Bologna, 26 dicembre 2017 – L’esplosione di Alberto Zorzi: ecco cosa è stato il 2017. Un anno durante il quale il cavaliere padovano è arrivato davvero in alto: ad altezze vertiginose. Montecarlo, Roma, Goteborg, Verona, Londra… sono solo la punta dell’iceberg.
Una stagione favolosa per lei. Come la vede, come la considera?
«Come un anno di grande crescita. Crescita di cavaliere, di persona, di uomo. Sono molto soddisfatto del mio 2017. Molto soddisfatto. Molto. Se potessi tornare indietro non cambierei niente».
Se si ferma e guarda indietro pensando alla vita che l’ha portata fino a questo 2017 cosa le viene in mente?
«Tanto lavoro. Sacrifici. Gioie e dolori. Di tutto. Per arrivare al massimo bisogna sempre affrontare i percorsi difficili. Però ce l’abbiamo fatta. Siamo tra i migliori venti del mondo… L’anno scorso a dicembre ho detto ai miei vertici militari: io nel 2017 voglio riuscire ad arrivare nei primi cinquanta del mondo. Invece ho avuto l’opportunità di montare dei cavalli incredibili che mi hanno fatto crescere… ».
Sì perché nel dicembre del 2016 lei era all’87° posto della computer list della Fei…
«Eh sì, comunque nei primi cento, ma piuttosto lontano dal vertice direi… Poi ho avuto dei cavalli formidabili, e i cavalli buoni aiutano ad andare su, c’è niente da fare».
Complessivamente un anno di gioia. Con i grandi risultati del Gran Premio Roma a Piazza di Siena, del Campionato d’Europa di Goteborg, della tappa di Coppa del Mondo di Verona: tre occasioni in cui lei è arrivato a un passo dalla vittoria…
«Sì, a Verona ci ho provato al mio massimo ma ho trovato uno che è andato meglio di me. Mentre a Roma e Goteborg… ».
Diciamo che il 2° posto di Verona non è stata una vittoria mancata…
«Sì, le altre due gare invece… beh, a Roma non avevo grandi riferimenti e ho dato tutto… Adesso ripensandoci e conoscendo la cavalla se su quel verticale avessi fatto un tempo in più non ci sarebbe stato l’errore e avrei quasi certamente vinto. Però dopo di me c’erano avversari molto pericolosi… ».
Quindi quelle di Roma e di Goteborg le considera quasi come delle sconfitte?
«Sconfitte no. Vittorie mancate sì: certo».
Le è mai capitato di pensare io potevo essere campione d’Europa?
«Sì, subito dopo l’ho pensato. Però poi me la sono messa via. È andata così. Capita. Inutile star lì a scavare nella ferita. Si gira pagina e si pensa al concorso dopo. Però è stata una grande esperienza: anche perché quello di Goteborg è stato il mio primo campionato internazionale».
Poi in Svezia lei è stato osannato come la rivelazione del Campionato d’Europa…
«Uh… sì, davvero. Sono stato davvero fortunato, allora».
Che effetto le fa la considerazione della gente, del pubblico, degli addetti ai lavori?
«Io neanche me ne accorgo, devo dire. Forse sono fatto in modo strano. Però non ci penso. Mi sembra di essere quello di prima… Ma infatti io sono quello di prima! Non è cambiato proprio niente. Penso solo a lavorare e ad andare sempre meglio».
C’è stato un momento dell’anno in cui sembrava inevitabile che lei sarebbe arrivato nei primi dieci della computer list e che quindi a Ginevra avrebbe raggiunto Lorenzo de Luca nella finale della Top 10 Rolex Ijrc…
«Eh sì. Ci pensavo, sì, ma sapevo che sarebbe stato molto difficile. Poi dopo la perdita di Cornetto ancora di più. Sarebbe stato bello, però… lavoriamo per arrivarci un giorno. Non bisogna mai smettere di sognare. Io sogno, e vado… Il mio sogno sono le Olimpiadi, però… ».
Però bisogna qualificarsi!
«Certo. Se l’anno prossimo sarò in squadra ce la metterò tutta, come sempre, altrimenti spererò nei miei compagni».
Dal punto di vista diciamo emotivo e… spirituale l’Olimpiade e il senso di appartenenza alla squadra hanno ancora una forte presa sui cavalieri di oggi? Oppure l’obiettivo economico prevale? Partecipare per ottenere un risultato al di là del valore economico che se ne ottiene ha ancora senso al giorno d’oggi nel nostro sport?
«Secondo me sì, certo, sì. Tutti vorrebbero partecipare alle Olimpiadi e ai campionati internazionali. Tutti».
Il ritmo agonistico che lei ha sostenuto durante tutto il 2017 è stato molto intenso: come si trova in tutto questo?
«Ufff… è fortissimo, certo, ormai è un meccanismo che va da solo, a volte non capisco nemmeno più dove sono, la valigia si prepara ormai da sola il martedì sera. Arrivo a casa la domenica sera, lunedì si salta con i cavalli che sono rimasti a casa, martedì si lavora in piano, mercoledì si riparte… È una ruota che gira, ma è una ruota che mi piace da morire. Da morire. Il mio obiettivo era quello di partecipare ai più grandi concorsi del mondo, e direi di averlo centrato… ».
Però mantenendo questo ritmo come si fa a lavorare bene i cavalli?
«Prima di tutto bisogna avere dei gran cavalli, che permettano di fare questo tipo di gare. E poi tutto viene da sé. Basta solo mantenerli in forma».
I cavalli che escono in concorso lavorano in concorso, insomma…
«Eh sì, a casa fanno veramente poco. Lavoriamo molto in piano, ma salti mai, quasi mai».
Però quando lei porta in concorso un gruppo di cavalli, ce n’è un altro che rimane a casa…
«Sì, e i cavalli che rimangono a casa lavorano in piano con i cavalieri che stanno per l’appunto a casa proprio per fare questo: poi io il lunedì salto. Poi stanno fermi i cavalli che hanno appena fatto il concorso e partono quelli che erano rimasti a casa».
Quando si parla di organizzazione si intende anche questo…
«Certo. Mantenere i cavalli in forma. Una macchina con il motore che gira a pieno regime».
E lei come si trova a Valkenswaard dentro questa organizzazione?
«Mi trovo molto bene. È stato un po’ difficile entrare nel meccanismo, all’inizio… Io ero abituato ad avere la mia organizzazione a casa, facevo un po’ come mi pareva, andavo in concorso poi il lunedì ero libero, me ne stavo tranquillo, poi martedì saltavo, poi mercoledì relax e poi giovedì in concorso… Ma stiamo parlando di concorsi nazionali, quando andava bene qualche due stelle proprio perché ero fortunato… Invece adesso tutto il giorno, tutti i giorni, tutta la settimana si lavora dalla mattina alla sera».
Si sente un po’ sotto pressione per questo? Jan Tops, il suo datore di lavoro, è un uomo molto esigente, no?
«Certo, Jan è molto esigente ma non mette mai pressione. Anzi, l’esatto contrario: cerca sempre di evitare le pressioni controproducenti».
Con lui com’è il rapporto? Parlate, vi vedete, vi confrontate…
«Ah sì, certo. Ai concorsi sempre. A casa dipende dai suoi impegni. Jan sta sempre in ufficio, che però è affacciato sul campo, e ogni tanto viene a darci qualche consiglio, qualche suggerimento. Ma non fa pesare niente. Anzi, mi ha detto che è molto soddisfatto della mia annata, è contentissimo. Mi ha detto: adesso bisogna portare avanti i cavalli giovani per continuare ad avere successo… ».
Lei a Valkenswaard era arrivato proprio per fare il cavaliere dei cavalli giovani, dei secondi cavalli in crescita, per tenere pronti e ben allenati i cavalli che sarebbero andati nei grandi concorsi…
«Già, il mio lavoro doveva essere quello… ».
Invece poi lei è diventato una stella mondiale!
«Eh sì, ma grazie anche a lui, a Jan ovviamente. Senza di lui sarei ancora a fare i nazionali… ».
Quanti sono i cavalli che gravitano intorno a lei?
«Da tredici a quindici, più o meno. Poi in gara meno ovviamente, anche perché molti cavalli sono giovani e devono crescere e lavorare».
La sua giornata tipo?
«Esco di casa alle sette e tre quarti, alle otto sono in scuderia, alle otto e un quarto inizio a montare, se riesco monto cinque o sei cavalli al mattino fino all’una, poi una pausa di mezz’oretta e poi di nuovo altri tre o quattro cavalli, e poi ho finito. Mi fermo un po’ in scuderia a dare una mano alla mia groom, faccio un po’ di cose di ufficio e poi vado a casa: doccia, relax, una buona cena, un po’ di televisione e poi alle dieci, massimo dieci e mezza sono a letto».
Quali sono le persone più importanti per lei?
«Eh, ce ne sono parecchie… La mia compagna Annalisa, ovviamente. Lei mi ha dato la sveglia. È stata lei che mi ha detto, ascolta, tu sei un talento, dobbiamo muoverci… Perché io credo poco in me stesso, spesso penso di non farcela salvo poi accorgermi che ce la faccio benissimo».
Quindi lei ha bisogno di qualcuno che le dia la scossa, la motivazione…
«Sì, certo. Anche Jan è uno che mi dà delle belle scosse. Comunque è stata Annalisa che mi ha svegliato, è stata lei che mi ha convinto a fare l’esperienza dell’estero, dai, bisogna provarci… Io all’inizio ero un po’ scettico, ma poi… ok, andiamo, proviamoci. Poi lei mi aiuta in tutto e per tutto. Anche perché io sono impegnato molto più di prima dato che il capo scuderia che avevamo è andato via, e quindi adesso devo fare tutto io con la mia bravissima groom, una groom davvero eccezionale. Così Annalisa deve pensare a tutto il resto, la casa, i viaggi, le trasferte… Cose molto importanti».
Come vivete a Valkenswaard?
«Abbiamo una casa in affitto. Bella, molto bella. A quindici minuti dal maneggio. Annalisa può starsene lì con i cani, con i gatti. Io invece dalla mattina alla sera di lunedì e martedì sono in maneggio. Tutti gli altri giorni siamo in concorso. La nostra vita in realtà è in concorso. Ma anche ad Annalisa piace da morire tutto questo».
E il distacco dall’Italia? Lo sente?
«All’inizio molto, tantissimo. Uuuh… mi mancava tutto tantissimo. Anche adesso mi manca moltissimo l’Italia, però mi sto abituando. All’inizio è stata dura».
La sua famiglia?
«Li vedo poco. Siamo sempre in giro. Ma li sento sempre. Sempre. Ci vogliamo bene. La mia famiglia è stata fondamentale ovviamente per la mia vita anche di cavaliere. Il legame è forte. I miei genitori, le mie sorelle, mio fratello… ».
E per la sua formazione di cavaliere? Quali sono state le persone più importanti?
«Sicuramente Nicola Rango. Poi Sante Bertolla. Entrambi mi hanno dato tanto. E adesso Jan Tops, senza alcun dubbio. E Massimo Maggiore: è stato lui a segnalarmi a Jan Tops».
Lei sarà di certo consapevole del fatto che questo è un momento fondamentale per la sua crescita di persona, oltre che di cavaliere.
«Eh sì, certo. Sto mettendo le basi per il mio futuro».
Ecco: come pensa che potrà essere il suo futuro?
«Intanto diciamo che sto mettendo le basi. Cominciamo da lì… ! Ma a parte gli scherzi, ovvio che qualunque cavaliere sogna di poter avere una scuderia personale prima o poi. È bello stare con un grande proprietario, sponsor, commerciante, però è altrettanto bello pensare di avere una cosa propria. Ovviamente spero che la mia collaborazione con Jan duri il più a lungo possibile, ma il giorno in cui dovesse terminare mi piacerebbe potermi mettere per conto mio».
Tornando in Italia quindi?
«No no, rimanendo all’estero. Rimarrò all’estero. È più facile commercialmente parlando. Anche se io non ho proprio l’anima del grande commerciante… però sto cominciando a imparare. Bisogna».
Ah, quindi le piacerebbe fare del commercio?
«Sì sì, mi piace come idea. Anche insegnare. Mi piacerebbe insegnare. Alla fin fine mi piace qualunque cosa stia intorno ai cavalli! È la mia vita».
A proposito di commercio. Lei è stato anche toccato duramente da questa esperienza: quando sembrava che ormai tutto fosse perfetto per fare grandi piani per il futuro, Cornetto è stato venduto… Ecco, come si convive con la consapevolezza del fatto che teoricamente tutti i cavalli della scuderia sono in vendita… È una cosa che mette in difficoltà?
«No no, assolutamente. Anche perché so che c’è sempre un ricambio dietro, o almeno lo spero. Fino a oggi è stato così. Comunque questa non è una cosa a cui penso. Io penso solo a lavorare e ad avere buoni risultati. È la cosa che mi piace di più».
Ma quando va a letto la sera, cosa pensa?
«Crollo come morto, la sera… !».
Non ha tempo di pensare…
«Se sono a casa non penso a niente. Al massimo guardo un film e poi mi addormento come un sasso. Se sono in concorso penso a cosa succederà il giorno dopo, penso a come gestire i cavalli, come lavorare al mattino per affrontare meglio la gara nel pomeriggio. Ogni cavallo ha il suo pensiero. E poi dormo».
Ecco, i cavalli. Quali hanno rappresentato per lei qualcosa e perché?
«Il primo cavallo che mi è entrato nel cuore è stato Amour du Seigneur, un cavallo belga che io e Annalisa abbiamo comprato da Beppe Corno, un cavallo di grandi potenzialità. Quando siamo arrivati da Jan ha fatto le prime gare grosse e poi si è fatto male, maledizione… Mi è rimasto nel cuore anche perché l’avevo fatto tutto io, dai suoi sei anni fino ai nove. Era il mio cavallo».
Poi ci sarà Fair Light van het Heike, ovviamente.
«Certo. Lei è speciale. L’ho presa che era un po’… birbante diciamo. Mi faceva soffrire. Ma poi pian piano con il lavoro, con la costanza e tutto… abbiamo fatto delle grandi gare».
In effetti bisogna ammettere che inizialmente non si pensava che Fair Light potesse arrivare a fare quello che ha fatto.
«Sì, esatto. Anche io non pensavo a lei come a una cavalla di quel livello. Solo Jan ne era fermamente convinto. Lui diceva stai tranquillo, lavora e vedrai. Fair Light alla fine si è rivelata per quello che è: un piccolo genio. Genio e sregolatezza, questo sì. Con qualche difetto. Per esempio nei campi piccoli quando la gente è molto vicina agli ostacoli lei si intimidisce un po’».
Però deve essere una grande soddisfazione: anche perché Fair Light non è certo una cavalla che si mette sempre e comunque a sua totale disposizione, incondizionatamente…
«No no, assolutamente, proprio no: lei vuole essere il capo, a volte lei è contro di me. Però mi piace da morire… quando tutto funziona per il verso giusto… ah, io divento matto! Come il doppio netto in Coppa delle Nazioni a Piazza di Siena: mamma mia, che cosa fantastica!».
Una giornata indimenticabile… ! Che emozione…
«Una delle giornate più belle della mia vita. E credo anche per Piergiorgio, Bruno, Lorenzo… Ancora stento a crederci».
Lei ha 28 anni: si rende conto che non era nemmeno nato l’ultima volta che l’Italia ha vinto la Coppa a Roma prima dello scorso maggio?
«Eh sì, è impressionante. Una grande emozione. È che quando la vivi da cavaliere te ne rendi meno conto. In effetti io pensavo che sarebbe stato possibile vincere. Ci credevo. Poi eravamo super carichi, super motivati… mamma mia, che giornata ragazzi! Bellissimo… bellissimo».
E dire che per lei il concorso non era cominciato proprio al meglio…
«Oddio, sì! Primo giorno, prima gara, primo ostacolo… parto un tempo prima sul numero uno, la triplice, e bam, ci cadiamo dentro… subito dentro il primo ostacolo della prima gara del primo giorno dello Csio di Piazza di Siena… Ho detto: oh mio Dio, e adesso? Poi per fortuna ostacolo dopo ostacolo Fair Light ha saltato sempre meglio… Meno male».
Cosa le hanno detto subito dopo quel percorso?
«Tutti mi dicevano ma va, non ti devi preoccupare, tu fai quello che devi fare e vai tranquillo che domani andrà benissimo… E io invece tutta la notte mi sono agitato: e se domani in Coppa delle Nazioni succede una cosa del genere? Avrò tutta Roma contro di me, mi linciano… ».
Ma è possibile che paradossalmente quel contrattempo sia servito come motivo di ulteriore carica… ?
«Certamente, ne sono convinto, sicuro. Sicurissimo».
E poi il Gran Premio Roma… perso per un niente! Lei è stato davvero il dominatore di Piazza di Siena…
«Anche Fair Light è stata la dominatrice… ».
Per giunta indossando la divisa: vincere la Coppa delle Nazioni a Roma indossando quella divisa deve aver avuto un senso particolare…
«Ovviamente è un onore per me indossare la divisa dell’esercito italiano. Con i miei superiori ci sentiamo spesso, naturalmente al telefono data la distanza. Quando poi riusciamo a incontrarci è molto bello per tutti: è sempre un gran piacere. Credo che siano contenti di me. Cioè, lo spero».
Parlando di cavalli, Cornetto?
«Ah… che cavallo! Un fenomeno. Anche se però i migliori che mi sia capitato di montare sono stati Rackham Jo e Going Global. Devo dire che ho davvero montato i migliori cavalli del mondo… mamma mia, incredibili».
Cornetto, Rackham Jo e Going Global sono di proprietà di Athina Onassis. Sarà stata contenta di come lei li ha montati, no?
«Molto contenta. Rackham Jo e Going Global li ho montati solo per poco tempo, quando lei si è fatta male ed è stata ferma per un po’. Che cavalli fenomenali… ».
Ma il rapporto con Athina Onassis passa comunque attraverso Jan Tops, giusto?
«Sì, assolutamente. È lui che decide tutto».
Con gli altri cavalieri, quelli del gruppo azzurro… come si vive il rapporto?
«Diciamo che io, Lorenzo, Pigi e Gaudiano ci vediamo molto spesso ai concorsi e stiamo bene insieme, molto bene. Anche con tutti gli altri ovviamente c’è un bel rapporto, però ci si vede un po’ meno. Comunque io sono un tipo molto tranquillo, mi faccio gli affari miei, se va bene va bene altrimenti amen, non faccio mai polemiche, anzi».
Però nell’immaginario della gente lei e Lorenzo de Luca siete considerati quasi come due fratelli: grandi risultati, siete i due azzurri di vertice, stessi concorsi, entrambi in divisa, tutti e due all’estero, una storia abbastanza simile, ciascuno di voi monta per una scuderia di commercio molto importante…
«Siamo proprio fratelli. Ci vogliamo tanto bene e quando siamo in gara cerchiamo di stare sempre insieme. Siamo uguali: io magari un po’ più chiuso e lui un po’ più estroverso… ».
Nord e sud, del resto… Padova e Lecce!
«Sì, è vero! Comunque Lorenzo è un grande: come amico, come cavaliere, come persona. Bellissimo. In questi ultimi due anni ci siamo conosciuti davvero a fondo e per me è stata un’esperienza stupenda veder crescere la nostra amicizia e il nostro rapporto. Quest’anno è stato favoloso il Gran Premio a Shanghai: lui che vince, io terzo, il duello tra noi, che bello… che bello!».
Ma come si vive questa rivalità sportiva?
«Non la si vive perché non c’è! Se lui vince io sono felice, se vinco io è felice lui… ».
E quando siete in barrage uno contro l’altro?
«Beh, ovviamente ognuno di noi cerca di fare del suo meglio: poi, qualunque sia il risultato, festeggiamo bevendoci una birra o un bicchiere di vino insieme in relax. Lorenzo mi prende sempre in giro… ci facciamo di quelle risate… !».
La sua vita di persona: cosa chiede alla sua vita Alberto Zorzi?
«Eh… adesso come adesso niente. Cosa potrei chiedere di più? Sto bene fisicamente, sono tranquillo, faccio quello che più mi piace, i risultati ci sono… Ma soprattutto ho la salute, che è la cosa più importante. La gente che mi circonda mi fa stare bene. Tutto magnifico. Per il futuro creare qualcosa di mio: altrimenti non credo che mi sentirò realizzato nella vita».
Il 2018? Già stilato i programmi di massima?
«Oh, certo. Jan programma tutto. Ha cominciato in ottobre a fare i programmi per il 2018… Io da parte mia quello che vorrei tantissimo è essere in squadra per il Campionato del Mondo: mi piacerebbe da morire. Anche perché a pensarci bene non è che io sia stato in squadra tante volte: però per me sapere di far parte… dell’Italia è un… una cosa che sento tantissimo. Poi direi che puntiamo anche alla finale della Coppa del Mondo. Jan vorrebbe. Anche io, ovviamente: sarebbe la mia prima finale di Coppa del Mondo. Poi Parigi è vicino a casa. Mi bastano pochi punti in effetti per qualificarmi, è una cosa fattibile. Faremo Lipsia e Bordeaux. E poi vediamo».
E nel caso, in finale chi monterebbe?
«Penso Ego van Orti. Fair Light sta un po’ a riposo, poi farà tre settimane a Oliva prima di cominciare il Global Champions Tour. E poi vediamo. Nel corso della stagione inseriremo qualche altro cavallo certamente».
Lei pensa di essere un cavaliere più di istinto o più costruito?
«Credo di istinto. Ovvio che poi ho lavorato molto sull’assetto… ».
E sente di avere qualche difetto?
«Presumo di averne tanti, ma quello di cui sono maggiormente consapevole è forse il fatto che non cerco di superare il mio limite. Dovrei prendere esempio da Gaudiano in questo: lui cerca sempre di andare al massimo, oltre ogni limite possibile. Dovrei osare un po’ di più… ».
Questo però arriva anche con la routine, con le cose in serie…
«Sì però ormai è due anni che faccio la routine… Adesso basta, direi. Devo osare di più. Sarà l’obiettivo del mio 2018!».