Bologna, giovedì 22 luglio 2021 – Siamo a Gijon, è il 30 agosto del 2019: l’Italia vince la difficile Coppa delle Nazioni dello Csio a cinque stelle della Spagna. Per Antonio Garofalo (classe 1990, nato il 3 luglio) è il successo di maggior rilievo di una carriera che lo aveva visto debuttare in prima squadra nel 2013. È l’inizio di qualcosa di importante insieme a Conquestador, cavallo olandese (Kwpn) nato nel 2007 da Nabab de Reve x Farmer che il cavaliere azzurro inizia a montare proprio in quello stesso 2019. Un qualcosa che purtroppo si interrompe presto: arriva la pandemia e lo sport si ferma. Alla fine del 2020 però si ricomincia. Il 12 settembre Antonio Garofalo e Conquestador ottengono il 4° posto nel Campionato d’Italia di salto ostacoli a Busto Arsizio, poi il 17 novembre il 3° posto in Coppa delle Nazioni a Vilamoura (Csio a tre stelle del Portogallo), quindi il 28 novembre una prova poco felice dell’Italia nello Csio a tre stelle di Vejer de la Frontera (Spagna, comunque Conquestador chiude con due errori). Il 2021 comincia con Antonio Garofalo e Conquestador in campo nelle Coppe delle Nazioni di Gorla Minore, Praga e San Gallo: uno dei binomi ai quali i tecnici azzurri Duccio Bartalucci e Marco Porro ricorrono spesso per sfruttarne la consistenza di rendimento.
«Ogni partecipazione a una Coppa delle Nazioni è per me un grande onore. Le prime gare importanti nel 2021 dopo la pandemia sono state proprio le due Coppe in Portogallo e Spagna: ho quindi avuto la fortuna di poter riprendere da dove avevo interrotto. Grazie al lavoro e alla fiducia nei miei confronti di Marco Porro, il quale dandomi la possibilità di mettermi in gioco ha fatto crescere sia me sia il mio cavallo».
Ma come ha fatto a mantenere la qualità del rendimento di Conquestador, oltre alla sua forma, durante il periodo in cui i concorsi non ci sono stati?
«Superati i primi giorni di pandemia, durante i quali non si poteva montare nemmeno a casa, penso che tutti noi cavalieri professionisti abbiamo lavorato per mantenere l’allenamento dei nostri cavalli. Certo, senza i concorsi è un’altra cosa, ma quando le gare sono riprese i direttori di campo sono stati bravissimi nel creare una giusta progressione».
Nei giorni della pandemia alcuni cavalieri sostenevano che una sospensione così lunga dell’attività agonistica poteva costituire un beneficio per i cavalli, altri invece che sarebbe stata un’interruzione del ritmo agonistico che avrebbe reso molto difficile la ripresa…
«Credo che fossero considerazioni del tutto soggettive. Se guardiamo per esempio al mio cavallo numero uno, Conquestador, io dico che la sospensione dell’attività per lui è stata un beneficio. Per un cavallo di 12 anni che entrava nei 13, e che aveva finito la stagione 2019 affrontando gare abbastanza impegnative e importanti come i cinque stelle di Atene e Gijon, aver avuto un po’ di tregua non può che essere stato un bene. Direi il contrario se però parlassi del mio 8 anni Presley degli Assi: il quale non aveva ovviamente tutta l’esperienza di Conquestador e quindi durante la pandemia ha perso un bel pezzo della sua carriera e del suo allenamento, della sua routine, insomma, della sua preparazione».
Pensa che Conquestador abbia ulteriori margini di miglioramento? All’orizzonte c’è un Campionato d’Europa: si sentirebbe pronto per affrontarlo insieme al suo cavallo nel caso in cui i tecnici federali decidessero di convocarvi?
«Sicuramente sì. Diciamo che Conquestador mi dà una grande sicurezza in questo tipo di gare perché è un cavallo di enormi mezzi ed è sempre… verso l’ostacolo… è una sensazione sempre molto positiva quella che provo montandolo. Detto questo, è pur sempre vero che ci sono ancora tante piccole cose da migliorare: c’è ancora da fare, di sicuro».
Come è nata la sua storia con lui?
«È una storia davvero particolare. Quando Conquestador aveva 7 anni mi è stato segnalato da mio padre, così l’ho provato… mi ricordo che eravamo nel campo prova di un concorso. Mi è piaciuto tantissimo, ma era troppo costoso per le nostre possibilità economiche e così se n’è fatto nulla. Però quando si dice il destino… Succede che diversi mesi più tardi una mia allieva, Elena Lardone, una mia carissima amica che stava cercando un cavallo di mezzi e qualità per cominciare a fare i primi Gran Premi nazionali, abbia trovato proprio Conquestador: così lo ha provato sempre con me, si è trovata benissimo e quindi l’ha comperato. Poi però con l’andare del tempo si è un po’allontanata dal nostro mondo per ragioni di studio… e così me lo ha affidato».
Beh, davvero un bel gesto, anche perché è da supporre che Conquestador avesse un buon mercato…
«Altroché! Dopo la vittoria in Coppa delle Nazioni a Gijon sono arrivate tantissime offerte di acquisto… ma Elena e sua mamma Roberta Lardone, proprietarie del cavallo, le hanno rifiutate tutte, preferendo che Conquestador rimanesse in… famiglia, diciamo. Elena lo ha acquistato a 8 anni, con lui ha fatto gare fino al 2019 con belle soddisfazioni, con lui ha preso il 2° grado, con lui ha avuto buoni risultati… Poi lei ha fatto scelte di vita diverse e io… beh, mi ritengo fortunatissimo di aver vicino persone come loro: cavalli come Conquestador capitano poche volte nella vita. Penso che pochissime persone al posto loro avrebbero rinunciato alla vendita pur di poter dare a un amico un cavallo del genere».
Dovendo descrivere le principali qualità di Conquestador cosa direbbe?
«È un cavallo dal cuore enorme. Quando lui sente la gara fa di tutto per non toccare le barriere. Io lo percepisco chiaramente… È un guerriero. È sempre dalla parte del cavaliere: questa è la sua più grande qualità».
E i difetti, o le mancanze, o qualcosa da correggere?
«È un cavallo di grande foga quindi è un po’ in difficoltà nei campi piccoli. Durante i concorsi va sempre tenuto in lavoro, anche al mattino, perché non bisogna farsi sovrastare da questa sua energia altrimenti possono nascere problemi nella gestione del percorso. Però ormai lo conosco molto bene, quindi cerco sempre di arrivare al momento del dunque in modo che lui abbia ancora tutta la voglia di andare a saltare senza che questa voglia vada oltre a un certo limite».
Veniamo a lei: la sua base di vita e di lavoro è l’Allevamento degli Assi.
«Sì, a Viterbo, di proprietà di Domenico Merlani e di sua moglie Federica Breda. Loro rappresentano un tassello fondamentale per la mia carriera, non capita spesso di trovare persone così. Domenico mi dà modo di esprimermi liberamente in tutto, dalla programmazione dei concorsi alla scelta dei cavalli… Fondamentale, davvero».
Quindi l’allevamento rappresenta anche una buona fonte di approvvigionamento in termini di cavalli?
«Domenico alleva da tanto tempo. Ha fattrici molto buone. Io quindi posso contare tutti gli anni su cavalli che vengono avanti. Però, certo, c’è sempre il fattore vendita, i cavalli migliori vengono venduti, bisogna far quadrare tutto del resto… Ma per fortuna abbiamo anche le forze per trattenerne qualcuno di importante per il futuro, tipo Presley degli Assi che è stato molto richiesto ma che abbiamo deciso di portare avanti nello sport: è stallone approvato, adesso ci sono i suoi primi figli, stiamo puntando molto su di lui».
Lei dunque si occupa di tutta l’organizzazione dei cavalli nell’allevamento?
«Non esattamente. Ci sono due scuderie: la mia è quella principale dove ci sono i cavalli più maturi e qualche giovane. Poi c’è un’altra scuderia con un ragazzo giovane che monta molto bene, Federico Iacobone: lui si occupa dei cavalli più giovani, dai 4 ai 6 anni, anche se adesso con qualche soggetto più maturo sta facendo i primi Gran Premi della sua carriera».
E poi c’è sua moglie, che è ugualmente donna di cavalli…
«Certo. Sonia e io siamo sposati da due anni. Lei è davvero importantissima nell’organizzazione generale. Pensare ai concorsi, alle trasferte, alle date, alla gestione dei cavalli… è una cosa complicata e una persona da sola non può farcela, ma neanche due… Io grazie a tutte queste persone e grazie a Sonia riesco a fare tutto, ma non è facile. Siamo una squadra bella e completa, da Domenico a Federica, da Federico a Sonia… tutti hanno un ruolo importantissimo, non solo io e i cavalli, anche se siamo noi quelli che vanno in campo ostacoli».
Tanto per rimanere in tema di famiglia, suo fratello Giampiero sta in Belgio, suo padre Paolo sta a Napoli, lei a Viterbo: ma il vostro rapporto nonostante le grandi distanze geografiche è sempre molto stretto.
«Strettissimo. Giampiero e io ci sentiamo almeno dieci volte al giorno… Condividiamo tutto, dal lavoro dei cavalli alla preparazione ai concorsi, progetti, programmi, sogni… Tutto, insomma. È come se fossimo sempre insieme».
Il fatto che lei sia il fratello maggiore comporta qualcosa di diverso nel rapporto con Giampiero rispetto a quello che lui intrattiene con lei?
«No, assolutamente. A volte il fratello maggiore lo faccio io, a volte il fratello maggiore lo fa lui… Ci compensiamo in tutto».
E vostro padre?
«È sempre con noi. Lui sta a Napoli, ha i suoi allievi, li porta avanti. Ma noi possiamo contare sempre su di lui. È un appoggio molto importante».
Poi per lui sarà meraviglioso avere due figli come voi, pienamente affermati a così alto livello in un’attività che nasce dalla passione condivisa…
«Immagino di sì. Tutti mi dicono che lui parla sempre di noi… ! E noi dobbiamo tutto a lui. Nostro padre ci ha dato un’educazione particolare, quando eravamo piccolini non abbiamo avuto tante possibilità, ci siamo costruiti un po’ tutto da soli ma sempre grazie a nostro padre, a quello che lui ci ha insegnato. Questa è stata la chiave fondamentale».
Non le è mai venuta voglia di trasferirsi all’estero, come hanno fatto tanti cavalieri italiani, compreso suo fratello?
«Ci penso sempre, in effetti, ancora oggi. Però poi mi rendo conto che non è così facile rimettersi totalmente in gioco da capo. Al momento io non me la sentirei di lasciare l’Italia: mi piace stare vicino ai genitori di mia moglie, vicino ai miei… Mi piace stare qui, insomma. In Italia, a casa mia».
Fino a oggi quale è stata la sua gioia più grande, la soddisfazione più grande?
«Sicuramente la vittoria in Coppa delle Nazioni a Gijon nel 2019. Una cosa bellissima, vincere una Coppa delle Nazioni a cinque stelle: dopo arrivano delle emozioni che auguro a tutti. Davvero: emozioni indescrivibili. Detto questo, le grandi gioie non necessariamente si collegano a un grande evento: certo, la prima volta che ho gareggiato nello Csio d’Italia a Piazza di Siena ho provato sensazioni che non dimenticherò mai, ogni volta che vengo convocato per una Coppa delle Nazioni è un’emozione unica, ma anche quando si va in concorso con un cavallo giovane e lo si sente progredire e saltare bene è una soddisfazione enorme… Le gioie per fortuna sono tante. Ma Gijon rimane la più forte».
Le piace la vita di squadra, il senso della squadra?
«Tantissimo, sì. Mi piace tantissimo. E poi mi piace rimettermi in gioco, conquistare un traguardo. A questo proposito devo confessare una cosa… un po’ particolare, diciamo. E cioè che ogni volta che torno a casa dopo una Coppa delle Nazioni poso la giacca rossa e dico va beh, questa è stata l’ultima volta che l’ho indossata… Da un lato so che non è vero, ma dall’altro mi piace pensare di dovermi conquistare ancora tutto, giorno dopo giorno e concorso dopo concorso… ».
Quindi a questo punto arriva la domanda inevitabile: il suo sogno?
«A domanda inevitabile, risposta inevitabile: il mio è il sogno di tutti i cavalieri, anzi, di tutti gli atleti… le Olimpiadi ovviamente. Ma anche il Campionato del Mondo, il Campionato d’Europa… Questi sono i miei sogni, che faccio anche grazie a Domenico Merlani: stiamo mettendo tutto il nostro lavoro in alcuni cavalli giovani e l’obiettivo principale è almeno poter ambire a quello… Tra qualche mese c’è il Campionato d’Europa, l’anno prossimo c’è il Campionato del Mondo, tra tre anni di nuovo le Olimpiadi… Non posso sapere quello che succederà: quello che so per certo però è che noi ce la metteremo tutta per coltivare i nostri sogni!».