Bologna, giovedì 2 gennaio 2020 – Antonio Licheri era un uomo forte. Anche troppo, soprattutto verso sé stesso. Nato nel 1929 ad Abbasanta, in Sardegna, fin da piccolo era stato temprato sia nel carattere sia nel fisico dalle durezze di un’epoca molto difficile e da quelle della sua impervia e selvaggia regione. Una regione nella quale la pastorizia e l’allevamento – soprattutto in quegli anni – hanno sempre avuto un ruolo predominante. Allevamento di cavalli, anche, che della Sardegna sono un vero e proprio segno distintivo. Un segno che presto è diventato ugualmente distintivo nella vita di Antonio Licheri. Insieme a un altro segno, ugualmente marcato nell’animo e nello spirito di quest’uomo duro e forte: i colori dell’Arma dei Carabinieri. Antonio Licheri ha amato la divisa nera quasi venerandola. E amando e venerando un uomo che con quella stessa divisa ha ottenuto come cavaliere i successi più grandi e prestigiosi che un atleta possa sognare: Raimondo d’Inzeo. Il rapporto tra Raimondo d’Inzeo e Antonio Licheri è stato continuo e intenso durante tutti gli anni trascorsi insieme alla caserma Pastrengo a Roma, quindi dalla prima metà degli anni Cinquanta alla fine dei Sessanta. D’Inzeo come ufficiale, Licheri come appuntato, quindi con un dislivello gerarchico notevole, azzerato tuttavia dalla stima reciproca. Soprattutto dalla fiducia reciproca: Antonio Licheri (spesso duramente critico nei confronti di molti dei suoi superiori) si sarebbe buttato nel fuoco se Raimondo d’Inzeo gliel’avesse ordinato, e allo stesso tempo Raimondo d’Inzeo affidava i suoi cavalli ad Antonio Licheri come se avesse continuato a montarli lui stesso. Ovviamente i ruoli all’interno della scuderia erano diversi: Antonio Licheri – come altri carabinieri in servizio alla Pastrengo – doveva montare i cavalli giovani, oppure quelli maturi da mantenere in allenamento, oppure quelli che presentavano difficoltà particolari e ai quali Raimondo d’Inzeo non aveva il tempo di dedicare sufficiente attenzione dovendo mantenere un’attività agonistica costantemente intensa: tuttavia sono stati moltissimi i suoi risultati ad alto livello nazionale e internazionale, così come altrettanto numerosi sono stati i cavalli che hanno cominciato con lui un’attività agonistica che poi sotto la sella di Raimondo d’Inzeo li avrebbe consacrati campioni di prima grandezza, tra tutti la femmina grigia irlandese Bells of Clonmell che proprio con Licheri muove i primi passi in gara dopo essere arrivata al Centro Ippico Carabinieri all’inizio degli anni Sessanta. Alla fine del 1969 Antonio Licheri si congeda ponendo così termine alla prima grande parte della sua vita di uomo di cavalli, e contemporaneamente inaugurando la seconda: quella che lo vedrà impegnato nel ruolo di istruttore prima in Toscana con la famiglia Barsotti, poi a Bologna con i Ricciotti. Per poi dedicarsi alle due più importanti scuole di equitazione della sua vita di istruttore: il Circolo Ippico Friulano di Udine e la Scuola Padovana di Equitazione di Padova. Durante questo arco di tempo che si prolunga fino alla seconda metà degli anni Ottanta, Antonio Licheri continua anche l’attività di cavaliere, seppur marginalmente e comunque dedicandosi solo ai cavalli giovani, molti dei quali scoperti dal suo occhio di competente intenditore e poi valorizzati dalla sua qualità di addestratore, e quasi sempre provenienti dall’allevamento delle Fiocche di Renzo Braggio; in particolare Adone, Doly, Cerasella, Enea, tutti soggetti di grande qualità protagonisti di una eccellente carriera sportiva: Adone delle Fiocche e Doly delle Fiocche sotto la sella rispettivamente di Filippo Rizzi (allievo dello stesso Antonio Licheri a Udine) e di Stefano Carli hanno toccato vertici di meraviglioso sport.
Antonio Licheri come istruttore ha impostato tutta la sua vita su di un principio del quale riteneva essere sé stesso il miglior rappresentante: avendo vissuto a lungo al fianco di un cavaliere strepitoso come Raimondo d’Inzeo, Licheri sapeva bene cosa volesse dire essere un fuoriclasse, un campione che mescolasse dentro sé stesso dono divino e costruzione scolastica in egual misura… Lui era consapevole di non essere così e che di Raimondo d’Inzeo poteva essercene uno solo: sapeva però che con determinazione, applicazione, passione, sacrificio era possibile diventare ottimi cavalieri per ottenere ottimi risultati. Questo era l’approccio intransigente di Antonio Licheri verso i suoi allievi: io sono la dimostrazione che è possibile, dunque se ce l’ho fatta io dovete farcela anche voi… Un compito talvolta improbo, perché Antonio Licheri spesso sottovalutava quella forza che dentro di lui raggiungeva livelli davvero estremi…
Gli ultimi anni della sua vita Antonio Licheri li ha trascorsi a Levico: fino a che le energie lo hanno sostenuto – e quindi fino a poco tempo fa – il lago e la bicicletta sono state le sue due attività preferite. Dal mondo dei cavalli… o meglio, dal mondo dei concorsi si era definitivamente allontanato. Non dai cavalli, appunto, che sono rimasti da sempre e per sempre nel suo cuore e ai quali rimaneva in qualche modo collegato grazie al suo figlio primogenito Salvatore (Stefano dopo essere stato cavaliere ha lasciato lo sport equestre), a sua volta valentissimo istruttore. Antonio Licheri era uno dei pochi che chiamava il suo figlio più grande con il nome completo di Salvatorangelo, spesso rivolgendogli negli anni della sua adolescenza una massima che meglio non potrebbe rappresentare il personaggio: «Salvatorangelo, meno parli meno sbagli».
Antonio Licheri ci ha lasciato lo scorso 29 dicembre a 90 anni: forte come sempre, sul volto dipinta quell’espressione di dignità fiera e sicura che l’ha accompagnato per tutta l’esistenza, segno distintivo di un uomo consapevole del fatto che ciò che nella vita conta non sono le cose che si hanno intorno bensì i pensieri che si hanno dentro.