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Home | Sport | Salto ostacoli | L’Italia dopo Rotterdam: velocità e precisione, perché non ci riusciamo?

L’Italia dopo Rotterdam: velocità e precisione, perché non ci riusciamo?

I nostri cavalli e cavalieri sono bravi e forti, questo lo sappiamo ed è inutile ribadirlo: più utile invece capire quali sono stati realmente gli aspetti tecnici che ci hanno impedito di essere protagonisti nel Campionato d’Europa appena concluso

25 Ottobre 2019
di Umberto Martuscelli

Bologna, lunedì 26 agosto 2019 – Le meravigliose lacrime e gli emozionanti singhiozzi di Martin Fuchs sul podio di Rotterdam durante l’esecuzione dell’inno nazionale della Svizzera ieri al termine della finale del Campionato d’Europa non possono non aver indotto tutti noi a pensare quanto debba essere bello vivere quella situazione. Ma non solo in quanto protagonisti diretti (certo, quello più di tutto… ): anche in veste di persone vicine, di familiari, di tecnici, di compagni di squadra, di tifosi, di semplici appassionati e di connazionali. E non certo per invidia, no: solo per semplice desiderio di ‘sentire’ quelle stesse cose, di essere almeno una volta nella vita travolti da quel tipo di gioia, per potersi finalmente lasciar andare al flusso del torrente liberatorio, senza più inibizioni, paure, frustrazioni… E il Belgio, vincitore dell’oro a squadre? Pensate che meravigliosa gioia essere in cinque (sei con il c.t. ovviamente) nel condividere lo stordimento inebriante del risultato conquistato tutti insieme. Insieme: una delle parole più belle in assoluto, ma ancora più bella quando riferita allo sport. Quindi la domanda successiva è ovvia: quando toccherà a noi? O meglio: prima o poi ci riusciremo anche noi?

Noi siamo lontani da quella situazione. Non troppo lontani, intendiamoci: però lontani. Adesso che sono terminate le due competizioni che per noi rappresentavano gli obiettivi principali della stagione – Prima Divisione e Campionato d’Europa – ci sono tutti gli elementi per fare qualche utile riflessione. Una riflessione che parte da un dato di senso generale. Lo svolgimento parallelo delle gare del Global Champions Tour e degli Csio del circuito di Prima Divisione (e aggiungiamoci anche lo scriteriato regolamento di tale circuito, costruito proprio per evitare intralci con il GCT: tra l’altro il GCT aumenta regolarmente il numero di tappe e la Prima Divisione lo diminuisce… ) ha di fatto depotenziato il significato agonistico delle Coppe delle Nazioni. Cosa succede infatti adesso? Succede che nelle varie tappe della Prima Divisione non si confrontino mai più di tre squadre veramente forti per volta proprio perché le varie federazioni non vogliono o non possono schierare sempre i propri migliori binomi poiché impegnati molto più di frequente nel circuito Global (e perché per ciascuna squadra non tutte le tappe contano per i punti da guadagnare: appunto, regolamento scriteriato… ). Non è che per questo le Coppe delle Nazioni siano diventate più facili da un punto di vista tecnico: sempre zero bisogna fare su percorsi difficili, però è ovvio che un conto è combattere al massimo livello tra tre prime squadre e un conto è farlo tra otto prime squadre… cambiano del tutto le componenti agonistiche e anche psicologiche del confronto. Questa è una realtà che riguarda tutti, naturalmente, non solo noi. Il punto è che – ferma restando la diversità assoluta tra una Coppa delle Nazioni e un campionato internazionale, e quindi una loro incomparabilità – un tempo le grandi Coppe delle Nazioni servivano come test molto più significativo e probante in previsione di un campionato internazionale rispetto a quanto invece accade ora. Noi abbiamo fatto una stagione magnifica quest’anno in Prima Divisione: ma questo non è stato sufficiente per essere poi altrettanto protagonisti nel Campionato d’Europa.

Il vero problema del Campionato d’Europa per noi però è stata la prima prova, la gara di velocità in tabella C. A proposito della quale bisogna dare un chiarimento fondamentale. La prima prova del Campionato del Mondo e di quello d’Europa utilizza della tabella C il criterio di attribuzione delle penalità (convertite in secondi da aggiungere al tempo effettivamente impiegato a portare a termine il percorso) in modo da poter poi stilare una classifica provvisoria che scongiuri qualunque possibilità di ex aequo; tanto per rimanere sul concreto, a competizione ultimata il tempo di ciascun concorrente viene moltiplicato per il coefficiente di 0.50, poi al concorrente con il minor numero di punti (quindi al primo in classifica) vengono attribuite zero penalità e tutti gli altri seguiranno in classifica con le penalità prodotte dalla differenza tra i loro punti e quelli del cavaliere che ha vinto la prova. Esempio di quanto accaduto a Rotterdam: Peder Fredricson si è classificato al primo posto con il tempo di 70.25, mentre Max Kuehner si è classificato 2° con il tempo di 71.06. Ebbene, 70.25 (Fredricson) moltiplicato 0.50 dà 35,125, mentre 71.06 (Kuehner) moltiplicato 0.50 dà 35,53. La differenza tra i due risultati è di 0.41. Quindi il punteggio in classifica di Fredricson è di 0.00, mentre quello di Kuehner è di 0.41 (che poi diventa 0.40 per arrotondamento). Ben Maher secondo questo stesso calcolo è risultato 3° con 0.62, Christian Ahlmann 4° con 1.19 e via via tutti gli altri. Poi nelle prove seguenti non si farà altro che aggiungere le penalità in tabella A (quindi 4 per ogni barriera che cade, più quelle per il fuori tempo). Dunque risulta evidente un fatto: al termine della prima prova non è tanto importante la posizione in classifica, quanto piuttosto il numero di punti con il quale la si occupa. Martin Fuchs per esempio si è classificato al 20° posto dopo la prima prova, e si potrebbe pensare a un piazzamento molto penalizzante, ma in realtà il suo punteggio è stato di 3.46, cioè meno di una barriera di distacco dal primo posto: dopo quattro favolosi percorsi netti nelle due successive prove il giovane cavaliere svizzero ha vinto la medaglia d’oro.

Quindi tabella C per avere un utile strumento di calcolo dei punteggi. Ma non per disegnare e costruire il percorso, però! Ecco il fondamentale chiarimento di cui si diceva prima. La natura del percorso, la costruzione degli ostacoli e le dimensioni degli ostacoli sono quelle di una grande gara in tabella A. In sostanza e per semplificare: è come se si facesse una gara di velocità sul percorso di un Gran Premio. E’ fondamentale avere ben chiaro questo presupposto di partenza per analizzare al meglio quanto accaduto a Rotterdam ai binomi della nostra squadra. Non è affatto casuale, per esempio, che nelle successive prove quando veniva richiesta la precisione più che la velocità i nostri quattro non abbiano mai chiuso con più di un errore agli ostacoli, salvo Bruno Chimirri con Tower Mouche nella prima manche della seconda prova: ma uno di questi due errori di Chimirri e uno di quelli di Luca Marziani con Tokyo du Soleil sono stati sulla riviera per davvero poco (ok, anche la riviera va saltata, ma diciamo che è una cosa un po’ diversa… ). Ci sono state penalità sul tempo però, che ovviamente sono pesantissime sulla base di punteggi che vanno al decimo di punto. Quindi: il problema è la velocità. O meglio: l’associazione tra velocità e precisione. Perché? Ma perché i nostri cavalli e cavalieri questa gara a questo livello e con questo tipo di presupposti e aspettative non la affrontano mai.  Dice bene Bruno Chimirri: “Noi non siamo allenati su questo tipo di richiesta con i nostri cavalli. Vuol dire tantissimo aver già sperimentato a questo livello un dietro front, una linea togliendo un tempo di galoppo, una girata a 180 gradi per ritrovarsi una tavolina alta e stretta che solo a guardarla cade, la consapevolezza di cosa succede se dopo aver attaccato un ostacolo si deve rientrare di colpo, oppure al contrario, scendere da una combinazione e dover subito andare senza perdere tempo a riorganizzare tutto… Se tutto questo lo si è già fatto con una certa regolarità si va in campo più decisi, più sicuri, più determinati. Consapevoli di quello che può succedere. Proprio come ormai da tempo a noi accade per esempio in Coppa delle Nazioni: lì ormai siamo perfettamente rodati, sappiamo bene o male tutto già da prima… poi ovvio, l’imprevisto c’è sempre, ma è diverso il nostro approccio perché ormai quelle difficoltà le conosciamo bene, sappiamo come affrontarle dopo averlo fatto al meglio ormai numerose volte”.

Non solo, c’è anche un’altra incognita che crea una specie di… inibizione di partenza, se non c’è molto allenamento a queste situazioni: ok, devo essere veloce, vado quindi veloce, ma a prescindere dal fare un percorso netto o meno… domani come reagirà il mio cavallo in una grande gara di precisione se oggi gli tiro il collo (si fa per dire, sia chiaro… che oggi come oggi anche le metafore sono a rischio di pubblico giudizio… !) andando più veloce che posso? Non me lo metterò completamente fuori fase? Vale la pena di rischiare oppure è più saggio non osare troppo? Domande che nascono dal non essersi praticamente mai trovati in una situazione del genere. Dal non averci mai provato. Insomma: mille sfumature che probabilmente fanno sì che alla fin fine si rimanga in questa sorta di limbo in cui arrivano comunque gli errori senza però essere andati nemmeno troppo veloci.

Come notava lo stesso Bruno Chimirri, i binomi che affrontano regolarmente il Global Champions Tour sembrerebbero preparati meglio per un campionato internazionale rispetto a quelli che il Global non lo possono fare e che invece vengono impegnati più frequentemente nel circuito di Coppa delle Nazioni: perché la situazione – pur non essendo uguale – è più simile. Nei concorsi Global la gara di selezione per il Gran Premio è una grande prova di velocità (pur se non in tabella C), mentre invece la preparazione alla Coppa delle Nazioni in uno Csio viene fatta sulla gara del primo giorno – la piccola o la grossa indifferentemente, a seconda delle peculiarità di ciascun binomio – facendo quattro salti in tutta tranquillità senza minimamente badare al cronometro, talvolta senza nemmeno portarla a termine del tutto; poi si va in Coppa dove si devono fare due giri di precisione badando al cronometro solo per non uscire dal tempo massimo, ma non certo per ‘battere’ qualcuno. I barrage? Certo, in barrage si deve andare veloci e i nostri certamente sono bravissimi a farlo: ma è perfino superfluo dire che un conto è il percorso di un barrage su otto ostacoli costruiti proprio in funzione di quello scopo, e tutt’altra storia è affrontare un tracciato di tredici ostacoli con una gabbia, una doppia gabbia, riviera, linee etc etc… Non c’è confronto.

In conclusione: se la prima prova a Rotterdam non ci avesse penalizzato così tanto l’esito finale del nostro Campionato d’Europa sarebbe stato certamente migliore, più proporzionato al valore dei nostri binomi. Dobbiamo migliorare lì: e per la stessa ragione togliere le penalità sul tempo massimo nelle prove di precisione, che nei percorsi calcolati per il totale della nostra squadra sono state di ben tre punti. Può sembrare un’inezia, tre punti, ma se si considera che Martin Fuchs ha vinto il titolo di campione d’Europa con il punteggio di 4.46 contro quello di 4.62 di Ben Maher ci si rende conto del valore enorme anche di un solo decimo di punto… Perché alla fin fine perfino il mare è fatto di tante piccole gocce… !

Tags: bruno chimirri campionato d'europa 2019 duccio bartalucci giulia martinengo marquet luca marziani massimo grossato riccardo pisani rotterdam2019 salto ostacoli
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