Bologna, giovedì 16 maggio 2019 – Filippo Moyersoen non è solo un cavaliere favoloso, simbolo da più di quarant’anni di un’equitazione leggera, elegante, empatica, dolce e naturalmente vincente. Filippo Moyersoen è anche un uomo che ama ragionare senza pregiudizi e per questo rivelandosi spesso capace di fornire prospettive e punti di vista molto stimolanti per il suo interlocutore. È anche una persona intellettualmente poco convenzionale, che ama mettersi continuamente in discussione evitando quei personalismi e men che meno quei protagonismi oggi molto in voga anche da parte di chi ha fatto un centesimo di quello che ha realizzato lui nella sua straordinaria carriera… La prima risposta in questa sua intervista è di per sé molto illuminante… La domanda, o meglio il tema dal quale partire per iniziare la chiacchierata era abbastanza ovvio, alla vigilia della sua ennesima Piazza di Siena: la sua presenza in campo a Roma e quella di Roberto Arioldi (rispettivamente 64 e 63 anni) rappresenta un fatto sportivo e anche umano di altissimo livello…
«Il punto è che si pensa sempre che cavalieri della nostra età abbiano chissà quale esperienza. Ma è un modo fuorviante di porsi di fronte alla questione. In realtà il problema principale è la routine e l’abitudine nel partecipare a gare grosse e difficili. Un ragazzo di 20 o 22 anni può avere la stessa esperienza di un uomo di 60, se è ben inserito in un meccanismo continuo e costante di partecipazione, così come un cavaliere di 60 anni può essere in grande difficoltà se da tempo lontano da gare di questo tipo. Puoi aver fatto tutte le gare più difficili e importanti di questo mondo, ma se sei stato fuori dall’alto livello per un po’ di tempo perdendo quel tipo di routine e improvvisamente ti ritrovi a fare qualcosa che è un po’ al di sopra di quello che fai normalmente tutte le settimane, beh… le cose possono farsi piuttosto complicate».
Non è il suo caso, però…
«Per me fare i concorsi è una cosa normale, ho iniziato… qualche annetto fa, diciamo. Poi, è chiaro: fare il concorso più bello e importante è sempre piacevole, alla fine si è contenti… se le cose sono andate bene. L’età è un problema relativo, non abbiamo bisogno di chissà quali abilità fisiche: l’importante è rimanere agili, l’agilità è la cosa che va conservata e mantenuta al meglio facendo magari anche un po’ di ginnastica apposita, ma soprattutto stando tante ore a cavallo. Io trascorro più ore in sella adesso di quando avevo 20 anni… ».
Quindi non le pesa assolutamente mai tutto questo?
«Al contrario, mi piace immensamente! Ho la fortuna di poter fare una cosa che mi diverte, mi interessa, mi appassiona e soprattutto che mi mette giornalmente in discussione. In questo modo mi sento sempre alla ricerca di qualcosa. Anche una volta raggiunta l’assoluta convinzione di qualcosa bisogna sempre considerare la possibilità di qualche aggiustamento, di qualche modifica, di qualche ritocco. Del resto montare bene vuol dire saper calibrare in ogni circostanza la giusta intensità degli interventi nel rapporto con il cavallo, che sia in concorso come a casa nel lavoro quotidiano o nell’organizzare la preparazione fisica e atletica».
La gara come momento di verifica, quindi…
«Esatto, certo. Perfino il concorso più importante può essere utile per capire se quello che si sta facendo con il cavallo è la cosa giusta, se è necessario modificare qualcosa sia nel lavoro del cavallo sia nel proprio atteggiamento di cavaliere. Tutto questo è motivo di interesse continuo, per me, è uno stimolo costante».
Ma lei quindi si sente nella situazione di doversi… verificare?
«Ma siamo perennemente in questa situazione! Poi è chiaro che un concorso importante come quello di Roma è occasione per fare sempre al massimo il proprio meglio, tutti noi lo dobbiamo sentire come un dovere in quel contesto… Ma anche Roma rientra comunque nell’ambito di un lavoro, di una preparazione, di un cammino che si sta facendo insieme ai propri cavalli».
La sua ultima Piazza di Siena è stata nel 2016: si ricorda invece la sua prima?
«Certo, e molto bene. Era il 1978 e io con Mundy mi sono classificato 5° in Gran Premio Roma e poi ho fatto anche la Coppa delle Nazioni. E Mundy era nato nel 1971, era da poco entrato nei suoi 7 anni… ».
C’è un episodio, un ricordo che le rimane ancora oggi particolarmente vivo di una delle sue innumerevoli Piazza di Siena?
«Sì, ma di una cosa che non è accaduta in campo ostacoli… Non mi ricordo l’anno, comunque io alloggiavo nell’albergo La Ciocca, vicino al raccordo anulare. La mattina di quel giorno dovevo fare la prima gara della giornata. Esco dall’albergo e mi ritrovo in un mare di traffico assolutamente fermo e bloccato: c’era uno sciopero dei mezzi pubblici, un disastro. Allora mi sono messo a correre a piedi verso Villa Borghese che distava una decina di chilometri circa… Ero già in tenuta da gara, solo che indossavo le scarpe da ginnastica: sono arrivato a Piazza di Siena fradicio di sudore ma il problema principale era che non riuscivo assolutamente a calzare gli stivali! Alla fine sono riuscito a entrare in campo per un pelo… ».
Vicende sportive invece?
«Beh, un anno indimenticabile è stato il 1985. Io con Adam mi sono classificato al 2° posto in Gran Premio Roma, mentre la squadra ha vinto la Coppa delle Nazioni con Graziano Mancinelli, Giorgio, Bruno ed Emilio (Nuti, Scolari e Puricelli, n.d.r.). Tutto bellissimo».
La prossima settimana lei in Piazza di Siena monterà Sundance e Bellami.
«Sì, due cavalli che mi piacciono molto, due cavalli in cui credo molto».
Senta, scusi l’insistenza… ma proprio non prova alcuna emozione particolare al pensiero che lei e Roberto Arioldi sarete insieme in campo in gara? Insieme a tanti altri cavalieri per i quali voi siete due veri e propri simboli, due punti di riferimento? È una cosa bellissima, in realtà…
«Beh, non so, forse sì… ma il punto è che Roberto e io ci troviamo insieme in gara ogni fine settimana, tutte le settimane… Chiaro, Roma non è un concorso che si fa tutte le settimane, naturale… ma quando ci si trova in sella a un cavallo per andare a saltare gli ostacoli di un percorso, beh… alla fin fine è pur sempre solo e soltanto una gara!».