando in campo prova non sono caduto, e Ted mi ha slegato la cravatta prima di farmi entrare in campo gara. Da quel giorno ho cominciato ad avere la posizione che voleva lui… ».
«Intanto dagli Edgar l’atmosfera lentamente stava cominciando a deteriorarsi (Skelton qui è arrivato a raccontare gli eventi accaduti subito dopo il suo matrimonio, quindi quasi alla fine del suo periodo a Rio Grande, n.d.r.). Con le responsabilità di uomo sposato, e con le bollette da pagare, non potevo più permettermi di guadagnare una specie di elemosina. All’ora di pranzo tornavo a casa a mangiare, cosa mai accaduta in precedenza. Il mio compito continuava a essere quello di vincere come sempre avevo fatto, ma Ted capiva di non avermi più sotto il suo totale controllo. Ero innamorato di Sarah e la mia vita quotidiana non ruotava più esclusivamente intorno alla scuderia degli Edgar. Questo stava cominciando a causare qualche frizione tra me e Ted. L’arrivo di Lesley McNaught in scuderia ha comportato una ulteriore serie di problemi, dal momento che Ted riservava più attenzioni a lei nel lavoro quotidiano. Lesley viveva in scuderia e quindi era in grado di dare il 100% di quello che le veniva richiesto; non che io non facessi altrettanto, però nella mia vita adesso c’erano anche altre cose. Il rapporto tra Ted e me stava cominciando a rovinarsi».
«Washington fu un pessimo concorso per me (Skelton racconta della seconda trasferta della sua vita negli Stati Uniti, n.d.r.). Non vinsi nulla in sette giorni. (…) Ogni giorno chiamavo Rio Grande e ogni giorno dovevo dire di non aver vinto nulla. Ted (che era rimasto a casa, n.d.r.) stava cominciando a irritarsi. (…) Poi andammo al concorso di New York al Madison Square Garden, sei giorni di gare. Speravo che la fortuna mi venisse incontro. (…) Il primo giorno ancora una volta non combinai niente. Era davvero doloroso dover comunicare a casa ancora una volta tutto ciò ed essere costretto a tenere il telefono distante dall’orecchio tanto quanto l’intera lunghezza del braccio per non sentire la valanga di improperi che mi arrivavano dall’Inghilterra: Ted che diceva delle enormi spese che aveva sostenuto per mandarmi fin là e che io ero completamente incapace di vincere qualcosa. Poi il venerdì stavo lavorando in campo prova prima di una gara e a un certo punto vedo Ted. Nessun avviso, niente. Lui viene verso di me come un uragano infuriato urlandomi che ero completamente inutile. Naturalmente tutti lo potevano sentire… Lui stava dicendo le stesse cose che mi aveva detto al telefono, ma adesso c’era un pubblico. La mia pazienza finì: “Perché diavolo non te ne torni a casa?”. Ted girò sui tacchi e io non lo rividi più, quindi immaginai che se ne fosse davvero tornato a casa».
«Il giorno dopo (la nascita del primo figlio di Nick e Sarah, Daniel, avvenuta il 9 aprile 1985, n.d.r.) partimmo per Goteborg. John Whitaker, Malcolm Pyrah, David Broome e Liz avrebbero montato in gara insieme a me. Il primo giorno i nostri cavalli non andarono molto bene: Ted arrivò, non esattamente del miglior umore. In campo prova disse a Liz che stava facendo schifo e che non poteva continuare a montare in quel modo. Io ricevetti lo stesso trattamento. Era davvero incollerito e io sapevo che non avrei potuto né fare né dire qualcosa di giusto in quel momento. (..) Tutti i miei amici si congratularono con me per la nascita di Daniel, mentre Ted non mi disse una sola parola. (…) Nel Riders’ Club si poteva avere tè, caffè e qualcosa da mangiare tra una gara e l’altra. Ci andai per calmarmi e concentrarmi un po’. Ted stava parlando con Eddie Macken, il quale non aveva idea di quello che stava succedendo così a un certo punto disse scherzando a Ted: “Metterai una culla nel tuo van adesso, no?”. Ted replicò: “Quel piccolo bastardo non ci salirà, nel mio van”. Io lo sentii, mi alzai e me ne andai. Ero furioso. Me ne andai in scuderia pensando che tutto questo era davvero troppo. Ne avevo piene le scatole di Ted. Dovevo pensare al mio futuro. Mi tolsi gli stivali e me ne andai dalla scuderia; eravamo tra le gare del pomeriggio e quelle della sera. Entrai nel salone dell’hotel e Ted era là, seduto a parlare con Liz. Mentre attraversavo il salone andando verso gli ascensori lui mi chiamò: “Dove stai andando, incapace che non sei altro?”. Non risposi. Lo ignorai completamente e presi l’ascensore per andarmene in camera. Dopo un po’ andai nella camera di Malcolm Pyrah e ci guardammo un po’ di corse insieme. Malcolm si accorse che io ero assolutamente furioso a causa di qualcosa. Me ne chiese il motivo e io gli risposi che se Ted mi avesse detto anche solo una parola in più l’avrei steso. Malcolm cercò di calmarmi. (…) Guardammo qualche altra corsa e poi me ne andai in camera mia. Quindi arrivò il momento di tornare in scuderia per le gare della sera. Presi l’ascensore per scendere e nell’atrio dell’albergo vidi Ted ancora là, seduto con Liz. Come io attraversai il salone lui se ne uscì con un altro commento rivolto a me, nemmeno mi ricordo più cosa disse, ma mi fece infuriare nuovamente. Mi sentii avvampare dalla collera, la mia mente era completamente accecata. Andai verso Ted e gli dissi di ripetere quello che mi aveva appena detto. Lui lo fece. Io gli scaraventai contro due pugni, un destro e un sinistro. Finimmo lunghi distesi sul pavimento della reception e per maggior sicurezza mentre eravamo a terra gli diedi un calcio ben assestato. Intanto arrivarono quelli dello staff dell’albergo che dopo averci separato mi buttarono fuori. Me ne andai in scuderia sentendomi meglio, ma sapevo che sarebbe stata la fine. Non vidi più Ted durante il concorso, lui partì per tornarsene a casa. Liz venne in scuderia per parlarmi: capiva perfettamente come mi sentivo».
«Dave Dick, amico sia mio sia di Ted, cercò di riappacificarci. Dicko un giorno andò a parlare a Ted, ricordandogli che perfetta squadra vincente eravamo stati e che le cose tra noi dovevano essere rimesse a posto. Ted si disse disposto a metterci una pietra sopra. Io entrai nella rimessa dei trattori dove Ted stava lavorando e gli chiesi scusa mentre anche Dicko era lì. Ci stringemmo la mano, gli dissi che ero dispiaciuto e che avremmo dovuto cercare di andare avanti al meglio delle nostre possibilità. Ma il danno era stato troppo profondo e la spaccatura difficile a rinsaldarsi».
«Che io avessi avuto un… incontro di pugilato con Ted Edgar fu lo scandalo di cui si parlò in giro ai concorsi e più tardi, in agosto, al Derby di Hickstead, fui intervistato da David Vine per la Bbc. Annunciai la mia intenzione di lasciare la scuderia degli Edgar a fine anno. Ted disse che quella era la prima volta che sentiva parlare della mia intenzione di andarmene e che ne fu scioccato, e che comunque erano un sacco di balle. Il 24 agosto 1985, Jenny McArthur scrisse sul Times: “Il signor Edgar ieri ha detto che le cose tra lui e Nick Skelton non sono più le stesse dal giorno del loro violento scontro a Goteborg in aprile a proposito dei metodi di preparazione e di lavoro nel concorso di Coppa del Mondo. ‘Io non dimentico e non perdono’, ha detto Edgar, aggiungendo ‘ma è giunto il momento che lui trovi la sua strada’.”. Lo stesso giorno in cui Ted rilasciò queste dichiarazioni a Jenny, io dissi ad Alan Smith del Daily Telegraph: “Ho 28 anni e ho deciso che è giunto il momento di fare la mia vita. Non esiste al mondo un trainer migliore di Ted Edgar e penso che noi due insieme siamo stati una squadra eccellente, ma non può durare in eterno”. Dal canto suo, Jenny continuò così nel suo pezzo: “Nonostante le sue dure parole, Edgar, richiesto di un suo giudizio su Skelton, ha detto: ‘È il più grande cavaliere del mondo: e non potrà che continuare a esserlo’”. Immagino quindi che Ted e io abbiamo finalmente fatto quadrare le nostre cose».