Bologna, sabato 10 ottobre 2020 – Ne è passato di tempo da quando Antonio Alfonso – 42 anni – si è affacciato sulla scena del salto ostacoli che conta con il suo fisico longilineo e la sua equitazione leggera ed elegante, prima a livello nazionale e poi internazionale: gare facili, poi sempre più impegnative con buoni risultati fino ad arrivare all’esordio in Coppa delle Nazioni nel 2008, poi la medaglia d’argento nel Campionato d’Italia 2009 e via via fino a un altro argento tricolore nel 2016 per giungere quindi alla formidabile vittoria con l’Italia in Coppa delle Nazioni nello Csio a cinque stelle di Gijon 2019. Non è stato un percorso facile perché Antonio Alfonso l’ha affrontato dovendo armonizzare due temi imprescindibili che si alimentano vicendevolmente ma che vicendevolmente talvolta possono anche annullarsi: lo sport e la vendita dei cavalli. Sport per vendere poiché vendere permette di fare lo sport… ma talora vendere può anche voler dire rimanere a piedi…
«Sì, esatto. Fare lo sport di alto livello senza vendere cavalli è oggi impensabile per un cavaliere che vive delle proprie risorse, senza avere alle spalle sponsor o proprietari importanti. È impensabile. Questo è un dato di fatto».
Lei, sua moglie Stephanie Marianeschi e la vostra piccola Sophie vivete in Olanda ormai da tempo: come e perché avete preso la decisione di lasciare l’Italia?
«È successo cinque anni fa. Io avevo una società in Olanda e durante il periodo estivo andavamo spesso in concorso in quelle zone, tra Belgio, Germania e Olanda appunto. Un giorno mentre eravamo appoggiati a una scuderia vicino Eindhoven un nostro amico ci fa sapere che Albert Voorn (il vincitore della medaglia d’argento olimpica individuale a Sydney 2000, n.d.r.) avrebbe voluto vendere la sua scuderia… Stephanie si è incuriosita e mi ha convinto di andare a vederla. Sinceramente io non è che avessi molta voglia di comperare una scuderia in Olanda… io romano di Roma a Roma stavo bene che mai, si capisce, l’idea di trasferirmi in Olanda non è che mi attirasse troppo… Comunque siamo andati. E una volta lì… beh, ci è piaciuta tantissimo! Albert Voorn ci ha fatto un prezzo per noi possibile e così abbiamo concluso l’acquisto».
Ovviamente con l’idea a quel punto di trasferirvi lì definitivamente…
«Eh sì, certo, anche perché non avremmo potuto gestire due situazioni, l’acquisto è stato importante. Inoltre abbiamo fatto fare dei lavori di ampliamento che richiedevano la nostra presenza sul posto. Però non abbiamo abbandonato del tutto la nostra scuderia all’Olgiata, che oggi è gestita da nostri partner».
Sulla sua vita sportiva e professionale che tipo di impatto ha avuto questo trasferimento?
«C’è una differenza enorme tra l’Italia e quest’area del nord Europa. Noi stiamo a venti chilometri dal confine con il Belgio e a quindici da quello con la Germania. Qui il livello culturale dal punto di vista dello sport equestre è totalmente diverso: si vive solo per i cavalli. Non c’è un’altra vita. Quando si nasce e si vive a Roma, o comunque in Italia, ci sono mille distrazioni… il divertimento, la cena con gli amici, la passeggiata in centro… Qui al nord in questi piccoli paesini alle sei di sera si cena, fa un freddo cane, non c’è niente da fare se non rimanere assolutamente concentrati tutto il giorno sul lavoro dei cavalli, sulla crescita dei cavalli, sullo sport dei cavalli, sulla commercializzazione dei cavalli, sulla ricerca di nuovi cavalli… ».
Quindi da un punto di vista professionale è un grande vantaggio stare lassù…
«Oh sì, certo! C’è un sacco di gente che mi chiama e che ha voglia di comperare cavalli: chi cerca il cavallo giovane, chi quello da amatore, chi ha un cliente da servire e vuole trovare il cavallo giusto… Siamo impegnati costantemente e a trecentosessanta gradi: la vita è questa».
E poi c’è anche lo sport da fare!
«Noi abbiamo la grande fortuna di avere a un chilometro e mezzo da casa nostra il più grande centro ippico d’Olanda che si chiama Peelbergen, a Kronenberg. Una struttura eccezionale: quattro maneggi coperti, quattro campi scoperti, più tutto quello che gira intorno… Un vero e proprio punto di riferimento. Tra l’altro ne siamo anche partner e soci fondatori insieme ad altre quaranta persone».
Ma davvero?! Questa è una cosa curiosa…
«Sì, è successo che quando noi siamo arrivati in Olanda questo centro stava nascendo e così abbiamo deciso di investire in questa impresa insieme a tutti gli altri soci e partner. L’abbiamo fatto anche per una questione di… inserimento in quel mondo, diciamo: quando siamo arrivati non eravamo molto conosciuti mentre alcuni degli altri soci fondatori sono tra i più grandi e prestigiosi commercianti di cavalli sportivi d’Olanda, quindi del mondo… Diciamo che abbiamo voluto presentarci in quel contesto e contemporaneamente offrire il nostro piccolo contributo per la crescita di questo impianto straordinario con la nostra società, la Stal Oxer».
La Stal Oxer… ‘nostra’ nel senso che ci sono più soci?
«No, la società è mia ma preferisco usare il plurale perché ci sono tante persone che ne sono coinvolte e che sono a tutti gli effetti protagonisti dell’attività».
Ecco, la sua attività: che dimensione commerciale ha raggiunto al giorno d’oggi?
«Ci siamo focalizzati soprattutto sulla vendita di cavalli sportivi di un certo livello. Anche perché al giorno d’oggi tutti vogliono lo stesso cavallo, non c’è più il commercio di livello medio: tutti vogliono il cavallo leggero, insanguato, che abbia la bocca buona, che sia rispettoso e che sia veloce. Tutto il mondo cerca questo cavallo, e naturalmente è diventato sempre più difficile accontentare la clientela, anche perché soggetti ‘fatti’ con questi requisiti costano cifre molto alte. Quindi noi ci siamo focalizzati sull’acquisto di tanti puledri o comunque di cavalli inesperti che abbiano tali caratteristiche: li lavoriamo, li portiamo avanti fino al massimo delle loro potenzialità per poi poterli vendere».
Armonizzare commercio e sport non sarà facile: può capitare di dover vendere proprio il cavallo con il quale si sta arrivando in alto…
«Durante la fase di lancio della mia carriera qualche anno fa ero costretto a vendere. Non avevo alternative. Grazie al trasferimento in Olanda, grazie a una serie di cose che si sono incastrate nel verso giusto e grazie alle vendite maturate nel frattempo oggi posso permettermi di aspettare un po’ di più. Posso scegliere se farlo o non farlo. Decido io, insomma. Perché adesso fortunatamente ho una forza economica migliore di qualche anno fa».
Rimane il fatto che non deve essere comunque facile decidere se privilegiare l’aspetto economico o quello sportivo.
«È difficile, sì. L’equilibrio lo si raggiunge quando si può vendere il cavallo di massimo livello avendone dietro un altro che viaggia di pari passo, o che sia pronto per farlo a breve. Per arrivare a questo obiettivo ci ho messo tanti anni: oggi però ho la possibilità di avere quattro o cinque cavalli di un certo livello».
Tra i quali si sta mettendo in bella evidenza Charmie.
«Charmie è un cavallo che sta crescendo passo dopo passo. Ha sempre dimostrato di avere un grande talento. Siamo andati sempre in progressione con lui. Ovviamente non ci dobbiamo eccitare troppo quando le cose vanno bene e non avvilirci se dovesse arrivare un risultato non positivo. Bisogna avere equilibrio in tutto: nella vendita di un cavallo, nel lavoro di un cavallo, nell’attività sportiva, nel percorso di maturazione di ogni cavallo. Bisogna stare sempre con i piedi ben per terra ed essere lineari il più possibile».
Ma ovviamente anche Charmie potrebbe essere venduto…
«Stanno arrivando offerte: ma io sono serenissimo nel dire che oggi il cavallo non è sul mercato. Io voglio andare avanti, voglio provare a fare lo sport a un certo livello… Poi è normale: se dovesse mai arrivare un’offerta davvero importante andrebbe come minimo valutata, ovvio».
La sua clientela è circoscritta in una particolare area?
«No, abbiamo clienti in tutto il mondo, in Europa come negli Stati Uniti. Ovviamente anche in Italia. Ecco, a proposito di Italia… Tanti anni fa io arrivavo qui da Roma, vedevo i cavalli una volta, ascoltavo quello che di quei cavalli mi veniva raccontato… ma un conto sono i racconti e altro conto è la realtà. Adesso i cavalli che saltano qui nelle gare nazionali e internazionali io li vedo tutti i fine settimana, sempre: e la situazione di ognuno mi è molto chiara, quindi quando consiglio un cavallo lo faccio sapendo tutto di lui. E questa è una fortuna per chi compra».
Nel lavoro a casa come si è organizzato?
«Ho una persona che mi dà una mano nel montare i cavalli. E poi c’è mia moglie».
Stephanie Marianeschi, sua moglie, ha un ruolo importante non solo nell’ambito della vita familiare…
«Non direi importante: direi fondamentale! Lei si occupa di tutto: delle questioni amministrative, dell’organizzazione della scuderia, della nostra vita familiare… è lei il punto di riferimento, il fulcro di tutto».
Stephanie è anche la creatrice della nuova app 4Horses che avete appena lanciato, giusto?
«Assolutamente sì, è lei l’artefice della cosa. Diciamo che siamo partiti da una mia idea di tanto tempo fa: ma poi è stata Stephanie che ha preso in mano le operazioni, ha sviluppato il progetto, l’ha ampliato e reso così pratico e funzionale».
Di cosa si tratta precisamente?
«Tutto nasce da una serie di considerazioni che mi è capitato di fare in passato. La prima. Molte volte parlando con clienti, istruttori e anche normali privati sentivo dire: sì, mi piacerebbe comperare un cavallo ma da quella persona lì non vado perché è un commerciante… Come se i commercianti fossero dei criminali o comunque delle brutte persone! La seconda. Uno dei migliori affari che ho fatto nella mia vita è stato comperare un van su… Subito.it… ! Trovato così, quasi casualmente. Ma oggi se si vuole comperare un van nuovo ci si deve rivolgere alle due principali aziende produttrici che hanno prezzi esorbitanti. Così mi sono detto: ma se creassimo una specie di piattaforma su cui mettere in contatto diretto il privato che vuole vendere con l’acquirente che vuole comprare… ? Ecco, questo è stato il punto di partenza. Pensieri di una decina d’anni fa. Ma non ho mai realizzato nulla. Poi un giorno parlando con Stephanie lei mi diceva che le sarebbe piaciuto fare qualcosa di più nel nostro lavoro e allora io le ho proposto di riprendere in considerazione quei miei pensieri di un tempo. Detto fatto… Stephanie non solo ha dato vita all’app ma l’ha anche ampliata nei contenuti e nelle proposte: adesso si trova tutto quello che in qualche modo è collegato al mondo dello sport equestre, finimenti, selle, oggetti, veicoli… anche scuderie in affitto o vendita, professionalità e personale… Paradossalmente il cavallo è l’aspetto meno importante, nel senso che il soggetto da GP non lo si mette di certo in vendita su una app, però cavalli di livello minore sì, il privato che vuole vendere il suo o che ne cerca uno… insomma, in 4Horses si trova tutto».
Tornando allo sport, dentro di lei la voglia di agonismo è sempre forte oppure le difficoltà e gli impegni della vita e della professione l’hanno un po’ affievolita?
«Qualche tempo fa sapevo che non sarei arrivato a chiudere il cerchio perché il mio cavallo l’avrei dovuto vendere per necessità. Oggi mi sento invece più forte: la voglia di fare sport è cresciuta perché so che posso permettermi di rifiutare alcune offerte… Un tempo no, ma adesso sì: adesso decido io. E il mio obiettivo è pur sempre quello di fare del mio meglio e del mio massimo per dare alla nostra nazione e al nostro salto ostacoli quello che io sono in grado di dare, secondo le mie possibilità ovviamente. A questo proposito una cosa la voglio dire. Io vivendo dove vivo vedo tutte le settimane in gara i migliori cavalieri del mondo: e mi rendo conto che noi non abbiamo nulla da invidiare a loro… Quello che loro hanno in più rispetto a noi è che vivono dove vivono e crescono i cavalli: noi italiani in questo siamo logisticamente svantaggiati. Ma tecnicamente parlando siamo capaci tanto quanto loro: di questo ne ho assoluta certezza».
A proposito di capacità e di stranieri: non avrà mica imparato a parlare l’olandese… !
«Oh no, io sono un disastro con le lingue. Mia moglie parla benissimo inglese, francese, spagnolo e adesso anche l’olandese, mia figlia Sophie va alla scuola olandese per cui parla benissimo tutto, anche l’inglese… la pecora nera della famiglia sono proprio io… Ma adesso mi sto impegnando moltissimo per imparare l’inglese: tempo fa ho rilasciato delle interviste che sono rimaste famose per il mio inglese ridicolo… ».
Diciamo che lei preferisce far parlare il campo di gara…
«Ecco, sì, mettiamola così!».