Bologna, mercoledì 12 settembre 2019 – Massimo Grossato e Lazzaro delle Schiave: il binomio del momento?
«Beh, insomma, diciamo che non sta a me dirlo… ».
Lei è reduce dal prestigioso e difficilissimo Csio di Calgary in Canada, dove il suo Lazzaro ha fornito alcune favolose prestazioni: conferme o sorprese?
«No no, nessuna sorpresa: solo conferme. Da sempre io sono convinto delle qualità e delle potenzialità di questo cavallo… Poi è ovvio che avere una conferma come quella di un concorso di tale calibro è comunque importante».
Invece lo scorso maggio nello Csio di Roma a Piazza di Siena le cose non sono andate come ci si sarebbe aspettati: e poco più tardi lei raccontava di aver apportato qualche cambiamento e qualche correttivo nel lavoro e nella preparazione del suo cavallo…
«Sì, esatto. Diciamo che nel 2018 la mia partecipazione a Piazza di Siena era servita solo come momento di esperienza per Lazzaro, e le mie sensazioni erano state davvero positive. Quest’anno invece dopo dodici mesi comunque di crescita del cavallo speravo di essere più protagonista in Gran Premio. È evidente che quella formula di gara mi ha leggermente penalizzato, ma è vero soprattutto che il cavallo era troppo teso, troppo nervoso. Quando Lazzaro è così agitato comincia a strafare e passa un metro sopra ogni ostacolo, solo che poi fa fatica ad arrivare a fine percorso, diventa un impegno mentale troppo forte e così a un certo momento cede. Del resto se un cavallo che negli ultimi sei o sette percorsi ha fatto due errori su cento ostacoli, prima ne ha fatti tre su quattro salti, beh… è evidente che qualcosa in quel momento non stava andando per il verso giusto. A Roma lui ha proprio ceduto a livello mentale».
Ma perché? Si è dato una spiegazione?
«Intanto diciamo che il GP Roma di quest’anno è stata senza alcun dubbio la gara più difficile che io abbia affrontato. Opinione condivisa da diversi altri cavalieri: lo stesso Daniel Bluman (vincitore a Roma, n.d.r.) mi ha poi detto che quest’anno ha trovato quello di Roma ben più difficile del GP di Aquisgrana. Non che a Calgary il GP fosse tanto di meno, intendiamoci, però quello di Roma è capitato in un momento in cui Lazzaro non era ancora pronto mentalmente. A Calgary invece ho avuto la netta sensazione che Lazzaro stia cominciando a maturare di testa, che stia raggiungendo una maggiore consapevolezza circa il tipo di impegno che gli viene richiesto e del modo giusto in cui lui lo debba assolvere».
Dicevamo dei cambiamenti apportati dopo Roma.
«Sì, beh…ho cambiato il tipo di preparazione e di lavoro in campo prova, ma principalmente ho cambiato imboccatura, adesso ne uso una più leggera. Ne ho trovata una su cui il cavallo mi si appoggia bene e non mi salta più via dalla mano: e questo è fondamentale. Per esempio, a Calgary la linea finale della seconda manche composta da una gabbia di larghi e poi una gabbia di verticali era una vera trappola, però lui lì mi è rimasto appoggiato molto bene sulla mano, ho dovuto addirittura dare una tiratina per farlo rientrare: se avessi avuto la vecchia imboccatura con un intervento simile lui mi sarebbe passato dietro costringendomi poi a spingerlo, ma spingere su una gabbia del genere avrebbe voluto dire uscirne con due errori di certo».
Secondo lei in che fase della sua vita sportiva è Lazzaro? Andrà incontro a ulteriori fasi di miglioramento?
«Lazzaro è una forza della natura: non credo possano esistere cavalli più dotati di lui atleticamente. Però come ho detto è molto particolare di testa: molto, molto sensibile, spesso vuole strafare… cose che lo porteranno a mio avviso a maturare più avanti, quindi secondo me ha dei consistenti margini di miglioramento. Anche a Calgary a volte ha esagerato, anche in Gran Premio su alcuni oxer ha saltato un metro sopra: è forse bello e spettacolare da vedere ma è in realtà un suo limite che poi paga su percorsi così grossi. Adesso però pian piano sta imparando a gestire mentalmente lo sforzo: e questa è l’origine del miglioramento degli ultimi periodi. Saltando regolarmente in queste gare comincia a dire ok, quell’oxer lì non è poi così grosso, non serve che ci vada un metro sopra… e quindi sta cominciando a prendere più regolarità».
Sembrerebbe che per lui i campi più adatti siano quelli in erba e di grandi dimensioni.
«Sì esatto, in erba e di grandi dimensioni. Il campo grande dove poter prendere un bel galoppo e mantenerlo con regolarità è il suo campo. Più le curve diventano strette e più gli ostacoli si trovano vicino all’uscita dalle curve, e più lui si scalda e il suo problema di voler andare un metro in aria diventa più evidente. Il campo di Dublino, di Hickstead, di Calgary… ecco, questi sono i campi perfetti per lui».
Prima di quello attuale, il momento migliore per lei sportivamente e agonisticamente è stato quello vissuto in sella a El Kintot nella prima decade del Duemila: grandi gare e grandi risultati. Cosa è successo tra El Kintot e Lazzaro?
«Eh… è successo di tutto. Dopo El Kintot ho dovuto riorganizzarmi completamente, poi è venuto a mancare mio papà quindi mi sono trovato anche senza il mio sponsor, dunque ho dovuto ricominciare da capo, tutta la mia vita. Ci è voluto un po’ di tempo…. Sicuramente troppo, questo sì. Troppo».
Però adesso si potrebbe forse innescare un meccanismo virtuoso: lei è un cavaliere magnifico e talvolta succede che quando si ha un buon cavallo le cose poi migliorino…
«Certo, se qualche proprietario… ogni tanto… volesse… ».
Comunque ha fatto un po’ fatica in questi anni, no?
«Sì, ho trovato tanti cavalli normali che mi hanno comunque permesso di saltare qualche coppetta ogni tanto, ma il vero campione come Lazzaro o come El Kintot mi è mancato, questo è innegabile».
Questi due cavalli li metterebbe sullo stesso piano?
«Beh, Lazzaro è senza alcun dubbio un cavallo in assoluto migliore di El Kintot. Quello che oggi manca a Lazzaro sono i risultati di prestigio che ha avuto El Kintot. Se devo tenermi i risultati di El Kintot o quelli di Lazzaro per ora mi tengo quelli di El Kintot, ma Lazzaro è un cavallo di certo superiore, sicuramente. Un programma di gare come quello che ha fatto Lazzaro a Calgary con la gara grossa all’inizio, poi la Coppa delle Nazioni e subito dopo il Gran Premio El Kintot non avrebbe mai potuto farlo».
Cavalli, il problema di ogni cavaliere di alto livello. Adesso lei con la squadra azzurra affronterà la finale del circuito di Coppa delle Nazioni a Barcellona che per noi vale soprattutto come ultima possibilità di qualifica per le Olimpiadi dell’anno prossimo. Facciamo tutti gli scongiuri possibili e immaginabili, ma poniamo il caso che noi si fallisca anche questa terza possibilità: cosa succederà poi dei nostri migliori cavalli senza le Olimpiadi come obiettivo?
«Ecco, questo è il problema principale e più grande, effettivamente. Il sogno olimpico fa sì che persone normali come me e come tanti altri facciano uno sforzo e non mettano in vendita i cavalli anche a fronte di offerte molto consistenti. Però il sogno deve essere quello olimpico, perché la semplice idea di fare Piazza di Siena una volta in più, Hickstead una volta in più, Dublino una volta in più non basta, non è sufficiente. Ormai il valore di questi cavalli è arrivato alle stelle, questo è un fatto che non si può ignorare… In realtà bisogna sempre valutare le cose man mano che le situazioni si verificano. Adesso come adesso io personalmente l’idea di vendere il mio cavallo non ce l’ho. Certamente dopo Barcellona faremo le valutazioni del caso».
In effetti una grossa cifra può servire per migliorare la scuderia…
«La verità è che oggi ci sono persone disposte a spendere cifre che una volta erano impensabili per certi cavalli. Noi professionisti invece abbiamo forse la presunzione di pensare di essere capaci di trovare qualcosa di simile spendendo molto meno… In realtà sta diventando sempre più difficile anche per noi trovare il cavallo che spendendo il giusto possa sostituire il cavallo numero uno, però quel sogno è sempre vivo… ».
A proposito di gestione economica di una scuderia, lei come è organizzato?
«In modo molto semplice: la mia organizzazione è che faccio tutto io… ! E questa è la cosa più complicata. Oggi montare bene ad alto livello è un presupposto quasi scontato. È pieno di ragazzi che montano bene. Puoi dire che ti piace di più Marcus Ehning o Scott Brash, ma la realtà è che a quel livello sono tutti fuoriclasse. Questa è una cosa scontata. Oggi il vero grande campione è quello come Steve Guerdat che riesce ad avere un buon numero di cavalli sempre al livello, sempre pronti, e questo fa la differenza. Ma per arrivare a questo ci deve essere un consistente giro di cavalli di una certa qualità. Questa è la difficoltà grossa che troviamo noi… che trovo io, che trova uno come Bruno Chimirri, uno come Luca Marziani. Certo che Lorenzo de Luca o Alberto Zorzi che sono dentro le organizzazioni di Stephan Conter e di Jan Tops il problema non ce l’hanno. Il problema invece ce l’ha anche Piergiorgio Bucci, perché la discriminante non è semplicemente stare all’estero, bensì stare dentro un’organizzazione che garantisca tutto quello di cui abbiamo detto. Prendiamo il caso di Lorenzo: si è fatto male Ensor e sono arrivati due cavalli nuovi in scuderia, due cavalli da Gran Premio. Lì quando i cavalli mancano si comprano senza fare troppe storie, noi qui invece dobbiamo partire dai cavalli giovani, dal cavallo incompreso da rivalutare, da quello un po’ scarso che deve rendere al suo massimo… è tutto più complicato».
Però è comunque soddisfatto di questo periodo della sua vita?
«Sono molto contento, sì. A casa ho una bellissima situazione, sto in una scuderia magnifica, ho il giusto numero di clienti per poter lavorare al meglio senza essere sovraccarico. La scuderia è quella di Lara Villata a Villanova d’Asti, La Varletta. Ho un gruppo di allievi, ho la mia groom Maria Ivanova e Martina Caimi che lavorano con me e che mi seguono i cavalli che restano a casa quando io sono via con gli altri: Maria e Martina sono fondamentali».
Lei ha vissuto il recente Campionato d’Europa di Rotterdam sia dall’interno sia dall’esterno: essendo la riserva della nostra squadra era lì ma non in campo. Che pensieri ha fatto durate quei giorni?
«Ho pensato che ci siamo fatti intimidire. Abbiamo giocato alla Trapattoni invece di giocare alla Sarri… Siamo stati troppo timidi, avremmo dovuto essere molto più determinati e aggressivi. Pensare soprattutto a evitare di andare male va bene, ma a volte bisogna invece pensare di fare molto bene. Le 4 penalità, il percorso andando piano… sono tutte situazioni giocate in difesa, diciamo. Ci siamo fatti intimidire dal fatto di essere a un Campionato d’Europa con la qualifica olimpica in palio, e non abbiamo fatto quello che secondo me saremmo stati in grado di fare. Nella gara del primo giorno siamo rimasti troppo indietro. Troppo indietro».
I campionati internazionali di solito servono anche per fare qualche riflessione di carattere più generale sullo sport, sulle situazioni… Rotterdam le ha suggerito qualche spunto in particolare?
«Sì, beh, la cosa più evidente è che il livello tecnico soprattutto dei cavalli ormai è altissimo. I cavalli oggi devono essere completi: rapidi, rispettosi, con grandi mezzi. La mancanza di una sola di queste tre caratteristiche non ti fa essere competitivo oggi in un campionato internazionale. Oggi poi è tutto super controllato, a differenza di un tempo: i cavalli sono come si vedono, si fa la termocamera a tutti i cavalli, quello che si vede oggi è la realtà. Forse una volta si potevano avere dei dubbi, ma oggi no, quello che si vede è quello che è. I magheggi oggi non li può più fare nessuno. I cavalli oggi sono come si vedono, e hanno una qualità infinita. E il requisito minimo per restare nella competitività è fare zero. Una volta con il nostro punteggio di Rotterdam saremmo stati molto vicini al podio: oggi invece siamo noni. Perché tutti gli altri fanno zero… La quantità di zeri che vengono fuori nelle gare di così alto livello è impressionante: ma perché è migliorata enormemente la qualità dei cavalli. Oggi sarebbe impensabile montare in gara cavalli simili a quelli che montavamo vent’anni fa… Oggi quando si vedono i puledri bisogna cercare il cavallo perfetto, non bisogna più accontentarsi: rapido, con mezzi, rispettoso, deve avere tutto, altrimenti a nove o dieci anni nello sport di primissimo livello non serve più».
E adesso Barcellona. In prospettiva olimpica è la nostra ultima possibilità…
«La gara di Barcellona è troppo importante. Io stesso dico che se fossi certo che qualcuno potrebbe farla meglio di me mi tirerei via subito, perché qualificarsi vuol dire poter concretizzare il sogno di partecipare a un’Olimpiade. Quindi non è importante chi va a Barcellona, l’importante è che tra tutti quanti si metta in campo una squadra che possa essere competitiva al massimo».