Bologna, giovedì 13 agosto 2020 – Poco meno di un anno fa terminava la storia sportiva più importante della sua vita. Una storia che si riassume in un nome: Tokyo du Soleil. Coppe delle Nazioni, Gran Premi, campionati internazionali, il titolo di campione d’Italia, vittorie e gioie (molte) ma anche sconfitte e delusioni (poche), adrenalina a fiumi, percorsi netti a ripetizione, condivisione con la squadra e con una nazione intera, l’ammirazione del pubblico internazionale e il tifo viscerale di quello italiano… Tokyo du Soleil: poco più di un puledro che Luca Marziani ha cresciuto e formato passo dopo passo e percorso dopo percorso fino a farlo divenire non solo la colonna portante della squadra nazionale azzurra ma in assoluto uno dei migliori cavalli del mondo intero. Un fenomeno.
Ma oltre alla bellezza della storia agonistica, c’è stata anche quella della relazione privata, personale, emotiva. Io con Tokyo parlo, raccontava Luca Marziani, entro nel suo box e gli dico oh, Tokyo, guarda che oggi dobbiamo fare così e così… Io Tokyo lo ascolto, raccontava Luca Marziani: capisco quello che succede perché lui me lo dice. Tokyo sa bene quello che dobbiamo fare, raccontava Luca Marziani: quando arriva il momento lui lo capisce perfettamente.
Poco meno di un anno fa questa storia è finita perché è impossibile trattenere uno dei migliori cavalli del mondo al cospetto di offerte che viaggiano nell’ordine di numerosi zeri… Ed è stato impossibile a maggior ragione nel momento in cui per la squadra azzurra è purtroppo sfumato il sogno della partecipazione alle Olimpiadi, Giochi che si disputeranno nella città che con il fenomenale stallone baio francese condivide il nome, cosa che ci aveva fatto pregustare l’esito di quella che non poteva non sembrare una predestinazione… Il consorzio proprietario del ‘nostro’ formidabile campione ha quindi deciso di cederlo: e che l’acquirente sia stato un (giovane) cavaliere giapponese è un’altra di quelle faccende che sembrano scritte a tavolino da uno sceneggiatore di commedie romantiche…
Ma di romantico per Luca Marziani c’è stato ben poco: nessun cavaliere al mondo del resto potrebbe perdere a cuor leggero un fuoriclasse del calibro di Tokyo du Soleil… Il campione d’Italia è quindi inizialmente sparito dalle classifiche dello sport di alto livello, poi ci si è messo di mezzo anche il Covid, il circuito agonistico nazionale e internazionale si è arrestato… Insomma, è successo tutto quello che nessuno mai si sarebbe aspettato, compreso il fatto che le Olimpiadi sono state rinviate.
Fino a sabato 8 agosto 2020. Quattro giorni fa. Cervia. Gran Premio della massima difficoltà e importanza e prestigio sulla scena nazionale. Dei quarantanove partenti solo tre chiudono a zero un percorso base difficile e selettivo qualificandosi così per il barrage. Uno dei tre è Luca Marziani. In sella a un cavallo il cui nome ancora una volta sembra avere significati premonitori: Lightning, cioè fulmine, lampo, bagliore…
«In sé e per sé quel Gran Premio non era un impegno utile per qualche selezione o per la partecipazione a qualche evento internazionale, visto che in programma non ce ne sono e non sappiamo ancora quello che succederà… Ma per me è stata una gara assolutamente speciale, particolare. Intanto un campo come quello di Cervia che su di me esercita sempre un fascino enorme, poi un percorso magnifico che dava proprio il sapore del grande evento, quindi la presenza in tribuna dei tecnici federali Duccio Bartalucci e Marco Porro… ecco, tutto questo mi ha fatto vivere sensazioni che non provavo più dall’ultima gara affrontata in sella a Tokyo, la finale del circuito di Coppa delle Nazioni a Barcellona 2019, mi ha fatto risentire il desiderio di cambiare marcia, come quando nel 2018 a Piazza di Siena prima della Coppa ho detto arriva il doppio zero e noi oggi vinciamo… ».
Ormai è passato un po’ di tempo dalla sua separazione da Tokyo: cosa ha rappresentato per lei quel momento?
«In quel momento è stato come se io avessi segnato il punto zero della mia vita. Non so bene come spiegarlo… Ho sentito il bisogno di fermare tutto. Dovevo staccare: e l’ho fatto per un bel po’ di tempo. Poi ho scelto di stare alla Società Ippica Romana (della quale Luca Marziani è direttore sportivo, n.d.r.) sia perché è un luogo per me magico, sia per l’importanza delle persone che lo caratterizzano, i miei compagni di viaggio in un certo senso. Ho sentito che quella era l’energia giusta per me. Ed è proprio lì che è arrivato questo cavallo dal talento favoloso, per quanto ancora abbastanza inesperto. Un’altra magia, insomma… ».
La Società Ippica Romana è un grande pezzo della storia dello sport equestre italiano.
«Infatti far parte di una realtà così prestigiosa è una responsabilità che poi si trasforma in grande forza. È quello che cerco di trasmettere anche ai miei allievi: noi siamo la Sir sia che siate un brevetto o che perfino abbiate montato per la prima volta, lo siamo tutti insieme e questo deve darci forza. Io mi alleno alla Sir, la vivo e la sento come la mia casa soprattutto per le persone che la abitano, per la grandezza del progetto che sta nascendo e per i valori condivisi con chi è ai vertici della società, a partire dal presidente Pierluca Impronta che è anche il proprietario di Lightning».
Quindi il dopo Tokyo si può quasi dire che…
« … mi abbia rigenerato e rafforzato? Sì, certo. Mi ha fatto crescere e soprattutto mi ha fatto davvero capire per quale motivo io sono nato, perché da bambino ho scelto di fare questo, perché ho dato tutta la mia vita a questo sport e perché ho fatto una gavetta lunga e molto, molto dura. Durante questo periodo mi sono dato tante spiegazioni e risposte, è stato davvero bello e importante… Quando poi ho sentito che era il momento di ripartire l’ho fatto con una consapevolezza diversa, con uno spirito diverso, con una maturità diversa. Tutto questo credo che mi renda oggi un cavaliere migliore di quanto lo sia stato con Tokyo».
Quasi un paradosso, insomma.
«Io credo che nella vita nulla accada per caso. Ogni cosa ha il suo significato e la sua motivazione. Come in una specie di catena: nel tale momento io ho bisogno della tal cosa e allora succede che… Questa mia convinzione fa sì che io riesca ad accettare gli eventi nel modo che mi sembra più giusto. È una convinzione che ho dentro da sempre, innata».
Voltandosi indietro adesso, a distanza di mesi, come rivede la sua storia con Tokyo?
«Come la storia più bella del mondo, anche se finita nel modo che ovviamente non è quello che avrei immaginato. Tokyo in quel momento era ancora giovane, non aveva ancora 13 anni, però io già sentivo l’emozione che avrei provato il giorno del suo addio allo sport a Piazza di Siena, per poi vedermelo invecchiare a casa… Ma non importa, è stata la storia più bella del mondo lo stesso, mi fa vivere ancora oggi sensazioni bellissime, sentimenti meravigliosi. Tokyo rimarrà l’amore della mia vita, però sabato scorso a Cervia ho capito che voglio e posso amare anche qualcosa d’altro… Non voglio fare il romanticone a tutti i costi, però è così».
E dire che di gare importanti ne ha affrontate nella sua vita… !
«Esatto. Adesso, umiltà o presunzione non c’entrano niente ma è un fatto oggettivo che in passato mi siano capitate giornate di sport con carichi emotivi molto forti, impegni agonistici di altissimo livello come campionati internazionali, Gran Premi o Coppe delle Nazioni… Il Gran Premio a Cervia non era certamente di pari livello sulla carta, eppure mi ha fatto vivere emozioni fortissime. Ma mi sono sentito così fin dal giorno del warm up: come sono salito in sella per lavorare i cavalli in piano è stato tutto subito diverso, come se fosse scattato qualcosa dentro di me. Ero felice ed emozionato, e quando mi sento così, quando sento queste cose dentro di me, di solito non sbaglio: c’è il morale, c’è la concentrazione, c’è l’energia… c’è tutto, e questo i cavalli lo sentono e lo prendono, la bellezza del nostro sport sta proprio nella condivisione con un animale che ha una sensibilità e un’empatia fuori dal normale. Con Tokyo è stato così: in Coppa delle Nazioni per esempio io l’emozione e la tensione le sentivo eccome, anche la preoccupazione, certo, ma tra me e lui c’era questo qualcosa di così particolare… lui era sicuro con me, io ero sicuro con lui, e le cose venivano».
Deve essere anche stimolante ripartire con un nuovo progetto.
«Altroché… ! A Cervia ho montato come se stessi affrontando un Campionato d’Europa per la qualifica olimpica… e tutto questo l’ho rivissuto con un altro compagno, con un compagno che non era Tokyo… cosa che mi ha dato una sensazione favolosa. Lightning è un grande cavallo, dentro di lui c’è tanto. È un cavallo ancora inesperto, non ha fatto molto nella sua carriera giovanile, ma ha un talento straordinario. Con Tokyo ero arrivato al punto di sapere tutto di lui: sapevo come reagiva dopo una gara a tempo, dopo due giorni di gara, dopo tre giorni, dopo quattro percorsi, dopo cinque percorsi, sapevo cosa fare per farlo stare bene, sapevo cosa gradiva e cosa non gradiva… sapevo tutto. Tutto. Adesso non vedo l’ora di rivivere tutto questo, questa condivisione totale e profonda: perché è troppo bello».
Tra non molto ci sarà il Campionato d’Italia: lei è il campione in carica.
«Voglio difendere il titolo conquistato con Tokyo. Se monterò sarà per questo, non certo per fare una gara di… crescita ed esperienza. Abbiamo un po’ accelerato i tempi con Lightning ma non per smania di ottenere il risultato, no: l’abbiamo fatto perché io sento il cavallo. Lui farà il Campionato d’Italia con grande margine, io questo lo so».
Nel barrage del Gran Premio a Cervia ha dovuto affrontare Paolo Zuvadelli in sella a una cavalla molto interessante e soprattutto Giulia Martinengo Marquet con la quale condivide sia la divisa dell’Aeronautica Militare sia momenti esaltanti nella squadra nazionale.
«Ero felice come un bambino per tutto questo! Ai tempi di Tokyo una gara così sarebbe andata probabilmente bene: ma se anche per ipotesi l’avessi vinta… beh, sarebbe stato in un certo senso normale per lui, quindi sarei stato di certo felice ma con moderazione. Invece con Lightning ho assaporato tutto come se ogni istante si fosse dilatato a dismisura… l’ennesima dimostrazione di quanto sia bello il nostro sport. Anzi, non bello: direi pazzesco!».
Ci sono anche altri cavalli che le permettono di guardare al futuro con voglia e desiderio?
«Oh sì! Intanto c’è Don’t Worry, un cavallo che è un vero guerriero e che ha notevoli margini di miglioramento. E poi insieme a Marco Di Paola ho una cavalla di 5 anni che è figlia di Vigo d’Arsouilles e di Wivina: credo di non aver mai sentito in un cavallo doti atletiche come le sue… Ma con lei voglio prendermi tutto il tempo necessario: intanto sogno vedendomela in campo ad Aquisgrana o nel Gran Premio Roma… ».