Bologna, 3 maggio 2018 – Il ritorno dell’erba sul terreno di gara a Piazza di Siena è senza alcun dubbio – e in assoluto – l’argomento più discusso, dibattuto e sviscerato durante questo cammino di avvicinamento alla ottantaseiesima edizione dello Csio d’Italia. Ma in realtà non dovrebbe essere così: non ci dovrebbero essere né discussioni, né dibattiti, né… svisceramenti. Né – soprattutto – polemiche, su questo argomento. Per una ragione molto semplice: si tratta del ritorno alla normalità. Niente di meno, niente di più.
Facciamo un piccolo riassunto dell’accaduto. Domenica 29 maggio 2005. A Piazza di Siena – in erba, come sempre – si disputa il Gran Premio Roma Trofeo Loro Piana. Poco dopo l’inizio della prova si scatena un inferno di pioggia. La gara viene interrotta: l’acqua cade dal cielo a mitragliate, impossibile continuare. La tensione tra gli addetti ai lavori e tra i concorrenti è fortissima: quella è una delle più importanti gare del mondo! In giuria si discute febbrilmente sul da farsi. Infine si giunge a una conclusione, in accordo con i dirigenti della Fise e con quelli del comitato organizzatore: quando le condizioni atmosferiche lo consentiranno si potrebbe riprendere con la formula di gara mutata da categoria a due manches e barrage in categoria mista (a barrage, dunque, ma con il tempo del percorso base per i non ammessi al barrage). La presidente di giuria Simonetta Cipriano – donna di grandissima esperienza, di grandissimo ‘polso’ e di altrettanto grande buonsenso – sa perfettamente che cambiare la formula di gara a gara in corso è una specie di crimine sportivo, ma sa anche che per portare a termine la prova in questa circostanza non si può fare altrimenti. Tuttavia non impone tale decisione: semplicemente la propone. Per questa ragione vengono chiamati in giuria tutti i capi équipe delle nazioni partecipanti al concorso, uno per uno: e a ciascuno viene chiesto di esprimere un parere. Tutti (nessuno escluso) si dichiarano favorevoli al cambio di formula, anche il capo équipe britannico: quindi a farne… le spese sarà la povera Ellen Whitaker che in sella allo stallone Locarno sotto l’inizio del diluvio era comunque riuscita a portare a termine il percorso senza errori agli ostacoli ma con un punto di penalità sul tempo massimo, quel punto che le avrebbe molto probabilmente permesso di accedere alla seconda manche stante la formula delle due manches a barrage, ma che invece con la formula a barrage certamente la esclude dalla finale dato che un percorso netto c’era già stato (quello dell’irlandese Shane Carey su Killossery). Non appena la pioggia allenta la sua morsa si riprende: tredici concorrenti però si ritirano. Solo un cavaliere riesce a terminare a zero penalità: il tedesco Christian Ahlmann su Coester, il quale poi in barrage avrà la meglio sul rivale irlandese, vincendo così il Gran Premio Roma Trofeo Loro Piana. Ma il terreno, in tutto questo? Beh, una palude, ovvio: non sarebbe potuto essere nulla di diverso…
Dopo qualche tempo dalla fine del concorso arriva però l’aut-aut della Fei: se sul fondo di Piazza di Siena 2006 non si metterà la sabbia, il concorso non sarà più tappa della Super League di Coppa delle Nazioni. Che fare? Sabbia su Piazza di Siena, per forza, inevitabilmente: in quegli anni uscire dalla Super League Samsung sarebbe stato un guaio enorme (a differenza di quanto sia oggi uscire dalla Prima Divisione Longines: allora Samsung era uno sponsor che si adeguava alle volontà di un’istituzione pubblica, adesso la Fei è una istituzione ‘privata’ che si adegua alle volontà di uno sponsor… ). Inizia così il periodo della sabbia. E’ il primo cambiamento all’interno di quella serie di modifiche di arredi e di allestimenti che anno dopo anno, lentamente, faranno perdere a Piazza di Siena la sua splendida tipicità e la sua affascinante peculiarità, rendendola simile al campo di gara di qualsiasi altro concorso (quasi… ): con il campo in sabbia, con le tende bianche tutto intorno all’anello, con i pannelli pubblicitari luminosi che cancellano la tradizionale staccionatina perimetrale, con l’avanzare di pedane e tende e tribune che invadono il corridoio esterno cancellandolo e dando la sensazione di soffocare e rimpicciolire un campo che dell’ampiezza e della vastità visiva aveva sempre fatto una delle proprie caratteristiche principali. Piazza di Siena va in questa direzione: ma non piace a nessuno. Tutti rimpiangono l’erba, tutti ricordano addolorati i bei tempi del tappeto verde. Tutti: indistintamente e trasversalmente. La desertificazione del campo ostacoli può essere parzialmente ammorbidita con arredi floreali e decorativi massicci: ma a prezzo di spese enormi. Un anno – durante la presidenza Fise di Andrea Paulgross – si arriva a toccare il fondo, da questo punto di vista: quattro piante spelacchiate vengono appoggiate davanti ai pilieri degli ostacoli, rimanendo per tutta la durata del concorso dentro i loro contenitori di plastica nera da capannone di vivaio… uno spettacolo di povertà davvero imbarazzante, anche se ovviamente non sono le piante né tantomeno i vasi di plastica nera da vivaio a fare la qualità tecnica dell’evento.
Gli anni di Piazza di Siena in sabbia sono gli anni in cui nel mondo sembra impossibile organizzare un concorso internazionale che non abbia il terreno per l’appunto in sabbia. Tutti corrono verso la sabbia: sabbia silicea, sabbia francese, sabbia rosa, sabbia bianca, sabbia di tessuto non tessuto, sabbia con truciolo, sabbia con carta, sabbia con trinciati di gomma… E’ vero, però: se piove – anche molto – rischi non ce ne sono, le gare possono continuare, i cavalli non scivolano, il terreno di gara rimane indifferenziato rispetto all’ordine di ingresso di qualsiasi concorrente. Se non piove invece bisogna bagnare a tutto spiano: milioni di litri di acqua che infanga, quindi ostacoli da lavare, stivali da lucidare, cavalli che spruzzano poltiglia sabbiosa a ogni falcata di galoppo. Dettagli ininfluenti (a parte i milioni di litri… ), che però contribuiscono a creare uno scenario, a dare una sensazione. Si dice: i cavalieri sono contenti così, dove non c’è la sabbia non vanno volentieri…
Però… Però Aquisgrana si fa in erba. Dublino si fa in erba. Calgary si fa in erba. Hickstead si fa in erba. La Baule si fa in erba. Gijon si fa in erba. Wiesbaden, Chantilly, Città del Messico, Madrid, Amburgo, Dinard… si fanno in erba. E i cavalieri ci vanno. Si dirà: campi stabili. Dedicati solo a quel concorso. Beh, perché: a Piazza di Siena quanti concorsi si fanno ogni anno… ? E quindi perché anche Piazza di Siena non potrebbe essere stabilmente in erba? Questo pensiero comincia a rivivere pian piano nelle menti e nei cuori di tutti noi, donne e uomini di cavalli, a prescindere dai ruoli, indistintamente: l’idea dell’erba a Piazza di Siena corrisponde al desiderio di riconquistare la nobiltà del nostro concorso, affrancandolo dall’involgarimento commerciale e interessato dei limiti contingenti. Il mondo si deve adeguare a Piazza di Siena, non Piazza di Siena al mondo: detta in modo un po’ sfacciato, la questione è questa. Dovrebbe essere questa, cioè… Ma ne siamo capaci? E poi: ci ricordiamo bene cosa voleva dire Piazza di Siena in erba una volta? Voleva dire il campo verde per il primo giorno: poi il tutto si trasformava in una superficie verde e marrone, con chiazze di marrone talvolta perfino prevalenti su quelle di verde. Ma una volta il campo non veniva assolutamente trattato, seguito e ‘coccolato’ durante l’anno… Zero totale.
Adesso – a partire da quest’anno – l’erba è finalmente tornata, al termine di un grande lavoro di rifacimento del terreno sottostante e grazie all’opera di agronomi e tecnici di provate capacità professionali: quelli ai quali si affida il Coni per i propri impianti sportivi. Il ritorno dell’erba si inserisce all’interno di un progetto di ampio respiro prodotto da tre forze congiunte: Coni, comune di Roma, Fise. Un progetto che non riguarda solo il fondo del campo di gara, ma tutta la gestione dell’area di Piazza di Siena. Ieri a Roma – e proprio sul terreno di Piazza di Siena – c’è stata la conferenza stampa di presentazione dell’evento. Un momento importante, perché è stato il primo passo ufficiale di quello che potremmo definire il nuovo corso della vita dello Csio di Roma. Il Coni nella persona del presidente Giovanni Malagò, il comune di Roma nella persona dell’assessore allo sport Daniele Frongia (assessore anche alle politiche giovanili e grandi eventi di Roma Capitale) e la Fise nella persona del presidente Marco Di Paola hanno detto e spiegato tutto: ma non è questa la sede per ripetere e riprendere le loro dichiarazioni (in questa pagina trovate i collegamenti correlati). Quello che invece è importante fare qui è ricordare un concetto fondamentale: Piazza di Siena è lo Csio d’Italia, Italia, quindi noi, noi tutti. Piazza di Siena è un valore trasversale: sanguina il cuore nel leggere parole e dichiarazioni di associazioni che a vario titolo si ergono a supposti difensori degli ‘interessi’ del parco di Villa Borghese, un parco che con Piazza di Siena e con il Galoppatoio ha scritto la storia dello sport equestre azzurro, rappresentando nel corso dei decenni il luogo di identificazione dell’equitazione italiana agli occhi del mondo. Piazza di Siena siamo noi. Non tu, non io, non lui, non lei, no: noi. Tutti noi. Non capire questo, non ‘sentire’ questo vuol dire ignorare nostra madre e nostro padre, la nostra casa, la nostra aria, il nostro cibo, la nostra acqua. Da Tommaso Lequio ad Alessandro Bettoni, da Ranieri di Campello a Gerardo Conforti, da Piero d’Inzeo a Graziano Mancinelli, da Raimondo d’Inzeo a Vittorio Orlandi, da Giorgio Nuti a Filippo Moyersoen, da Lorenzo de Luca ad Alberto Zorzi, la vita del nostro sport è cresciuta lì dentro, dentro Piazza di Siena, davanti a quei pini e a quei cipressi. Una vita meravigliosa ed entusiasmante, una vita a volte dolorosa, a volte gioiosa, a volte perfino drammatica, a volte esaltante: ma comunque vita. La nostra vita. Amare il nostro sport significa amare Piazza di Siena, nel bene e nel male, sempre: questo è un fatto. Incontestabile e indiscutibile. Piazza di Siena in verde è lo spettacolo più bello del mondo. Non è solo una faccenda di erba: è una questione di speranze e desideri. Cioè il motore della vita.