Bologna, lunedì 6 aprile 2020 – Così arriva il suo momento. Il momento di entrare in campo. E allora succede una cosa: succede che tutti quelli che stanno in campo prova, tutti quelli che stanno circolando intorno al campo prova, tutti quelli che sulle tribune (enormi tribune: figuriamoci, sono quelle che circondano il campo ostacoli indoor più grande del mondo… ) in quel momento sono un po’ distratti o magari impegnati a fare altro o anche solo in chiacchiere con il vicino, tutti quelli che insomma in quel momento non sono perfettamente sintonizzati su quello che sta succedendo dentro quel meraviglioso campo ostacoli… insomma, tutti si spostano per andare a vedere il suo percorso. Tutti. Addirittura alcuni cavalieri che stanno montando in campo prova smontano per affacciarsi a piedi al cancello di entrata: certo, in campo prova ci sono anche gli enormi schermi del circuito televisivo interno, ma quel percorso e quel cavallo e quel cavaliere vanno visti con i propri occhi, con la visione in diretta, con la prospettiva totale del campo e degli ostacoli e delle girate e delle falcate e dei rumori… tutto, insomma. I migliori del mondo vogliono vedere quel percorso perché in quel momento Gianni Govoni in sella alla sua piccola e formidabile Love Affair è il cavaliere in grado di stabilire per tutti quello che si può fare e quello che non si può fare: il limite ultimo e invalicabile generalmente lo definisce lui, poi sarà compito degli avversari adeguarsi. Quel percorso va visto perché il risultato di Gianni Govoni – quale che sia – in quel momento è sempre e solo una sfida: e quell’anno a Ginevra (siamo nel 2008) davvero in pochi sono riusciti a coglierla e poi vincerla.
Il nastro della memoria si riavvolge veloce per portarci indietro di una trentina d’anni. È il 1983 e ci troviamo a bordo campo in un altro luogo di salto ostacoli leggendario: Piazza di Siena, Roma, Villa Borghese, i cipressi, la staccionatina, quella luce, quell’aria… Piazza di Siena, insomma. Raimondo d’Inzeo si muove veloce verso le scuderie dopo aver assistito ad alcuni percorsi della Coppa dei Giovani. Nella sua mente è già tutto chiaro: lui le cose le sa. Va verso i box della squadra dell’Emilia Romagna, individua la persona che gli serve e senza mezze misure, con quella efficacia diretta che gli è tipica, fa la sua domanda: «Signor Govoni, lei vuole che suo figlio diventi un commerciante di cavalli o vuole che diventi un cavaliere?». Mio papà, poverino, lì per lì ci è perfino rimasto un po’ male, ha detto una volta Gianni Govoni ricordando quella scena… Eppure è da lì che comincia tutto: perché il signor Govoni, forse sensibile al carisma di un d’Inzeo che non solo è il campione che tutti conoscono ma in quel momento è anche il responsabile del salto ostacoli azzurro, il signor Govoni dunque lascia che la storia faccia il suo corso. Gianni entra nel gruppo dei cavalieri federali ai Pratoni del Vivaro e Raimondo d’Inzeo inizia il paziente lavoro di rifinitura, di sgrezzamento, incide, modella, manipola, ridisegna… per incanalare quella enorme massa di talento naturale dentro gli argini forti e solidi di un’equitazione consapevole.
L’ultimo tocco lo dà Henk Nooren a partire dal 1993, un tecnico che ha lasciato un segno indelebile ovunque abbia lavorato, un uomo che trasporta Govoni (e non solo lui) nell’equitazione del futuro facendo tesoro degli insegnamenti del passato. Govoni a quel tempo entra in campo con la sua mascella forte serrata quasi con rabbia, con quegli occhi piccoli e neri che sembrano voler incenerire qualunque ostacolo – e non solo quelli fatti di barriere e pilieri… – gli si pari davanti, con quella voglia di rivalsa e di rincorsa e di risalita che gli brucia dentro come un fuoco sacrificale. «Gianni entra in campo ogni volta per spaccare il mondo», dice Nooren, «ma deve capire che non sempre si può»: è glaciale il tecnico olandese, e pretende che il cervello abbia sempre il sopravvento sul sangue.
Il risultato di tutto questo è la considerazione incondizionata che il salto ostacoli mondiale riserva oggi a Gianni Govoni. Quando si sente qualche cavaliere – straniero o italiano – o tecnico o giornalista o comunque addetto ai lavori parlare di Gianni Govoni si coglie sempre nel tono della sua voce il rispetto e l’ammirazione per un fenomeno che certamente è il prodotto di tecnica e conoscenza e applicazione e sacrificio e lavoro, ma che trova la sua fonte originaria soprattutto nel talento naturale. Gianni Govoni è un talento naturale. Può vincere e può non vincere, può avere o non avere i cavalli giusti per fare le grandi gare, ma il suo talento rimane lì, dentro di lui, immodificabile. Per sempre.