Bologna, 2 ottobre 2018 – Roma, domenica 9 settembre 2018: all’interno della meravigliosa arena abbracciata dalle statue dello Stadio dei Marmi entra in campo un giovane cavaliere italiano completamente sconosciuto alla maggior parte degli spettatori (e anche di molti tra gli addetti ai lavori… ). Un cavaliere che però nei giorni precedenti aveva già dato eloquente prova della sua carica agonistica e delle sue capacità durante le gare dello Csi a due stelle contestuale a quello del Global Champions Tour. Adesso però è il momento clou: il Gran Premio. Siamo in barrage. È l’ultimo concorrente a entrare: a lui spetta la parola decisiva. Si deve confrontare con il risultato della britannica Ellen Whitaker, amazzone di grande curriculum internazionale che al momento guida la classifica provvisoria. Parte: e salto dopo salto, falcata dopo falcata guadagna terreno e centesimi di secondo sulla rivale… Arriva all’ultimo ostacolo in vantaggio ormai accertato… ma non deve cedere… siamo sul filo dei centesimi di secondo… ostacolo saltato… Ellen Whitaker è superata di ben due secondi, ma… maledizione! La barriera cade… Cade. La barriera dell’ultimo ostacolo cade. Niente da fare: Raffaele Valente e Kannella non vincono il Gran Premio, ma che stupenda dimostrazione di agonismo e tensione e forza mentale! Però ci si chiede: questo ragazzo da dove sbuca mai… ? Passano tre settimane e domenica 30 settembre 2018 succede: Raffaele Valente su Kannella vince il Gran Premio dello Csi a due stelle di Bonheiden, in Belgio… Ma questo ragazzo: da dove sbuca mai?
«Da Gaeta! Sono nato a Gaeta il 21 novembre del 1994. Gaeta, basso Lazio, bellissimo! Però ormai vivo in Germania da cinque anni».
Forse è per questo che di lei non si sa molto…
«Penso di sì… Poi io ho iniziato piuttosto tardi a montare a cavallo, verso i tredici anni, anche perché nessuno della mia famiglia ha mai avuto a che fare con i cavalli».
E lei quindi come ha cominciato?
«Così, per curiosità. Nella scuola di equitazione del mio paese. Due volte alla settimana. Poi la passione è aumentata e siccome io sono uno sportivo di mentalità e quindi non mi accontento mai… insomma, io voglio fare lo sport. Quando ho capito che Gaeta non avrebbe potuto aiutarmi ad andare avanti ho deciso di trasferirmi a Roma a casa di una mia zia, sorella di mio padre, avevo diciassette anni, e ho cominciato a montare nella scuderia di Paolo Adorno e di Federico Bellini. Con Paolo come istruttore ho montato un anno e sono migliorato tantissimo, la metà delle cose che so me le ha insegnate lui. Poi ho avuto la possibilità di andare in Germania e così con la voglia di continuare a migliorare mi sono trasferito ad Amburgo nel marzo del 2013».
Ma la possibilità come… perché?
«Perché sono entrato in contatto con un commerciante per questioni di lavoro, Reiner Schultz, e sono andato a fare una prova da lui. In questa scuderia a nord di Amburgo. È andato tutto bene e mi hanno chiesto di rimanere. Ma al tempo io avevo ancora diciassette anni, quindi ho chiesto se si poteva aspettare un attimo, almeno che mi prendessi la patente… perché lì senza macchina in mezzo alle campagne sei morto! Quindi mi sono organizzato, ho preso la patente e a marzo sono partito… e non sono più tornato».
E senza sapere il tedesco?
«Sì, senza sapere il tedesco. Ho imparato il tedesco e perfezionato il mio inglese… ».
Caspita: bravissimo a imparare il tedesco da zero!
«Sì, devo dire che anche io sono rimasto sorpreso, non mi aspettavo di imparare così in fretta. È venuto un po’ tutto da sé: dopo un anno lo capivo, poi ho cominciato anche a parlare pian piano. Ovviamente non è perfetto, ma a livello di scuderia non c’è nessun problema: ormai con le persone con le quali lavoro e anche con i clienti parlo senza difficoltà».
Sarà stata dura all’inizio, avrà un po’ sofferto, o no?
«Devo dire che una grandissima mano me l’hanno data i miei genitori perché partire non è stato affatto facile: però loro mi hanno sempre sostenuto, mi hanno sempre appoggiato in tutte le scelte che ho fatto, mi hanno sempre trasmesso una grande serenità e tranquillità d’animo. Con pugno anche fermo, cercando di spingermi a resistere, per farmi avanzare lungo il cammino che avevo intrapreso, nel mio sogno. E alla fine ne è valsa davvero la pena».
Appena arrivato lì come si è organizzato: stava da solo… oppure con qualcuno?
«Sono arrivato lì nel marzo del 2013: da noi si stava con i pantaloni corti, lì invece c’era la neve fin sulla porta della scuderia… mai vista tanta neve in vita mia! Mi hanno dato una bicicletta e un appartamento, una mansarda a tre chilometri dalla scuderia dove vivere da solo. Mi hanno fatto vedere una volta la strada che dovevo fare, loro davanti in macchina e io dietro in bicicletta, e questo è stato l’inizio. Da solo. La mia prima esperienza in assoluto di vita da solo».
Beh, la sera non sarà stato facile probabilmente.
«La prima sera sono andato a dormire alle cinque e mezza di pomeriggio perché volevo semplicemente far finire la giornata… A volte mi capitava, volevo solo far finire le giornate e andavo a letto prestissimo… perché pensavo che al risveglio sarei andato finalmente in scuderia… Cercavo di stare il più a lungo possibile in scuderia, altrimenti solitudine e niente da fare».
Poi la situazione è migliorata?
«Sì certo, pian piano ho conosciuto altri ragazzi della mia età in giro per i concorsi e così un po’ alla volta sono riuscito a crearmi una vita sociale, diciamo da ragazzo normale. Ma all’inizio è stata davvero difficile, molto difficile… ».
Quindi è uscito in concorso abbastanza presto?
«Sono arrivato in marzo e i primi concorsi li ho fatti in maggio. Il periodo da marzo a maggio mi è servito per conoscere i cavalli e le persone con le quali lavoravo: è stato molto importante».
Ma la sua vita lì come si svolgeva? Quali erano i suoi compiti?
«Facevo tutto: i box la mattina, mettevo i cavalli fuori, li riportavo dentro, mettevo il fieno, davo il mangime e poi naturalmente montavo. Era una scuderia tutto sommato semplice come organizzazione e per me è stato molto importante poter fare la prima esperienza in un posto così: ho imparato molto nella gestione dei cavalli e del lavoro. Avevamo prevalentemente cavalli giovani, dai quattro ai sette anni, e tutti da commercio. Venivano clienti tutte le settimane quindi dovevamo presentare i cavalli anche due o tre volte al giorno».
Si è fermato molto a lungo in questa scuderia?
«Un anno. Reiner Schultz e sua moglie sono stati meravigliosi con me: mi hanno sempre aspettato, mi hanno dato il tempo per imparare… Io lavoravo, certo, ma ero pur sempre un ragazzetto alle prime armi lontano da casa, e loro hanno avuto una comprensione totale. Capivano la situazione, insomma».
E poi?
«Poi abbiamo cercato un posto che potesse darmi maggiori opportunità di crescita, anche perché stavo andando abbastanza bene a livello di concorsi nazionali».
Scusi, abbiamo… chi?
«Io, Reiner e sua moglie: la famiglia per la quale lavoravo».
Cioè gli Schultz l’hanno aiutata… ad andarsene?
«Sì, loro mi hanno aiutato a cambiare».
Beh, ma è bellissimo…
«Non si può avere un’idea: persone di un’umanità… che non so descrivere. Mi hanno fatto stare tranquillo, mai messo pressione, mi hanno fatto vivere… Insomma, io credo che se loro si fossero comportati con me in un qualunque modo diverso da così io adesso non sarei dove sono».
E dunque cosa è successo?
«All’inizio del 2014 sono andato in una scuderia di un cavaliere professionista, Jorg Kreutzmann, però lì era tutto diverso. Intanto ho dovuto condividere la casa con altre cinque persone, tutti i groom che c’erano lì in scuderia, una scuderia molto più avanzata rispetto a quella da dove provenivo. C’era il cavaliere principale che era Jorg che faceva concorsi importanti e in quel momento stava avendo molto successo quindi io montavo i secondi cavalli, sempre cavalli da commercio, cavalli giovani e anche un po’ più adulti e sempre andando in concorso».
Più difficile la vita rispetto a prima?
«Beh, diciamo che lì la parte umana si è un po’ persa per strada. È stata un po’ più dura, sì: la mattina andavo in scuderia, facevo i box, davo da mangiare, montavo undici cavalli al giorno da solo, senza groom… è stata veramente dura… iniziavo la mattina e non sapevo mai quando finivo. Però ci sono rimasto solo otto mesi».
Come mai? Cosa è accaduto quindi?
«Due cose contemporaneamente. La prima è che mio papà con mille sacrifici è riuscito a comperare un cavallo per me, un cavallo italiano, comperato a Roma. La seconda è che ho conosciuto un cavaliere molto importante in Holstein, Christian Hess, e sono riuscito a entrare nella sua scuderia come cavaliere aiutante potendomi portare anche il cavallo che aveva comperato mio padre».
Christian Hess che nel 2016 avrebbe vinto la medaglia d’argento nel Campionato di Germania…
«Sì, proprio lui. Un vero grande professionista. Con lui la mia equitazione è davvero cambiata. Tutto quello che avevo imparato prima mi ha aiutato tantissimo ovviamente, ma con Christian è cambiato tutto. Mi ha sconvolto. Ho imparato il vero lavoro in piano, anche perché lui è figlio di uno dei più importanti giudici di dressage di Germania quindi con una base davvero solida a livello dell’educazione del cavallo da giovane a più adulto, quello che in Italia un po’ manca, questa dedizione al lavoro in piano, i tempi giusti per il lavoro dei cavalli, ciascun cavallo… Lì ho imparato un grande metodo sia a livello di equitazione, sia a livello di organizzazione della vita in scuderia, della mia vita personale, del mio lavoro».
E il suo cavallo?
«È stato importante, molto. Prima di tutto perché con lui abbiamo fatto un buon lavoro e io mi sono anche molto divertito. Poi perché con lui ho fatto il mio primo internazionale di Coppa del Mondo, a Poznan, in Polonia: è andato molto bene infatti subito dopo l’abbiamo venduto e quei soldi ci hanno aiutato, molto. Per mio papà era stato un grande sacrificio quell’acquisto e vendendo quel cavallo ci siamo un po’ sistemati, diciamo. Dopo io non ho più avuto cavalli di mia proprietà».
Però adesso lei non è più da Hess.
«No, infatti. Da luglio del 2017 sono nella scuderia della famiglia Houston, a Dusseldorf».
La famiglia di Philip Houston, dunque: il giovane cavaliere tedesco emergente…
«Sì, esatto. Lui è del 1998. Ci siamo conosciuti in concorso, siamo entrati in buoni rapporti e un giorno chiacchierando gli ho detto che prima o poi mi sarebbe piaciuto fare una nuova esperienza, avere nuovi stimoli… e lui mi ha detto perché non vieni a lavorare da noi? Io l’ho preso molto sul serio, ho fatto una prova a casa loro, la loro offerta è stata molto allettante, e quindi… ».
Una buona situazione di lavoro e di organizzazione?
«Direi ottima! Con gli Houston ho tutte le possibilità immaginabili, ho tutto quello che un ragazzo può sognare: ho il mio camion, il mio groom, il mio allenatore, i miei concorsi, veterinario, maniscalco… tutto, tutto, tutto calcolato al millimetro, tutto pianificato dall’anno precedente, tutto concentrato, tutto si muove secondo un piano… veramente una scuderia di professionisti».
Come si è inserito lei in tutto questo?
«Quelli della scuderia Houston sono cavalli da sport e non da commercio. Il mio lavoro è quello di aiutare Philip nella preparazione dei suoi secondi cavalli… Cioè, secondi per modo di dire perché sono tutti cavalli di grande qualità ma quando io sono arrivato Philip montava solamente i quattro con i quali faceva i concorsi di alto livello e non aveva mai tempo per dedicarsi agli altri. E in tutto i cavalli in scuderia sono sedici… Quindi il mio lavoro è di preparare i cavalli per Philip, per il suo sport. In tutto questo siamo molto fortunati ad avere Karsten Huck (medaglia di bronzo individuale alle Olimpiadi di Seul 1988, n.d.r.) come trainer, un uomo importantissimo per la mia crescita di cavaliere».
Tutto questo la gratifica in modo esauriente oppure avrebbe voglia di arrivare più in alto, diciamo…
«Rimango con i piedi per terra, assolutamente. Questo è il primo anno in cui sono riuscito a fare qualcosina in più e non voglio alzare la cresta più di tanto. Continuo a fare quello che ho sempre fatto durante tutto l’anno perché vedo che le cose stanno funzionando… vedremo adesso nel 2019. Diciamo che quando si ha la possibilità di montare dei buoni cavalli e di essere seguiti da buoni istruttori tutto diventa più facile. Poi bisogna riuscire a mettere in atto gli insegnamenti, ovvio, ma le opportunità sulla carta adesso ci sono… ».
Ma il sogno a questo punto della sua vita quale sarebbe?
«Per adesso, da ragazzo giovane, il mio sogno è comunque fare lo sport. Ma so che sopravvivere facendo lo sport in questo mondo è davvero difficile, quindi immagino che io in futuro debba prevedere di fare attività di commercio, il che mi piacerebbe molto. Mi piacerebbe avere un piccolo parco cavalli di mia proprietà e fare sport e commercio al tempo stesso. Però al momento cerco di rimanere concentrato su quello che sto facendo, e soprattutto cerco di farlo al mio meglio. E poi si vedrà».
Comunque lei ormai vive bene in Germania.
«Ah sì, certo. Ho la mia ragazza, sono fidanzato, sono tranquillo. La nostalgia di Gaeta ogni tanto la sento però quando posso, per Natale diciamo, torno a casa per stare un po’ con i miei. Papà è molto presente nella mia vita, quando gli è possibile viene ai concorsi con me: il fatto è che noi abbiamo un bar quindi lui è sempre molto impegnato».
I suoi genitori saranno felici e orgogliosi di lei…
«Beh, il mio sogno è diventato anche il sogno di papà, di mamma, di tutti… La vivono al cento per cento con me. Siamo tutti sulla stessa linea. Tutti sullo stesso obiettivo. È di grande aiuto per me».
Certo che la sua è una storia bellissima!
«Non mi conoscono in tanti, ma quando qualcuno mi chiede di raccontare la mia storia lo faccio sempre molto volentieri: credo che colpisca abbastanza… Diciamo che questo è un po’ il riassunto, poi, perché in realtà ne ho fatte di cose… Però non abbiamo mai mollato, e adesso finalmente stiamo cominciando a raccogliere i frutti!».