Bologna, sabato 18 maggio 2019 – Il 26 maggio 2017 sul terreno – ancora in sabbia – di Piazza di Siena si è consumato un evento epocale: l’Italia ha vinto la Coppa delle Nazioni per la prima volta dopo 32 anni, e per la seconda dopo 40. Un evento di portata storica, quindi epocale letteralmente. Scrivevamo quel giorno su queste pagine elettroniche di Cavallo Magazine: “L’onda dell’emozione ha sollevato Piazza di Siena e l’ha portata in alto, facendola fluttuare con eterea leggerezza. Non è stata la semplice vittoria di una semplice Coppa delle Nazioni, quella di oggi. No. Oggi è stata la liberazione dopo trentadue anni di frustrazioni, di aspettative violentate, di delusioni angosciose, di successi mancati per un soffio e di misere sconfitte. L’Italia si è ripresa Piazza di Siena, casa sua, il suo concorso, noi. Noi ci siamo riappropriati di noi: della nostra storia, del nostro passato e del nostro futuro. Non si creda che queste siano parole esagerate, dettate dall’euforia del successo e dall’emozione del momento, no: bisogna ripercorrere questi ultimi trentadue anni, anno dopo anno, per comprenderne il vero significato. Bisogna farlo per dare la giusta proporzione a ciò che è accaduto oggi a Piazza di Siena. Per capire ciò che è accaduto oggi a Piazza di Siena. Per sentire ciò che è accaduto a Piazza di Siena”. Sì: è stata un’emozione indicibile. Un’emozione che si è poi replicata magnificamente anche nel 2018, ma quella del 2018 è un’altra storia, stupenda, inebriante, stordente ma diversa: perché c’era già stata la… storia del 2017. Prima di quella del 2017, invece, c’era stato solo quell’abisso angoscioso e terrificante, quel buco nero che sembrava essersi inghiottito il salto ostacoli azzurro per sempre.
La grandezza dell’accaduto del 2017, la portata di quell’accaduto però ha fatto passare un po’ in secondo piano un aspetto della questione davvero eccezionale, un qualcosa che senza tutto il corollario di emozioni così violente sarebbe diventato forse uno degli argomenti di cui dibattere più a lungo. E cioè la prestazione di Alberto Zorzi in sella a Fair Light van het Heike. Determinante per la vittoria dell’Italia: un doppio percorso netto favoloso, l’unico della squadra azzurra, uno dei soli tre di tutta la gara. Eccezionale per questo? In parte sì, ma no, non per questo. No. La cosa eccezionale letteralmente parlando è che Alberto Zorzi ha fatto il primo percorso netto nel tempo di 75.13, e il secondo percorso netto nel tempo di 75.13… !!! Alberto Zorzi quel giorno ha fatto due volte la stessa cosa replicando in maniera esattamente perfetta e coincidente un percorso sull’altro. Al centesimo di secondo. Al centesimo! E’ un fatto impressionante… Ovviamente c’è anche un po’ di fatale casualità nell’esattezza dei centesimi: 75.14 o 75.12 non avrebbe fatto alcuna differenza dal punto di vista della straordinarietà dell’impresa… Ciò che più conta in realtà è rendersi conto del fatto che Alberto Zorzi ha impostato tecnicamente la sua prestazione in un certo modo nel primo percorso, e poi è stato capace di riproporla nel secondo in maniera identica, fino al punto di far coincidere i due risultati in modo esatto: zero penalità in 75.13 due volte. Il che vuol dire traiettorie, ritmo, velocità, curve, punto di battuta, falcate… tutto identico, perfetto, nulla lasciato al caso, all’estemporaneità del momento. E’ meraviglioso tutto questo, perché ovviamente qualunque cavaliere quando entra in campo ostacoli sa con precisione cosa deve fare: il punto è farlo davvero… ! Riuscirci. Poiché il successo di un’impresa agonistica dipende da quanto si riesce ad avvicinare la perfezione: la ‘distanza’ tra perfezione teorica e realizzazione pratica è ciò che determina il risultato che si riesce a conseguire. Alberto Zorzi il 26 maggio 2017 ha dato prova di saper raggiungere la perfezione non una volta, bensì due volte. Consecutive. Una dopo l’altra. Non è forse un fatto eccezionale?