Roma, 11 aprile 2019 – A volte succede di non tener conto di qualcosa, o di qualcuno: a chi scrive per voi queste righe è capitato in merito ad un articolo sulla Ecurie Seconde Chance, una associazione francese che si occupa di dare (per l’appunto) una seconda chance ai cavalli da trotto e galoppo che hanno terminato la carriera in pista: nell’elencare realtà omologhe italiane che perseguissero lo stesso obiettivo non avevo inserito anche la Relived Horses.
Non per scelta, non per voler escludere qualcuno: semplicemente perché non l’avevo in mente, e non conosco Jacqueline Freda che ne è il motore fremente. Che si é giustamente sentita trascurata, e mi ha fatto notare la mancanza: di qui una presa di contatto che pareva nata sotto non ottimi auspici e si è invece rivelata (almeno per me) una gran botta di fortuna.
Perché Jacqueline Freda è una donna di cavalli come ce ne sono poche, un fantino con un palmarés eccezionale e conoscerla è una ricchezza; perché lei lavora con i cavalli dalla mattina alla sera ed è logico che non abbia il tempo di far chiacchiere davanti a un computer, e in fondo non ha nemmeno voglia di elemosinare tempo e risorse qua e là per il web.
Lei vive con i cavalli: fa lo stunt sui set cinematografici, l’horse master come si legge nei titoli di coda di tanti film e sulla sua scheda Imdb; ed è appunto l’anima di Relived Horse, associazione per la ricollocazione dei cavalli da galoppo molto più conosciuta nel mondo dell’ippica che al di fuori di esso e molto più attiva nel mondo reale che in quello virtuale.
Noi facciamo quello che possiamo per renderle merito: parlarne, e farla parlare.
Chi è Jacqueline Freda?
«Sono la figlia di un regista cinematografico, Riccardo Freda. La mia grande passione è il cinema, prima di ogni altra cosa al mondo, ma in realtà ho ereditato tutte le passioni di mio padre: cani, animali, cavalli, cinema, cultura… sono cresciuta nei quartieri bene di Roma in una famiglia un po’ particolare, mio padre era di gran lunga più moderno di tanti genitori di oggi anche se era nato nel 1909. Era di una intelligenza squisita, non severo ma fermo e in maniera calmissima faceva in modo che mi dessi la zappa sui piedi da sola discutendo, ad esempio, degli orari di rientro: partivo a contrattare per un’ora in più e mi ritrovavo a decidere di starmene a casa del tutto dopo che ad ogni mia opposizione mi sottraeva una mezz’ora alla libera uscita. Ma si fidava tanto di me, e per questo la prima cosa che facevo quando mi capitava un problema era chiamarlo e avvertirlo».
Calma e tempismo, tutte doti che che le saranno tornate utili anche con i cavalli Purosangue Inglesi.
«Lui li amava tanto i Purosangue, ma aveva una scuderia di cavalli da trotto perché questi almeno li poteva guidare: è stato il primo gentleman driver italiano a guidare tra i professionisti. Ma la sua passione erano i cavalli da galoppo, tentava anche di portarmi alle corse ma io all’ippodromo mi sedevo su una panchina e dicevo “Quando andiamo via?”, mentre lui era amico di tutti, tutti i proprietari e fantini più conosciuti».
Come ha cominciato allora ad interessarsi al galoppo e ai PSI?
«E’ successo quando ero già grande. Montavo a cavallo da ragazzina ed ero nella corte di Duccio Bartalucci, uno dei suoi allievi preferiti penso di poter dire. C’era il corso per allievi gentleman a Passo Corese per i centri ippici di Roma; era un vanto per ogni scuola mandare i propri ragazzi a questo corso, Duccio portava i suoi e quindi mi propose l’esperienza. Io facevo salto ostacoli e completo e a questo corso non volevo proprio andare: a Passo Corese ci ero già stata e Piero d’Inzeo mi aveva in antipatia. Ma Duccio mi ci mandò per forza, “No guarda, a costo di mandartici a calci in …(omissis!) tu vai e fai il corso come gli altri”, e per far dire parole poco ortodosse a Duccio ce ne vuole. Poi una volta lì mi fecero montare un cavallo molto difficile, che era scappato a tutti; lo guardai e pensai che mi volessero far cacciare. Poi arrivò il colonnello d’Inzeo che mi chiese perché stessi montando proprio quel cavallo, e io: “Mi ci hanno messo sopra a ‘sto cavallo, se vuole smonto”. Lui mi disse di rimanere in sella, “…vediamo che succede!”. Si vede che il cavallo era in giornata buona, fatto sta che andò benissimo: io lo lasciavo lunghissimo e lui non tirava, così il colonnello si innamorò di me, di come montavo e sono diventata la sua preferita. Ci siamo adorati, è nato un amore equestre tra noi; più tardi, quando lo incontravo negli ippodromi (lui faceva lo starter e io montavo in corsa) lo prendevo in giro chiamandolo ancora colonnello, e lui mi diceva “guarda che sono generale adesso!”, ma io gli rispondevo che per me era sempre il colonnello d’Inzeo. Mi ha insegnato tantissimo in poco tempo, sarò sempre grata a Duccio per aver causato quell’incontro e aver dato inizio al mio percorso con i cavalli da galoppo. Da lì mi sono innamorata delle corse, e ho vinto tutte le classifiche: prima in ostacoli gentleman, poi in piano e poi tra i fantini. Ho fatto l’en plein, ma la prima parte la devo a Piero d’Inzeo e Duccio Bartalucci».
Preferisce il termine fantino a jockette?
«Siamo in Italia, quindi fantino: non c’è differenza tra uomini e donne».
Relived Horses: ci spieghi.
«Relived Horses non è altro che un modo per pagare il mio debito di riconoscenza ai cavalli da corsa. Quando è morto mio padre ho avuto il desiderio irrefrenabile di tornare a fare cinema, a me piace fare lo stunt, stare sul set. Ho smesso di fare il fantino nel momento giusto: è importante smettere quando si è all’apice, è meglio lasciar rimpianti che trascinare una carriera al di sotto del livello massimo raggiunto. E l’ippica a me non è mai mancata, io adesso con i miei cavalli sono a Capannelle e le corse non mi mancano, non mi interessano perché il mio tempo l’ho fatto. Mi mancava il cinema e adesso ci sono tornata: in fondo ero solo in prestito all’ippica, come ha detto una volta Franco Raimondi. Ma come dicevo prima, in 10 anni di carriera da fantino avevo contratto un debito con questi cavalli, e dovevo dare loro indietro qualcosa: lo faccio con questo centro di recupero, Relived Horse, dove si recuperano cavalli da corsa che i proprietari vogliono fare in modo stiano bene e continuino a lavorare, anche se in altro modo. Quando vengono da noi poi rimangono tutta la vita sotto la tutela dell’associazione, prima li prepariamo a fare altro e quindi controlliamo costantemente i loro progressi e la loro vita: ne abbiamo riconvertiti più di 300 in 10 anni di attività, abbiamo cominciato nel 2009. Alcuni sono diventati cavalli da salto, altri da completo in giro per tutta Italia e altri ancora cavalli da cinema, tanti di quelli che vedete in film e telefilm girati in Italia sono cavalli di Relived Horses (vedi ad esempio Romeo and Juliet di Carlo Carlei). Diamo a tutti una seconda chance, ci siamo occupati della conversione di questi cavalli, come si fa in America. Li riaddestriamo, li ri-formiamo ma prima cerchiamo di capire a cosa sono adatti e dove potrebbero andare a esprimersi bene, anche se in modo diverso da quello per cui sono nati. A me dispiace vedere cavali di talento che vanno a fare passeggiate, i Psi sono cavalli nati e selezionati per fare gli atleti ed è giusto che facciano gli atleti. E vogliamo convincere il mondo esterno che questo è possibile: ci sono tanti Psi nei concorsi ippici e nel completo, dimentichiamo sempre (tra le altre cose, n.d.r….) che il record elevazione di 2,47 mt. ancora valido oggi lo ha fatto un Purosangue, Huaso, uscito dalle corse. Sembra quasi che ci sia una volontà di dimenticare queste cose…»
Mi permetto di spezzare una lancia a favore di chi sembra “voler dimenticare”, e magari semplicemente non sa (vedi l’inizio di questo fortunato e piacevole incontro con la signora Freda, sempre n.d.r.!)
«Allora vuol dire che c’è una grande ignoranza dal punto di vista equestre, che è ancora peggio. In completo non vedere che fuori dai nostri confini australiani, inglesi, americani hanno tutti Psi è davvero impossibile, per chi voglia guardare».
E si sente forte che il disappunto di Freda non è altro che lo scoramento, più che compensibile, di chi vive un mondo bellisimo e affascinante e vorrebbe che tutti lo conoscessero e amassero quanto e come lei: ma la distanza che, almeno in Italia, sempre più separa il mondo dell’equitazione da quello dell’ippica (una volta molto più vicini e contingui) lo rende veramente difficile.
Nella fotografia di Viviana Battista che illustra questo articolo vedete Jacqueline Freda e King of Roses (Psi recuperato da Relived Horses) nel ruolo di leading pony: una raffinatezza ippica quel cavallo sottomano, figura comune nelle corse americane ma un po’ meno qui da noi in Italia.
Sono il cavallo e il cavaliere che si occupano di accompagnare i cavalli da corsa (sia da trotto che da galoppo) verso la partenza e recuperarli in caso di fuga. «Lo abbiamo fatto a Roma e Milano» racconta Jacqueline, «come quella volta che a Roma recuperai davanti alle tribune un cavallo della scuderia Climax che era sfuggito, montando un altro cavallo di quella stessa scuderia che abbiamo recuperato e riaddestrato con Relived Horses: il proprietario che era lì sulle tribune si è sciolto in lacrime, non me lo scorderò mai quel momento».
Inutile dirlo perché lo avrete già capito da soli, Jacqueline Freda ci è piaciuta moltissimo: speriamo di parlare ancora presto di lei e dei cavalli di Relived Horses, guardate il video qui sotto per avere un assaggio del lavoro che fanno.
Nel frattempo, chi volesse essere parte di questo progetto può contribuire con una donazione al numero di conto Postepay 5333171020030827, Codice fiscale: FRDJQL63T52Z110C
Per contattare direttamente Relived Horses: via delle Capannelle, 20 – 00178 Roma
tel.: 0656557908
email: [email protected]