Bologna, martedì 13 agosto 2024 – Le competizioni olimpiche del salto ostacoli a Parigi 2024 saranno ricordate come uno degli eventi più spettacolari ed emozionanti di sempre offerti dallo sport equestre in assoluto. Per la bellezza dello scenario, per l’eccellenza dei cavalli e dei cavalieri che si sono dati battaglia sia nella gara a squadre sia in quella individuale, per la ‘storia’ agonistica che è stata raccontata dal magnifico campo ostacoli allestito nel parco di Versailles…
Ma per rendere così affascinante e coinvolgente quella storia in quell’arena con quei cavalli e con quei cavalieri un ulteriore elemento è stato determinante: la costruzione dei percorsi, la costruzione dei singoli ostacoli, il collegamento tecnico tra una prova e l’altra. In poche parole il lavoro dei direttori di campo.
Direttori, sì, al plurale: perché si trattava della coppia composta dallo spagnolo Santiago Varela Ullastres e dal francese Gregory Bodo, e di una squadra che allineava altri otto direttori di campo internazionali nel ruolo di assistenti. Una formazione di assoluta eccellenza nella quale era schierato anche il ‘nostro’ Elio Travagliati.
Nato il 19 gennaio 1964 a Chiaserna di Cantiano, un piccolo paese nell’entroterra pesarese ai piedi del monte Catria («Il mio babbo faceva il mulattiere, da qui nasce la mia passione per i cavalli… Famiglia molto povera, ma con la forza di volontà si può arrivare ovunque: basta crederci»), Elio Travagliati è cresciuto ed è stato istruito come direttore di campo alla scuola del grande Uliano Vezzani: oggi è uno dei migliori professionisti italiani, tanto che quella di Parigi è stata la sua seconda Olimpiade nel ruolo di assistente direttore di campo dopo quella di Tokyo 2020 nel 2021.
«Per me è stata ovviamente una grande soddisfazione, anche perché ho avuto modo di dire la mia, sono stato coinvolto e ascoltato e questo fa molto piacere, è un chiaro segnale di fiducia».
Conosce bene Santiago Varela e Gregory Bodo?
«Sì, certo, li conosco bene entrambi ed entrambi erano molto contenti alla fine. Sebbene abbiano un modo di costruire diverso e due stili diversi, hanno lavorato bene insieme, si sono integrati perfettamente. Il risultato della finale individuale è stato un capolavoro: tre percorsi netti qualificati per il barrage per tre medaglie… Impossibile fare meglio di così!».
Ma come funziona il modo di lavorare in questi casi: i due titolari decidono e gli assistenti eseguono oppure c’è un confronto all’interno della squadra?
«Il confronto è stato continuo e costante: tutti i tracciati e la costruzione di ogni singolo ostacolo di tutti i percorsi sono stati argomento di discussione collegiale. Un modo di lavorare bellissimo, coinvolgente e di grande responsabilità per ciascuno di noi».
Ci sono stati casi di decisioni prese in corso d’opera oppure tutto è stato pianificato dal principio?
«Cavalli e cavalieri di quel livello è difficile averli tutti insieme nello stesso momento: anzi, non accade quasi mai, le Olimpiadi sono un appuntamento assolutamente unico. Dopo averli visti saltare il primo giorno abbiamo deciso di cambiare qualcosa nelle distanze convinti del fatto che quelle prestabilite non avrebbero funzionato a dovere data la qualità estrema dei binomi. Abbiamo cambiato anche qualche posizione agli ostacoli… La qualità nella quantità ti fa capire quello che è necessario fare in una situazione del genere».
A parole sembra facile…
«In realtà è difficilissimo… O meglio, la cosa veramente difficile è trovare la soluzione migliore per far saltare bene i cavalli creando allo stesso tempo una selezione: e con cavalli e cavalieri di quel calibro è un’impresa molto ardua! Per questo la sera prima della finale individuale abbiamo avuto tra tutti noi un lungo momento di riflessione sul da farsi… Nella gara di qualifica avevamo avuto venti percorsi netti su settantaquattro, anzi agli ostacoli ventuno calcolando un binomio che ha preso un punto di penalità sul tempo: se non si tenta qualcosa di più in finale cosa facciamo… dieci zeri? Non è possibile… Alla fine la selezione ha funzionato magnificamente, anche tra le squadre e non solo sugli individuali».
Ecco, le squadre. La situazione forse è perfino più difficile rispetto alla competizione individuale…
«Sì perché il primo giorno nella gara di qualifica alla finale le squadre sono venti e non tutte abituate a saltare a quei livelli: dunque bisogna fare molta attenzione nel tentativo di selezionare senza creare situazioni di difficoltà insormontabili o perfino pericolose per chi non ha l’abitudine a questo tipo di impegno».
C’è stato qualche momento di tensione tra voi durante lo svolgimento delle gare?
«La tensione è tantissima, sempre, alta al massimo! Spesso si costruisce un percorso o perfino un singolo ostacolo pensando che succederà qualcosa… e magari non succede proprio niente di quello che si pensava… ! Un esempio, l’ostacolo che rappresentava la base della Torre Eiffel: pensavamo che sarebbe stato delicatissimo, molto errorabile… ma non c’è stato un solo cavallo nelle due finali che l’abbia toccato! Parliamo di trenta cavalli nella finale a squadre e trentatré in quella individuale… ».
In tutto ciò può aver avuto un ruolo anche la qualità del fondo del campo ostacoli? È sembrato eccellente…
«Assolutamente perfetto. E dire che nelle due notti della gara a squadre è venuto giù il finimondo… acqua tutta la notte per due notti consecutive! Noi siamo sempre stati lì fin dalle 5 della mattina per tenere sotto controllo la situazione, ma il terreno ha reagito come meglio non sarebbe stato possibile. Anzi, direi che era di tale qualità che alla fine non solo non ha compromesso nulla, ma addirittura ha contribuito ad esaltare le prestazioni dei cavalli».
Insomma, un’esperienza importante su tutti i punti di vista per lei, sia umano sia professionale…
«Ci si arricchisce tanto in ogni senso, questo è certo. Ci si trova in situazioni e si vedono cose che in nessun altro concorso del mondo accadono. Poi l’atmosfera a Parigi è stata entusiasmante anche grazie al pubblico: gli spettatori impazzivano per i francesi, ma hanno dato un caloroso sostegno a tutti i concorrenti indistintamente. Quando Martin Fuchs ha terminato il suo percorso dopo aver perduto la staffa il pubblico ha applaudito per cinque minuti filati… Insomma: le Olimpiadi sono le Olimpiadi, un evento incomparabile. Unico».