Roma, sabato 29 dicembre 2018 – Siamo alla fine del 2018. Un anno ricco di cose… forti per il salto ostacoli italiano, prevalentemente belle con la sola eccezione della qualifica olimpica fallita nel Campionato del Mondo di Tryon. Avremo però una seconda opportunità, noi come altre fortissime squadre continentali: il Campionato d’Europa di Rotterdam 2019, più – ultimissima chance – la finale del circuito di Coppa delle Nazioni di Barcellona che mette in palio un posto. Oggi dunque è più interessante parlare di ciò che sarà, piuttosto che di quello che è stato: e per farlo quale interlocutore migliore del selezionatore azzurro Duccio Bartalucci?
«Direi che oggi sono molto più sereno e fiducioso di quanto lo fossi al debutto della stagione che è ormai conclusa. Devo ammettere che all’inizio il 2018 è stato piuttosto difficile per una serie di situazioni contingenti, cavalli che sono venuti a mancare perché venduti o infortunati… Quando siamo arrivati a Samorin per disputare la nostra prima Coppa delle Nazioni di Prima Divisione eravamo in un momento di grande difficoltà: e Piazza di Siena era alle porte, più la prospettiva di tutta la stagione… Ma penso che alla fine ce la siamo cavata bene, abbiamo saputo gestire le difficoltà».
In effetti i risultati sono stati poi decisamente migliori…
«Sì, ma ritengo che il risultato più positivo in assoluto sia aver finito la stagione con una prospettiva sicuramente migliore rispetto a quella che ha caratterizzato l’inizio».
Peraltro già durante il corso dell’anno lei prevedeva di poter guardare al 2019 con meno ansia…
«Sì, è vero. Abbiamo avuto un certo coraggio nel fare determinate scelte in certi momenti: alcune hanno pagato, altre sono state un buon investimento per il futuro. Adesso affrontiamo il 2019 con maggiore consapevolezza delle nostre possibilità».
Ecco, parliamo del 2019. La conquista del biglietto per il viaggio olimpico a Tokyo 2020 è una priorità ormai indifferibile.
«Eh sì… La partecipazione alle Olimpiadi rafforza lo sport in qualunque Paese: vuol dire più attenzione da parte dei rispettivi comitati olimpici e dell’opinione pubblica, dunque più risorse, più entusiasmo, più partecipazione, più interesse».
Però da quando il Cio ha istituito l’obbligo di qualificarsi, e cioè dal 1996, noi ce l’abbiamo fatta una sola volta…
«Sì, per Atene 2004. C’ero io alla guida della squadra quando nel Campionato d’Europa di Donaueschingen 2003 siamo riusciti nell’epica impresa di far fuori la Gran Bretagna e di conquistare noi il posto alle Olimpiadi lasciando a casa loro… ».
Il doversi qualificare è diventato ormai una gara nella gara.
«Sì, ma quello che mi sorprende negativamente è che l’Europa continua a ricevere scarsissima considerazione a livello di partecipazione, pur essendo il cuore del salto ostacoli mondiale. Nell’anno della presidenza Fise di Antonella Dallari io andai con lei a Losanna dove ci fu una riunione con la Fei per discutere anche di questa faccenda: durante un’accanita discussione io lanciai l’idea di tornare alle squadre formate da tre binomi alle Olimpiadi in modo da dare la possibilità di partecipare a cinque nazioni in più, visto che non c’era la possibilità di andare oltre il numero limite prefissato di squadre. La cosa che non mi aspettavo assolutamente è che poi questa cosa non desse alcun vantaggio concreto all’Europa: oggi andremo a fare le Olimpiadi effettivamente con le squadre a tre binomi, ma il numero di posti a disposizione delle nazioni europee è rimasto identico a prima… ! Questo mi sembra un discorso fortemente punitivo per il nostro continente che, ripeto, costituisce l’area più importante del nostro sport».
Il discorso sulla squadra richiama inevitabilmente il tema Coppa delle Nazioni. Anche qui ci sono un po’ di problemi e tensioni a proposito dei criteri di organizzazione del circuito di Prima Divisione. Il 2019 vedrà la Prima Divisione a dieci squadre su sette tappe e quattro gare che contano per i punti per ciascuna squadra: è ufficialmente così?
«Sì, è così. Purtroppo. Noi capi équipe durante i vari incontri avvenuti nel corso dell’anno ci siamo fatti portavoce della proposta di far partecipare tutte le squadre a tutte le tappe. Il circuito della Prima Divisione è l’unico torneo nel panorama dello sport mondiale che presenta questa disomogeneità di confronto: noi possiamo incontrare… non so, dico per dire, quattro volte l’Irlanda e una volta sola la Germania… è una cosa che non ha senso sportivamente parlando, non c’è equità nel confronto sportivo».
E in più concentra su un ristretto numero di gare – quattro su sette – il destino sportivo di una squadra…
«Esatto. Cosa che limita fortemente la crescita di nuovi cavalli e nuovi cavalieri: se devo fare quattro gare a punti, tutte e quattro diventano decisive e quindi io selezionatore dovrò necessariamente affidarmi a soluzioni più ristrette e più certe circa i binomi da coinvolgere: ma questo non è un bene per lo sport».
Quindi per lei quale sarebbe la soluzione ideale?
«Facciamole tutte! Ogni squadra partecipa a tutte e sette le tappe, poi eventualmente si potrebbero tenere in conto solo i risultati migliori per ciascuna, o per meglio dire si potrebbe scartare il risultato peggiore, o i due peggiori… insomma si potrebbe discutere, però facciamole tutte: starà quindi ai selezionatori decidere la strategia migliore per allestire di volta in volta le formazioni ritenute più adatte all’impegno anche sulla base della classifica corrente».
E questa proposta è stata avanzata alla Fei?
«Sì, certo. A Barcellona, durante la scorsa finale del circuito di Coppa delle Nazioni. Abbiamo fatto una riunione in cui tutti noi capi équipe abbiamo dato le nostre indicazioni. La Fei dice che mettendo dieci squadre anziché otto in ciascuna tappa ci sarebbe un aumento del numero dei concorrenti partecipanti a quel concorso e inoltre la gara durerebbe troppo tempo. Io ho ribattuto con una soluzione molto semplice: riduciamo il numero dei concorrenti individuali del Paese organizzatore, facciamo la Coppa delle Nazioni con dieci squadre nella prima manche e le migliori sei nella seconda. Così tutto rientra nei parametri dovuti, però assicuriamo la partecipazione di tutte le squadre a tutte le tappe. In realtà non ho alcuna aspettativa circa la possibilità che qualcosa possa cambiare realmente… ».
Ma perché secondo lei c’è questa insensibilità da parte della Fei alle vostre proposte?
«Mah… Mi sembra che si stia andando verso un sistema sempre più bloccato, come se si volesse mettere un tappo. E dire che rispetto agli anni in cui montavo io, e anche a quelli successivi quando mi sono occupato della squadra nazionale, oggi ogni nazione ha un numero davvero notevole di cavalieri che possono competere ad alto livello, è cresciuto enormemente lo standard. Però tutto il sistema è diventato autoprotettivo al massimo nei confronti di una casta di cavalieri che hanno una posizione di vertice nella computer list o disponibilità economiche ingenti: questo negli Csi a cinque stelle compresi quelli del Global Champions Tour nei quali la ranking Fei e il denaro la fanno da padrone. Io capisco che i costi dell’organizzazione dei concorsi di quel livello sono altissimi e che quindi i comitati organizzatori debbano necessariamente affidarsi al sistema delle sponsorizzazioni e alla cosiddetta vendita dei tavoli, praticamente il mercimonio delle wild card, ma tutto questo blocca lo sport perché in tal modo noi che abbiamo la responsabilità tecnica nei vari Paesi dove mai riusciremo a lanciare nuovi binomi alla ribalta, se negli Csio ci ritroviamo con solo quattro Coppe delle Nazioni decisive e negli Csi di alto livello ci sono tutti questi sbarramenti?».
Quindi secondo lei quale sarebbe la ragione per cui il circuito di Prima Divisione rimarrebbe impostato così?
«Ne ho parlato a Falsterbo a quattr’occhi con John Roche (direttore del settore salto ostacoli in Fei, n.d.r.). Lui non me l’ha detto in modo esplicito, ma dalle sue risposte era chiaro e palese che alcune nazioni hanno spinto verso questa impostazione. Motivo semplice: sono quelle nazioni che hanno i propri più forti cavalieri molto impegnati nel Global Champions Tour e quindi utilizzabili nella Prima Divisione con una certa fatica e difficoltà. E io lo capisco, figuriamoci, il Global è una realtà importantissima e oggi imprescindibile: il punto però è riuscire a creare una visione dello sport che lo faccia convivere con gli altri circuiti agonistici senza penalizzarli. A parole la Fei sostiene che quello di Coppa delle Nazioni è il circuito più importante in assoluto, ma poi nei fatti le cose non sembrano stare esattamente così».
E l’atteggiamento di voi responsabili tecnici delle varie squadre nazionali quale sarebbe al momento?
«C’è malcontento. C’è fermento. Questo è sicuro. All’inizio di dicembre abbiamo chiesto una riunione con la Fei, che però ci è stata concessa a ridosso del 10 di febbraio, quindi piuttosto tardi: il che mi fa pensare che non ci sia la volontà di interagire sulle nostre proposte e sulle nostre richieste… Però se non lottiamo le cose andranno sempre peggio. Secondo me sarebbe necessaria una presa di coscienza forte di questa serie di problemi anche a livello mediatico e di addetti ai lavori».
A proposito: e la proposta di utilizzare in Coppa delle Nazioni il quinto binomio, quello di riserva, a gara in corso?
«Non è stata accettata. Cosa che mi ha molto sorpreso in negativo. A Barcellona l’indicazione in tal senso da parte di tutti noi era stata netta e chiara, in rappresentanza della Fei c’erano John Roche e Stephan Ellenbruck e da parte loro c’era stata la disponibilità a valutarla. Teniamo poi conto che da anni ormai il quinto binomio viene utilizzato nella finale del circuito a Barcellona, quindi… Ma niente da fare».
Veniamo alle faccende più di casa nostra: prevede di fare un incontro con i cavalieri italiani all’inizio dell’anno?
«Certamente, come anche nel 2018: una riunione a Milano e una a Roma. Per stabilire le date devo solo aspettare che la Fei ci risponda in merito al nostro calendario di Prima Divisione. Ci hanno comunicato nella serata del 20 dicembre che entro le ore 17 del 21 avremmo dovuto dare la scelta delle nostre quattro tappe per andare a punti… La Fei chiudeva gli uffici proprio quel giorno e riaprirà il 7 gennaio: spero che nel frattempo qualcuno stia lavorando in modo da farci pervenire una risposta entro il 10 gennaio, cosicché io possa incontrare i cavalieri tra il 15 e il 20».
Lei ha dato le sue quattro tappe, ma la Fei potrebbe modificare questo programma per far combinare l’intero calendario, giusto?
«Esatto, sì».
E quali sono le quattro tappe che ha indicato?
«Lo Csio di Sopot prima di tutto: non è un concorso che mi faccia impazzire, ma è alcune settimane dopo Roma e quindi posso arrivarci con le idee abbastanza chiare. Poi Falsterbo, Hickstead e Dublino. Falsterbo e Dublino perché sono due concorsi nei quali abbiamo una tradizione di ottime prestazioni. Dublino inoltre è in calendario due settimane prima del Campionato d’Europa e quindi sarà la sede ideale come ultima gara prima dell’appuntamento dell’anno. Hickstead l’ho inserito perché ci potremo arrivare con cavalli meno sperimentali rispetto a come erano l’anno scorso, incontrando una concorrenza forse meno agguerrita. Ho scartato La Baule perché è la settimana precedente Roma, e Geesteren l’ho indicato come sesto perché di certo frequentato dalle squadre più forti: visto che ci obbligano a fare una scelta, beh… cerchiamo almeno di non farci del male. Quindi come quinto nella preferenza ho indicato San Gallo, che è la settimana dopo Piazza di Siena ma che possiamo gestire bene sapendolo in anticipo. Adesso vediamo cosa ci risponde la Fei… ».
Quindi a Dublino scenderà in campo la squadra che poi prenderà parte al Campionato d’Europa?
«Sì, in teoria dovrebbe essere questo il programma».
La squadra che ci dovrà qualificare per le Olimpiadi cioè.
«Esatto. Abbiamo cavalieri fortissimi e ottime risorse. Dobbiamo pensare in positivo!».