Bologna, martedì 7 aprile 2020 – Ieri è stato il giorno del compleanno di Gianni Govoni e tra i tanti messaggi che il campione azzurro ha ricevuto su tutti i social e strumenti di comunicazione vari (messenger, whatsapp, email… chissà, forse anche qualche telegramma e qualche lettera scritta a mano da ammiratori nostalgici) ce n’è stato uno particolare. Particolare, sì, anche se dal testo di certo non si direbbe: «Auguri Gianni». Auguri Gianni: proprio l’essenziale… Allora perché particolare? Per via del mittente: Jerry Smit. Proprio lui. Jerry Smit non ha bisogno di scrivere o pronunciare molte parole per trasferire a Gianni Govoni il senso del suo augurio: hanno diviso e condiviso talmente tanto sport, gare, squadre, campionati, trasferte, concorsi che tra loro non è quasi più necessario usare le parole per comunicare…
Jerry Smit e Gianni Govoni sono stati – insieme – i rappresentanti di punta del salto ostacoli azzurro tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila. Sempre insieme hanno stabilito un record: due cavalieri azzurri in una finale di Coppa del Mondo. A Las Vegas nel 2000: un evento mai accaduto né prima né dopo. Oddio: a dire il vero quest’anno la cosa si sarebbe ripetuta poiché per la finale di Las Vegas (ancora Las Vegas) in programma originariamente dal 15 al 19 aprile si erano qualificati Emanuele Gaudiano ed Emilio Bicocchi… ma sappiamo come è andata a finire, a causa di questa maledetta sciagura del Covid-19 che ha travolto il mondo… Quindi il record di Smit/Govoni è ancora in… corso di validità! Ma non solo: in quel 2000 entrambi si sono qualificati per le Olimpiadi di Sydney; ancora una volta, mai accaduto di aver avuto due individuali da che esiste la qualifica per i Giochi…
In tutto questo Jerry Smit è protagonista di un’altra specie di… primato, di un qualcosa che quanto meno potremmo definire come un primato: essere stato il primo cavaliere azzurro a trasferirsi all’estero per fare lo sport di alto livello. In effetti anche altri italiani sono stati per periodi più o meno lunghi oltre confine, pensiamo per esempio a Guido Dominici e Diego De Riu negli anni Settanta nella scuderia di Nelson Pessoa in Francia e poi Belgio, ma in una situazione completamente diversa: loro erano lì nel ruolo di… apprendisti (diciamo), senza cavalli personali, per fare gli allievi ma anche i ragazzi di scuderia. Jerry Smit invece quando si è trasferito era già un cavaliere che aveva gareggiato ai massimi livelli mondiali e che aveva montato per conto di proprietari importanti. Le persone che gli hanno consentito di fare poi un salto di qualità davvero consistente, e quindi di valorizzare al meglio e al massimo le sue magnifiche doti di cavaliere, sono state due: Silvana Lucchini e Hans Horn. La prima – importante industriale bresciana – mettendogli a disposizione un parco cavalli di notevolissima qualità oltre che di cospicua quantità; il secondo ospitandolo presso la propria scuderia in Olanda, a Ootmaarsum, proprio là dove si era affermato in precedenza sempre sotto la maestria di Horn un… tale Jos Lansink. In breve tempo Jerry Smit ha scalato tutte le più importanti classifiche internazionali: è stato il primo cavaliere italiano a entrare nella Top 10 della computer list mondiale della Fei, è a tutt’oggi il cavaliere italiano che detiene il record di presenze in finale di Coppa del Mondo (quattro: 1994, 2000, 2001, 2002), ha mantenuto una regolarità e una continuità di piazzamenti e vittorie davvero entusiasmante nel periodo vissuto in sella ai cavalli di Silvana Lucchini (dal 1993 al 2002) ottenendo risultati formidabili, oltre che partecipando alle Olimpiadi di Atlanta 1996 e Sydney 2000 (dunque totale di tre, calcolando la sua prima, quella del 1992 a Barcellona), a tre Campionati del Mondo (1994, 1998, 2002), a quattro Campionati d’Europa dal 1995 al 2001 (e poi nel 2005 il suo quinto, a San Patrignano).
Il cavaliere che lo ha quasi sempre accompagnato in azzurro lungo questa splendida cavalcata internazionale è stato proprio Gianni Govoni. E nel periodo in cui viveva ai vertici assoluti del salto ostacoli internazionale, Jerry Smit così diceva di Gianni Govoni: «Io il miglior cavaliere italiano? No, il migliore è Gianni. Io sono un buon cavaliere che ha bisogno di essere ben programmato per rendere al meglio, Gianni invece ha l’equitazione nel sangue, lui è davvero speciale». Sì, perché Jerry Smit oltre a essere un cavaliere favoloso, è anche una persona che ha nella modestia e in una certa dose di umiltà due qualità principali. Una volta disquisendo di questioni tecniche ha detto, nel corso della conversazione: «Sì, perché quelli bravi fanno così… », come volendo sottolineare di non considerarsi parte di quel gruppo… Jerry Smit è così: allegro, simpatico, guascone. Nei confronti di sé stesso è semplice, disincantato, diretto, mai indulgente e compiaciuto, privo di qualunque forma di autoconsiderazione. A Roma, nel Campionato del Mondo del 1998 in sella a Constantijn, ha fatto una prima serie di eccellenti prestazioni, per poi calare un po’ nel finale: «Maledizione, ho sgonfiato le gomme!», è stato il suo commento. Ma ancor più significativa è la sua analisi riferita al mondiale di quattro anni prima, affrontato in sella a Falco Z: «Nella mia vita a un certo punto c’è stato un cambiamento drastico e radicale, determinato da quanto accaduto al mondiale di L’Aia nel ’94 dove ho avuto un crollo mentale pazzesco, un crollo terribile. A quel Campionato del Mondo sono arrivato dopo aver avuto tutto facile, dopo aver raggiunto subito Olimpiadi, Gran Premi, Coppe delle Nazioni senza quasi rendermene conto, senza capire quanta fatica si deve fare per arrivare a quel livello, e soprattutto per rimanerci: mi sentivo un grande campione, un grande istintivo, ero certo che tutto sarebbe continuato con la stessa facilità; in più in Olanda arrivavo con un cavallo importante, uno sponsor nuovo, su di me la pressione di essere stato il migliore italiano alle Olimpiadi due anni prima, la grande voglia di dimostrare che ero bravo anche senza Governor… Per farla breve: mi sono trovato ad avere tra le mani una cosa più grande di me e non ne ho retto assolutamente il peso. Sono crollato. Ho preso una batosta tremenda. Da grande campione che mi sentivo prima, sono passato a sentirmi un fallito. Ormai ero completamente senza difese. Mi sono trovato in mezzo a un fiume: o nuotavo per andare dall’altra parte oppure annegavo. E qui è subentrata Silvana Lucchini: grazie al suo fondamentale aiuto sono riuscito ad arrivare… a nuoto dall’altra parte e ho cambiato tutto il mio sistema di vita. Lei e poi Hans Horn mi hanno aiutato tantissimo, sono stati fondamentali per quello che io sono oggi».
Jerry Smit è nato a Milano (il 22 settembre 1969) da genitori olandesi, ha attraversato momenti e tappe fondamentali per la sua vita di cavaliere con i cavalli del Lasco della famiglia Tavazzani, poi sotto la guida di Roberto Arioldi, quindi con il primo grande proprietario della sua vita Angelo Pellegrini (marchio Roby Foulards), poi il favoloso periodo con Silvana Lucchini e Hans Horn, quindi i cavalli di San Patrignano tra i quali si è distinto lo stallone Nadir, poi il rapporto professionale e di amicizia con Ludger Beerbaum e insieme a lui la gestione di stalloni in Italia e la promozione del salto ostacoli in Cina… Una vita piena di esperienze, di rapporti, di affermazioni e soddisfazioni come anche qualche inevitabile delusione e sconfitta. Ma Jerry Smit è così: allegro e semplice. E guarda sempre avanti: mai indietro, come se il suo formidabile curriculum sportivo e agonistico fosse qualcosa da nascondere più che da esibire.
Jerry Smit è simpatico da morire… Domanda: ma il Ronaldo, il Maradona dell’equitazione chi è, Sloothaak, Beerbaum, Whitaker, Pessoa, o chi altro? Risposta: «Che domande: Jerry Smit! Bisogna essere ottimisti nella vita, no?!».