Bologna, mercoledì 7 agosto 2019 – Il caso Morris sta scuotendo nel profondo il mondo dello sport internazionale. Ed è ovvio che sia così: per la gravità dell’argomento, e per la dimensione del personaggio, e per le modalità con cui è stata gestita la faccenda negli Stati Uniti. L’effetto immediato è stato quello della nascita di due enormi fazioni in una opinione pubblica trasversale: i colpevolisti e gli innocentisti, i garantisti e i forcaioli. Ciascuna delle parti sostiene il proprio punto di vista con una forza e un’energia che sono ovviamente proporzionate alla drammaticità dell’argomento. I colpevolisti sostengono che se la federazione statunitense ha ritenuto di dover prendere il provvedimento di radiare a vita un personaggio come George Morris non può che averlo fatto più che a ragion veduta, dunque Morris non può che essere colpevole di ciò di cui è accusato; e sostenere senza ombra di dubbio la sua colpevolezza vuol dire assumere un atteggiamento chiaro e forte contro tutti i crimini legati alla sfera dei comportamenti sessuali e di relazione con il prossimo. Non solo: nella visione dei colpevolisti qualunque ragionamento che possa in qualche modo mettere in dubbio anche solo potenzialmente la colpevolezza di Morris vuol dire essere idealmente e intellettualmente schierati dalla parte dei violentatori e degli abusatori. Gli innocentisti non ritengono possibile né verosimile che un uomo di 81 anni che ha dedicato l’intera sua vita allo sport stando in mezzo alle persone di ogni età e genere, conosciuto in tutto il mondo e quindi ‘esposto’ come pochi altri all’apprezzamento della comunità sociale, possa essere accusato di qualcosa accaduto cinquant’anni fa; soprattutto in tanti sollevano molti dubbi circa la correttezza del procedimento svolto dall’organismo SafeSport, e del rapporto tra questo e la federazione, oltre che sulla natura stessa del meccanismo.
Come sempre in questi casi l’unica cosa che certamente non si dovrebbe fare è lasciarsi andare – soprattutto pubblicamente – a ragionamenti e dichiarazioni di pancia. Il punto infatti non è certo quello di dichiararsi a favore o contro i reati sessuali e del comportamento sessuale: qui non c’è da perdere nemmeno un secondo nella discussione… è talmente ovvio e scontato infatti che qualunque forma di violenza o imposizione o anche solo subdola suggestione di carattere sessuale a danno di un soggetto più debole (che sia uomo o donna, maggiorenne o minorenne indifferentemente) è da condannare senza se e senza ma. Il punto non è questo. Il punto in questa vicenda prescinde dal contenuto e dalla natura delle accuse e riguarda invece la modalità e lo svolgimento dell’intero processo, sia in senso tecnico sia in senso figurato. La federazione statunitense ha radiato George Morris dichiarando nel contempo tale sanzione appellabile. La radiazione è avvenuta come effetto meccanico e dunque inevitabile a seguito di quanto stabilito dallo United States Center for SafeSport, un organismo investigativo indipendente il cui scopo è quello di assicurare al mondo dello sport garanzie e certezze circa il benessere degli atleti con particolare riferimento ai casi di abusi e molestie sessuali. Secondo il meccanismo che regola il rapporto tra Usef e SS, la federazione non può agire discrezionalmente: ma ammette l’appellabilità della sanzione. SS raccoglie sia in modo diretto sia via internet denunce di “sexual misconduct”: sulle quali naturalmente mantiene il più stretto e assoluto riserbo a tutela delle vittime.
Proprio la tutela della vittima è l’argomento qui più delicato. La vittima rimane anonima ma il presunto colpevole è dato in pasto all’opinione pubblica. Il presunto colpevole è sanzionato con un provvedimento gravissimo (la radiazione) ma nel contempo gli si riconosce la possibilità di appello: dunque fin tanto che l’appello non è terminato la sua colpevolezza deve ritenersi per l’appunto presunta. E se la vittima in tutto questo alla fine risultasse non chi accusa bensì Morris stesso? E’ un’ipotesi concreta, o quanto meno possibile visto che gli viene riconosciuto il diritto all’appello. E se fosse così? E dopo tale pubblicità l’organismo che dovrà gestire l’appello sarà effettivamente libero e non condizionato nel prendere la propria decisione? Detto in soldoni: se io do ragione all’appellante sconfesso in modo spettacolare gli accusatori… e cosa succede poi? Morris – nell’ipotesi in cui se ne riconosca l’innocenza – non adirà le vie legali contro chi gli ha procurato un danno di proporzioni colossali? Ovviamente sì… Se Morris sarà riconosciuto colpevole è già tutto scritto e definito: è radiato e la sua vita è finita, visto che ha 81 anni e la sua vita è nello sport… Ma se Morris dovesse essere riconosciuto come innocente?
Come si vede il meccanismo generale è molto più che imperfetto poiché presta il fianco al pregiudizio e alla strumentalizzazione sia nella prospettiva dei colpevolisti sia in quella degli innocentisti. Intanto ieri è nato su Facebook un gruppo dal nome I Stand With George che in meno di due ore dalla pubblicazione ha raccolto 2.500 iscritti, il che offre una buona percezione dell’impatto che sull’opinione pubblica ha avuto l’intera vicenda. Tra gli iscritti vi sono moltissimi tra amazzoni e cavalieri che hanno vissuto e lavorato con George Morris nel corso degli ultimi cinquant’anni (l’elenco è davvero lunghissimo), e particolarmente significativo è il commento pubblicato da Katie Monahan Prudent, amazzone dalla lunghissima ed eccellente carriera sportiva, poi a sua volta trainer di successo: “Ho iniziato a montare a cavallo con George nel 1969 quando avevo 15 anni. Ho passato tutti i giorni, ogni giorno, nella sua scuderia, a casa o in concorso. Per anni ho guardato e seguito George mentre insegnava a ragazzi e ragazze, giovani e meno giovani, gay o eterosessuali, ricchi o poveri, di talento o non di talento. Lui ha trattato tutti sempre nello stesso modo. Duro, rigoroso, pretendendo disciplina, molto… sonoro nelle sue critiche. Alcune persone hanno pianto, altre sono andate in crisi e hanno abbandonato strada facendo, altre persone sono diventate campioni. In molti, molti anni durante i quali ho osservato George, notte e giorno, non ho MAI assistito a un solo istante di comportamento inappropriato con uno junior. MAI! Io semplicemente non credo a tutto questo. E io ho passato con George da junior più tempo di qualunque altro junior… e nessuno mi ha mai chiamato per farmi delle domande! E io ero lì”. Certo le parole di Katie Monahan nascono anche sulla base di un affetto profondo che la lega a Morris… Eric Lamaze è altrettanto eloquente: “Ho il più grande rispetto per questa leggenda del nostro sport che mi onoro di poter definire mio amico. Lui ha fatto così tanto per la squadra americana e ha fatto nascere alcuni dei migliori professionisti del nostro sport di oggi. Quello di cui è accusato di aver fatto nel 1968 non può che essere uno scherzo… Forse un cliente arrabbiato? Qualcuno che ora vuole farsi luce; chi è questa persona? Vedere un mio amico accusato di una cosa del genere senza alcuna spiegazione è ridicolo. George non disonorerà mai lo sport che ama”. Quelli di Monahan e Lamaze sono solo due tra i tanti commenti indignati, risentiti, stupefatti. Moltissimi si chiedono come sia possibile basarsi su accuse che risalgono a fatti accaduti mezzo secolo fa, quali e quante possano essere al giorno d’oggi le testimonianze attendibili e credibili circa ipotetici eventi accaduti da così tanto tempo…
La materia è delicata, estremamente delicata. E qualunque sia l’esito finale, sarà comunque tristemente drammatico. Se Morris è davvero colpevole di ciò che gli viene imputato, verrà dimostrata l’esistenza dell’ennesimo caso di una persona che ha subito una esperienza sconvolgente per la propria vita in senso letterale. Se Morris non sarà ritenuto colpevole, beh… vorrà dire aver rovinato la vita intera a un uomo di 81 anni che di tempo ormai purtroppo non ne ha più molto…