Padova, 6 marzo 2018 – La mente umana è capace di produrre ragionamenti molto complessi tutti insieme e a velocità supersonica. Pierre Durand se ne rende conto suo malgrado nel momento in cui comincia a staccarsi dalla sella iniziando quella caduta che con tutte le sue forze tenta di evitare ma che sente impossibile da evitare. Proprio in quel momento, prima ancora di avvertire l’impatto del suo corpo con il terreno, esattamente in quel momento Pierre Durand mette in fila una serie di fulminei ragionamenti disarmanti nella loro atrocità: lui sarebbe infine caduto, la sua caduta si sarebbe concretizzata in uno sgraziato tonfo a terra sotto gli occhi delle migliaia e migliaia di spettatori lì presenti o seduti davanti a una televisione, il suo risultato nella classifica individuale sarebbe stato pesantemente compromesso, ma peggio ancora la Francia avrebbe visto sfumare una quasi certa medaglia. Tutto questo a causa di un rifiuto imprevisto, imprevedibile, impensabile su uno degli ostacoli meno difficili dell’intero percorso: anche questo riesce a pensare Pierre Durand prima di toccare terra. E prima di toccare terra Pierre Durand pensa anche un’altra cosa: quel cavallo non l’avrebbe più voluto nella sua scuderia, basta, quello era un vero e proprio tradimento. Poi, oltre al tradimento, anche la beffa: perché Pierre Durand infine cade con uno spettacolare e pericoloso tuffo di testa senza più ripari e punti di appoggio davanti a sé, ma cadendo si trascina dietro anche la testiera del suo cavallo, il quale, perfido, se ne va libero verso l’uscita, criniera e coda al vento e guardandosi intorno a testa alta con aria di impertinente sfida nella velocità del galoppo, irridente e magnifico, dipingendo un contrasto davvero impietoso agli occhi della folla: il suo cavaliere a terra, nella polvere, goffo e ammaccato, con in mano le redini di una testiera che ormai non ha più il potere di controllare un bel nulla, e invece lui libero in tutta la sua forza esplosiva, con i muscoli guizzanti e ancora pieni di energia sotto il mantello corvino. Quando infine si rialza da terra furioso e sconfitto, Pierre Durand ha ormai deciso: Jappeloup non sarebbe stato più il suo cavallo, doveva essere venduto a qualsiasi costo. Lui non l’avrebbe più voluto vedere in scuderia. Maledizione. Un tradimento inaccettabile. Basta.
Luogo della decisione: Los Angeles. Anno: 1984. Evento: Olimpiadi. Per fortuna però il proposito di Durand non si concretizza. E non concretizzandosi tale proposito prende vita una delle più esaltanti storie di sport dell’ultimo trentennio. Una storia che inizia alla fine degli anni Settanta grazie alla caparbietà di Henri Delage, amico fraterno del padre di Pierre, che insistentemente propone ai Durand questo piccolo morellino che lui si ritrova in scuderia. Delage aveva iniziato ad allevare cavalli partendo proprio con la madre di Jappeloup come prima fattrice: Venerable, una purosangue diciassettenne pagata solo duemila franchi, poco meno di cinquecentomila delle vecchie lire. Venerable mette al mondo Jappeloup il 12 marzo 1975. Il padre è il trottatore Tyrol, dato a Venerable solo perché risultava il meno costoso tra gli stalloni disponibili presso la più vicina stazione di monta. Jappeloup si rivela commercialmente parlando un vero fallimento: nessuno lo vuole. Per ovvi motivi: piccolo (1.58 al garrese), spaventato da qualunque cosa si muova anche impercettibilmente, scoordinato nei movimenti, e per di più frutto di un incrocio davvero improbabile tra questa purosangue un po’ sgangherata totalmente priva di passato e uno stallone scelto solo perché costava poco, per di più trottatore…
Pierre Durand, nato il 16 febbraio 1955, è cavaliere già di qualche esperienza internazionale, anche se non certo dei massimi livelli. Non quelli che raggiungerà poi, per intenderci. Il cavallo più rappresentativo della sua prima parte di carriera è lo stallone sauro purosangue Laudanum, che in seguito sarà destinato a una ottima carriera come padre di campioni. Delage insiste con Pierre per fargli avere Jappeloup, ma Pierre trova mille scuse per evitare l’impegno: quel piccolo cavallo tutto nero che nessuno vuole non lo attira per nulla. Tuttavia, essendo Delage un amico di famiglia, sarebbe stato antipatico opporre un rifiuto netto e categorico: così Pierre rimanda la decisione a dopo il primo anno di gare di Jappeloup, sperando vivamente in cuor suo che nel frattempo il cavallo venga venduto. Ma Jappeloup non trova estimatori e dopo un anno è ancora da Delage. Pierre Durand a questo punto non può più sottrarsi: e il morellino infine arriva nelle sue scuderie. È così che comincia questa straordinaria storia.
Non trascorre molto tempo prima che Pierre Durand si accorga di quanto sbagliata fosse la sua sensazione: nel 1982 in sella a Jappeloup vince il Campionato di Francia… 27 anni lui, solo 7 il suo compagno di gara! Jappeloup passa rapidamente dal ruolo di brutto anatroccolo a quello di speranza del salto ostacoli francese: è piccolo, è vero, ma capace di un’agilità, di uno scatto, di una tecnica fuori dal normale. La sua rapidità nel coordinarsi per superare gli ostacoli sembra quella di un leopardo che si fionda sulla preda. L’esplosività con la quale si scaglia in aria pare quella di una molla senza più compressione.
Si spalancano le porte della squadra nazionale: nel 1983 la Francia affronta il Campionato d’Europa a Hickstead con Michel Robert su Grand Coeur, Philippe Rozier su Jiva, Frederic Cottier su Flambeau C e per l’appunto Pierre Durand su Jappeloup. I transalpini si piazzano al 5° posto, ma Jappeloup e Durand terminano come secondo miglior binomio francese nella graduatoria individuale (12° posto: mentre Cottier vincerà la medaglia di bronzo). Così si arriva al fatidico 1984 nel quale le Olimpiadi di Los Angeles sono l’obiettivo primario. Pierre Durand sente che il suo cavallo è in prepotente ascesa, pensa dunque di avere tutte le carte in regola per fare un’Olimpiade da protagonista. Sappiamo come va a finire: Durand per terra, Durand che si sente tradito, Durand che non ne vuole più sapere di questo piccolo cavallo nero che gli volta le spalle proprio nel momento più importante.
Sì, Pierre Durand non ne vuole più sapere di Jappeloup. Pierre Durand pensa con rammarico e con rabbia che era stata giusta la sua prima sensazione, quella iniziale, quella che gli aveva fatto rifiutare Jappeloup fin dalla prima volta che Henri Delage gliel’aveva proposto. Pierre Durand è un uomo orgoglioso, non può accettare di aver fallito alle Olimpiadi il risultato personale e per di più in quel modo; ma più ancora di essere stato proprio lui la causa della perdita del podio per la Francia… No, non poteva essere. La soluzione è a portata di mano, fortunatamente. Jappeloup viene provato da Joe Fargis, il trionfatore di quella Olimpiade in sella alla purosangue Touch of Class con la medaglia d’oro sia individuale sia a squadre: il campione statunitense aveva un’ottima opinione del cavallo, ma montandolo se ne innamora. L’affare si fa: Fargis acquista Jappeloup per conto di un suo proprietario. La cifra è notevole: un miliardo di lire, moltissimi soldi per allora. Tutti felici: Pierre Durand si libera finalmente di quel cavallo tanto amato e tanto odiato allo stesso tempo; Joe Fargis proprio dopo aver raggiunto il traguardo che tutti gli atleti di tutti gli sport di tutto il mondo sognano si ritrova sotto la sella un nuovo cavallo con il quale potenziare una scuderia già favolosa… Tutti felici davvero? No. Il destino decide diversamente… Le analisi del sangue di Jappeloup azzerano le prospettive: piroplasmosi. Niente da fare: l’affare sfuma. Jappeloup ritorna in Francia nella scuderia di Pierre Durand. Ma Durand non si rassegna: il suo amico e commerciante Nicolas Fourcade lo propone in Italia al presidente della Fise Lino Sordelli in occasione della Fieracavalli di Verona alla fine del 1984. E a prezzo notevolmente ribassato. Quelli erano i tempi della cosiddetta scuderia federale: cavalli di proprietà della federazione che venivano assegnati a determinati cavalieri per l’attività internazionale della squadra azzurra. Sordelli riflette sulla proposta: «Dopo averci pensato per bene, rifiutò l’offerta non tanto per problemi di carattere economico, quanto perché non riteneva che in Italia vi fosse un cavaliere in grado di formare con Jappeloup un binomio all’altezza dei mezzi del cavallo. Questo lui mi disse, poi non so se lo pensasse davvero», racconta lo stesso Fourcade.
Ma tu, chi sei veramente? Ecco la domanda che Pierre Durand rivolge a Jappeloup. E anche a sé stesso. Chi sei tu? Chi sono io? La folla di Los Angeles è ormai lontana. Il fragore della sconfitta non è più così assordante. Il Santa Anita Park giorno dopo giorno sfuma in un ricordo, per quanto pur sempre doloroso. Il sole della California lascia il posto al freddo e all’umidità dell’inverno francese. Acqua, fango, vento, erba… Un’intimità che si ritrova, che si rianima. Pierre Durand nel silenzio della campagna che circonda la sua scuderia capisce che la fiducia è la chiave risolutiva: tu mi hai tradito, io ti ho odiato, ti avrei voluto cacciar via, soldi al tuo posto… ma no, non può essere così, no, io adesso ti dimostro invece che voglio ricostruire tutto, insieme a te, pian piano, una settimana dopo l’altra, voglio esserti amico e così forse anche tu lo sarai per me. Il lavoro e il silenzio e gli sguardi lentamente ricostruiscono quello che sembrava distrutto.
Inizia così il 1985. Finale della Coppa del Mondo a Berlino: dietro al vincitore Conrad Homfeld su Abdullah e al 2° posto di Nick Skelton su St. James, ecco la terza posizione di Pierre Durand e Jappeloup. Durand e il piccolo cavallino nero tornano nella squadra nazionale. Arriva il Campionato d’Europa a Dinard, in casa: Francia al 4° posto e Durand/Jappeloup al 9°. Finale di stagione formidabile: vittoria del Gran Premio di Coppa del Mondo a Londra. Pierre Durand e Jappeloup si sono davvero ritrovati: adesso formano un binomio che riesce a fare ciò che un tempo sarebbe parso impossibile. Jappeloup è piccolo, sì, ma è con Pierre e Pierre è con lui, finalmente tutto il mondo può ammirare ciò per cui Jappeloup è destinato a passare alla storia: un ardore, un coraggio, un’agilità, una tecnica fuori dal comune. Pierre Durand sfodera un’audacia e una temerarietà sorprendenti: adesso con il suo Jappeloup – sì, suo finalmente – sente di poter fare tutto. Di non avere più limiti. Di poter osare là dove altri difficilmente si avventurano. Le catene dei dubbi, del sospetto, delle precauzioni, del timore sono definitivamente spezzate: adesso Pierre e Jappeloup volano in alto. Si fidano l’uno dell’altro.
A partire dal 1986 arrivano i grossi colpi: nel Campionato del Mondo di Aquisgrana Durand e Jappeloup vincono con la Francia la medaglia di bronzo. Ma soprattutto chiudono al primo posto la classifica individuale! Loro lassù, in alto: e tutti gli altri dietro… Quindi finale a quattro con lo scambio dei cavalli: il ‘solito’ straordinario statunitense Conrad Homfeld con lo stallone Abdullah, la debordante potenza elettrica di Nick Skelton e Apollo, la sorpresa della canadese Gail Greenough con Mr. T. E Pierre Durand con Jappeloup: un nanetto nero al cospetto dei rivali ben più prestanti di lui. Sì, ma capace di stare al primo posto dopo tutte le prove che hanno condotto a quella finale. Non finisce bene, però: Greenough vince, Homfeld le rimane alle spalle, Skelton agguanta il bronzo… Jappeloup è ‘solo’ quarto. Dopo essere stato primo… «Sono stato il peggiore dei quattro», ricorda un po’ sconsolato Durand, «e mi sono visto scivolare via dalle mani una possibilissima medaglia… Ad ogni modo quel mondiale è stato per noi importantissimo: perché ha legittimato il nostro ruolo tra i grandi del salto ostacoli di quel periodo».
Ma la gioia è rimandata solo di un anno: a San Gallo nel 1987 Pierre Durand in sella a Jappeloup si laurea campione d’Europa individuale, dopo aver vinto anche l’argento a squadre. Campione d’Europa… medaglia d’oro… vittoria! Pierre Durand sale sul trono continentale lasciando in seconda posizione sotto la sella del britannico John Whitaker quel Milton che di Jappeloup rappresenterà una sorta di uguale e contrario: entrambi campioni, entrambi frutto di genealogie improbabili, però uno nero e l’altro bianco, uno montato da un francese e l’altro da un inglese, uno che solca i mari come un veliero elegante e inaffondabile e l’altro che non lascia scampo alle sue prede con la velocità e la prontezza del felino cacciatore. La loro storia sportiva celebrerà uno straordinario duello agonistico: questi anni sono i loro anni, in questo periodo come loro nessuno.
La scena si sposta in avanti di un anno. In una città lontana di un continente lontano. È il 1988. Siamo a Seul, in Corea. Le Olimpiadi. Quattro stagioni dopo Los Angeles. Pierre Durand con Jappeloup è il quarto a entrare della formazione francese e termina senza errori il secondo percorso della gara a squadre: il percorso e il risultato decisivi per dare alla Francia la medaglia di bronzo. Sarebbe bastata una barriera e tutto sarebbe sfumato ancora una volta… Invece no. Invece questa volta e ancora una volta Pierre e Jappeloup sono decisivi: non più nel male, no, adesso sono loro a dare la felicità, a garantire il podio. «È stato il percorso più difficile di tutta la mia vita», racconterà poi Durand, «mi sentivo schiacciato da una responsabilità enorme, avevo ancora bene chiara nella mente la terribile frustrazione di Los Angeles… Quando ho tagliato il traguardo senza errori mi sono sentito leggero, felice, ma soprattutto libero. Finalmente libero». La libertà, sì: e a questo punto tutto può accadere. E infatti accade. Sull’onda dell’entusiasmo e dell’eccitazione, ma anche perché Pierre e Jappeloup sono in una forma spettacolare, al meglio di loro stessi, coraggiosi e audaci e complici come due amanti immersi nel desiderio e nella passione… il desiderio di arrivare più ‘oltre’ possibile. Il primo percorso della finale individuale Pierre lo affronta con la massima attenzione: gli ostacoli sono enormi, il percorso è difficile, meglio rischiare qualcosa sul tempo massimo ma lasciando tutte le barriere al loro posto. Infatti: solo un quarto di punto per il tempo. Soltanto altri due concorrenti riescono a chiudere senza errori agli ostacoli: il canadese Ian Millar sul gigantesco Big Ben ma con tre quarti sul tempo; e il tedesco Karsten Huck su Nepomuk a zero totale, l’unico di tutta la prima manche.
Al debutto della seconda frazione di gara la tensione è alle stelle. Ordine di ingresso inverso alla classifica del primo giro. Quindi il terzultimo sarà Millar, il penultimo Durand, l’ultimo Huck. Big Ben crolla: 12.15 penalità. Durand si congela nella concentrazione massima: la tattica deve essere la stessa, puntare al percorso netto e al diavolo il cronometro. Anche perché lo statunitense Greg Best su Gem Twist dopo le 4 penalità del primo percorso ha chiuso a zero, unico zero della seconda manche fino a questo momento… Jappeloup deve assolutamente fare un percorso netto agli ostacoli. Certo. Ma adesso Pierre Durand è libero… non deve più nulla a nessuno… tutto solo per sé stesso. Jappeloup è uno spettacolo: il suo mantello corvino brilla con i riflessi della bellezza suprema, da quel suo galoppo in alcuni momenti quasi ‘trottato’ – nel nome del padre – si sprigionano salti di elasticità metallica e vibrante. Pierre lo controlla falcata dopo falcata. È semplicemente uno spettacolo. Nessuna barriera cade. Un punto sul tempo massimo, per un totale di 1.25 dopo i due percorsi. Pierre e Jappeloup sono davanti a tutti. Medaglia d’argento assicurata… Sì, perché sono davanti a tutti tranne uno: Karsten Huck con Nepomuk. Pierre sapeva che chiudendo con sole penalità sul tempo avrebbe messo tutta la pressione del mondo sulle spalle di Huck. Dunque il tedesco entra in campo portandosi sulle spalle tutta la pressione del mondo… Non può fare altro che zero: non può nemmeno permettersi di fare calcoli sul cronometro perché è un attimo prendere penalità lì… no, deve fare zero, in ballo c’è la medaglia d’oro individuale delle Olimpiadi. È l’occasione della vita. La medaglia d’oro: la storia, per sempre… Frédéric Cottier, Patrick Caron, Hubert Bourdy, Michel Robert, tutto il clan francese è inchiodato a bordo campo. Non si respira. Pierre Durand guarda e non guarda: la tensione del momento non gli permette nemmeno di considerare che la peggiore delle ipotesi per lui è la medaglia d’argento… Jappeloup, il mio piccolo fenomenale Jappeloup… Il piccolo fenomenale Jappeloup entra nella storia per sempre perché Huck e Nepomuk non reggono il peso del destino: una barriera vola fuori dai ferri, un volo che proietta Pierre Durand e Jappeloup là dove solo pochissimi eletti nella storia dello sport di tutti gli sport possono dire di essere giunti. Pierre Durand e Jappeloup vincono le Olimpiadi. Campioni olimpici. Medaglia d’oro. Oro. La follia della gioia.
Finalista nel Campionato del Mondo. Campione d’Europa. Campione olimpico. Tre anni da sogno: uno dopo l’altro. Si può chiedere di più e di meglio a un cavallo? No, certamente no. E infatti dopo Seul comincia il declino. Nel Campionato d’Europa di Rotterdam 1989 Jappeloup cede lo scettro al suo rivale Milton, quel Milton che a Seul non aveva potuto gareggiare: Whitaker vince l’oro e Durand è 6° (ma argento a squadre dietro la Gran Bretagna). Il Campionato del Mondo di Stoccolma 1990 è la gara che fa capire chiaramente a Durand che è iniziato il tramonto: Jappeloup fa ancora parte della squadra che vince l’oro ma nella classifica individuale finisce al 18° posto. No, una carriera come la sua non può essere macchiata da un declino fatto di prestazioni deboli e anonime. Durand decide che il 1990 sarà l’ultima stagione ‘vera’ di Jappeloup. Il 1991 vedrà ancora il piccolo morello in campo per una serie di concorsi di addio al pubblico, una tournée celebrativa per un fuoriclasse senza eguali.
Senza eguali anche nel suo congedo, non solo dalle arene di gara ma anche dalla vita: potevamo ricordare Jappeloup come un cavalluccio vecchio e scassato, malandato e intristito? No, certo che no. Jappeloup muore inaspettatamente alla fine di quel 1991, alla fine della sua tournée di addio alle gare, il 5 novembre: un colpo di scena tragico e doloroso, certamente, ma anche perfetto per esaltare nel tempo la grandezza di questo piccolo morellino. Un piccolo fuoriclasse che ha regalato fama e onori al suo cavaliere e al suo Paese, un piccolo fuoriclasse che ha incantato le platee di tutto il mondo, un piccolo fuoriclasse che entra di diritto nella galleria degli eroi del salto ostacoli mondiale.
Pierre Durand ha vissuto con il suo Jappeloup una vera e propria storia d’amore: non lo ha voluto, poi lo ha sopportato, poi l’ha detestato, quindi lo ha capito, infine lo ha amato. Pierre Durand ha scritto libri dedicati a Jappeloup. Ha collaborato alla realizzazione di un film su Jappeloup. Alla realizzazione di monumenti e sculture che ritraggono Jappeloup. In casa di Pierre Durand Jappeloup è raffigurato ovunque: fotografie, ritratti, dipinti, stampe, decorazioni sui paralumi o sui posaceneri… Pierre Durand parla sempre di Jappeloup, il cavallo della sua vita. Ci sono alcune immagini che li ritraggono insieme, in controluce, mentre galoppano sul bagnasciuga e tra le piccole onde del mare a riva: momenti di piacere privato, intenso, lontano dalle folle delle grandi arene internazionali. L’aria, l’acqua, il mare, il sole che cala laggiù: e loro due. Perché alla fine, nonostante medaglie e trionfi e trofei e onori, la cosa più bella che rimane a Pierre Durand è la consapevolezza di aver vissuto davvero insieme a Jappeloup. Insieme a lui.
Ecco: questa è la storia del piccolo grande Jappeloup, campione meraviglioso.