Bologna, lunedì 25 settembre 2023 – Omar Bonomelli (48 anni) oggi è un uomo… o meglio, un allevatore felice. La cavalla che a Lanaken ieri ha vinto il Campionato del Mondo di salto ostacoli riservato ai cavalli di 7 anni è infatti un prodotto del suo allevamento della Caccia.
Montata dall’irlandese Harry Allen, Kumina della Caccia ha vinto il titolo mondiale tra i cavalli nati nel 2016 divenendo così il primo soggetto nato e allevato in Italia capace di conquistare una medaglia d’oro nella storia della manifestazione inaugurata nel 1995 per volere di Leon Melchior, ideatore e fondatore dell’allevamento di Zangersheide, quello dei cavalli contraddistinti dalla Z da tempo divenuto anche studbook.
Prima di tutto la scheda genealogica di Kumina. Il padre è il baio Kannan (Kwpn, 1992-2020), grande campione in campo ostacoli con i belgi François Mathy e Guido Bruyninx, poi con il francese Michel Hecart (gli infortuni ne hanno limitato una carriera che altrimenti lo avrebbe di certo incoronato come uno dei più grandi cavalli di sempre), quindi stallone di valore formidabile. Nella linea genealogica di Kannan ci sono tre stalloni fondamentali per l’intera storia mondiale del cavallo sportivo: il padre Voltaire, il nonno paterno Furioso II e il nonno materno Nimmerdor.
La mamma di Kumina è l’italiana Tuladai della Caccia, nata nel 2010: il padre è Toulon, Bwp nato nel 1996 da Heartbreaker (altro grande, e a sua volta figlio di Nimmerdor) e da una figlia di Jokinal de Bornival (il quale nasce da una vera e propria leggenda come il francese Almé), stallone che ha avuto eccellenti risultati con Joris Vergauwen, Wilm Vermeir, Hubert Bourdy e Jonella Ligresti, prima di divenire a sua volta padre di un’infinità di vincitori internazionali. La mamma di Tuladai è Valentina van Schutterschof, Sbs nata nel 2005, sorella piena di uno stallone importantissimo come Kashmir van Schuttershof e dunque figlia di Nabab de Reve (Bwp, figlio di Quidam de Revel x Artichaut, favoloso in gara con Philippe le Jeune) e di Fines van Kameren (Sbs da Tenor Manciais x Furioso II).
Come è iniziata alla Caccia la storia di Kumina?
«Con l’acquisto della sua nonna materna, Valentina van het Schutterschof. Mio papà ha pensato di affinare la struttura dei figli di Valentina utilizzando su di lei Toulon, e in effetti Tuladai è un po’ leggerina. Così mio padre le ha dato Kannan, stallone che ha sempre prodotto figli forti e ben strutturati: proprio come è il caso di Kumina».
Però Kumina non è rimasta molto a lungo alla Caccia…
«Sì, infatti. A due anni e mezzo è stata acquistata dagli Allen i quali l’hanno lasciata da noi insieme a un gruppo di altri loro cavalli. Poi alla fine dei suoi tre anni la cavalla è stata trasferita nella scuderia degli Allen per la doma e per il lavoro vero e proprio».
Un rapporto importante quindi quello tra voi e la famiglia Allen.
«Sì, abbiamo collaborato per circa tre o quattro anni fino a pochi mesi fa, quando loro hanno spostato tutte le loro cavalle in Irlanda, circa una cinquantina di soggetti. È un tipo di collaborazione che oggi abbiamo anche con Pieter Devos (cavaliere della prima squadra belga di salto ostacoli, n.d.r.): il fatto è che noi abbiamo una localizzazione molto comoda per raggiungere Avantea (laboratorio di tecnologie avanzate per la riproduzione animale e la ricerca biotecnologica, n.d.r.), quindi è semplice spostare le cavalle dai nostri prati a quel laboratorio per tutte le attività relative alla riproduzione».
Oggi quanti soggetti sono presenti nel vostro allevamento?
«Abbiamo circa 18 puledri dei quali 14 sono femmine, conservando le linee di sangue che riteniamo utili per portare avanti la vita dell’allevamento. Ci sono due mezze sorelle e due mezzi fratelli di Tuliman della Caccia, cavallo al quale poi è stato cambiato nome in PSG Final (ottima carriera sportiva con Max Kuehner e Cian O’Connor tra il 2018 e il 2019, n.d.r.)».
Lei è andato a Lanaken proprio per seguire Kumina?
«No: sono andato nel ruolo di delegato tecnico per i cavalli italiani in seno al Masaf e per i cavalli giovani in seno alla Fise insieme a Stefano Nogara e a Mario Rota. Sapevo ovviamente che Kumina sarebbe stata impegnata in gara, l’ho vista nelle due prove di qualificazione alla finale, ha saltato molto bene e in finale ci è andata con grande serenità e facilità. Io però purtroppo avevo il volo per rientrare in Italia… ».
Si può immaginare la sua gioia… !
«Sì, certo. È stata una cosa molto bella perché Kumina non è solo una cavalla nata in Italia: è anche figlia di una mamma nata in Italia. Poi è vero che la linea di sangue non è italiana, ma oggi non c’è più niente di italiano… ».
Beh, se è per questo i primi tre cavalli nella classifica dei 5 anni sono irlandesi, ma di irlandese nel loro pedigree non c’è nulla di nulla…
«Sì, esatto, proprio nulla… Ma è normale: è così ovunque, oggi esiste il cavallo sportivo in senso trasversale».
Secondo la sua esperienza di cavaliere, di allevatore e di imprenditore il risultato ottenuto da Kumina può avere un significato di valore diciamo… oggettivo per il mondo dell’allevamento italiano, al di là della sua personale soddisfazione?
«Io spero che possa avere quel valore e quel significato che negli anni non sono stati attribuiti e riconosciuti a importanti cavalli nati in Italia… penso allo stesso Final oppure a Lazzaro delle Schiave o ancora tanti altri… La speranza è che questo successo possa portare verso i nostri prodotti un po’ più di interesse e di attenzione».
Se però Kumina in finale avesse fatto un errore in percorso base, o se in barrage avesse impiegato sette decimi di secondo in più… non avrebbe vinto: ma la mancata vittoria non avrebbe tolto nulla al valore reale della cavalla…
«Eh sì, ma si parla sempre dei vincitori… ».
Certo, la vittoria è importante perché richiama una maggiore attenzione a tutti i livelli, ma le qualità della cavalla non sarebbero state diverse: può essere che proprio questo in passato sia stato l’errore di valutazione e considerazione circa altri nostri cavalli? Cosa si dovrebbe fare per evitare una sottovalutazione di questo genere?
«Cambiare la mentalità delle persone… ».
Non è cosa semplice, in effetti.
«No, ma poi c’è dell’altro. Altre difficoltà e altri ostacoli. Per esempio il fatto che in Italia il costo per equide è troppo alto. Ed è una circostanza non necessariamente dovuta alla politica, o quanto meno non solo: l’Italia è lunga, e questo è un dato di fatto geograficamente problematico. Poi da noi il terreno ha un valore molto più alto rispetto a quanto accade in Francia o in Belgio: in Italia per esempio su alcuni tipi di terreno si fa il vino, ti danno 200 mila euro per ettaro e di certo non ci metti un cavallo… Anche questo è un fatto che fa la differenza».
Pensa che la gestione dello sport intesa come organizzazione dell’attività agonistica dei cavalli giovani in Italia sia pari a quella che esiste negli altri Paesi europei?
«Mah, non lo so… Secondo me noi abbiamo un bel gruppo di cavalieri e un bel gruppo di cavalli, ma a volte guardiamo troppo a noi stessi. Per arrivare là, in alto, bisogna alzare un po’ l’asticella. Confrontarsi. Noi abbiamo tutto, sia i cavalli sia i cavalieri: a Lanaken, per esempio, non abbiamo affatto sfigurato, questo va detto chiaramente. Cavalli buoni ne abbiamo. Prima si diceva del ruolo della politica… Ecco, noi ne paghiamo lo scotto. All’estero ci sono notevoli agevolazioni sotto il profilo della gestione economica: si guardi il caso della Francia che ha il 5.5% di Iva sul prezzo di vendita delle fattrici, e zero Iva sul seme degli stalloni; noi abbiamo rispettivamente il 22 e il 10… Soldi che pesano».
A parte questa serie di considerazioni, lei oggi è felice, no?
«Sì, molto. Anche perché questo risultato rappresenta l’obiettivo dell’allevamento. Credere nel miglioramento. Poi io avevo un rapporto non semplice con mio padre, ma bisogna assolutamente rendergli il merito di essere stato un precursore illuminato nell’aver capito già trent’anni fa che le fattrici dovevano essere giovani, che dovevano avere struttura fisica e sangue, che le cavalle vecchie in razza non si mettono. In Italia invece in allevamento si mettevano le femmine che avevano dimostrato di non saltare, oppure quelle che si erano infortunate in gara, oppure quelle anziane a fine carriera. Mio papà ha stravolto questo sistema, e bisogna dargliene atto. Il successo di oggi è il completamento di un’operazione partita anni e anni fa».