Bologna, 2 febbraio 2017 (intervista realizzata nel dicembre 2016) – Lorenzo de Luca vola sulle ali dell’entusiasmo e della passione. Con il suo sorriso contagioso, con la sua allegria rasserenante, con le sue guance che si arrossano quando il momento si fa decisivo. Ma soprattutto con la sua bravura di cavaliere: oggi Lorenzo de Luca è il simbolo del salto ostacoli azzurro nel mondo. Elegante e vincente: una imperiosa scalata nella computer list fino alle soglie della tanto agognata ‘top ten’, la qualifica per la prossima finale di Coppa del Mondo ottenuta prima della fine del 2016, una prestazione formidabile nello Csio di Dublino con la vittoria di ben sei gare tra le quali Coppa delle Nazioni e Gran Premio… Lorenzo vive e lavora in Belgio presso le scuderie del commerciante Stephan Conter: un mondo che lo ha catapultato ai vertici delle gerarchie internazionali, dove adesso addetti ai lavori, stampa, televisioni lo descrivono come il nuovo fenomeno italiano.
Il 2016 è stato per lei un anno molto importante: se lo aspettava così?
«No di certo. Diciamo che all’inizio di ogni anno io ho i miei sogni, i miei obiettivi, i miei traguardi, però non pensavo di raggiungere le tappe mirate così bene e così fluidamente. Perché è venuto tutto… non dico semplice, ma abbastanza naturale, senza grosse difficoltà».
Se dovesse descrivere in una parola la ragione di questa sua esplosione?
«Cavalli. La chiave di tutto sono soprattutto i cavalli. A noi italiani è sempre mancata la possibilità di costruire binomi importanti: per farlo ci vuole tempo e risorse e fiducia, e grazie a Stephan Conter adesso io tutto questo ce l’ho».
Ensor de Litrange è stato il suo numero uno. Come si è sviluppato il suo rapporto con lui?
«Ensor è arrivato in scuderia da noi in ottobre del 2015. Di proprietà di Stephan e di Jos Lansink. Jos aveva avuto qualche problema con il cavallo e quindi insieme a Stephan ha deciso di provare qualcosa di diverso, di cambiare qualcosa. Così Ensor è arrivato a me. E per mia fortuna il cavallo ha accettato la mia monta, ha accettato il cambiamento. Ma io devo essere riconoscente a Stephan e a Jos che me l’hanno affidato lasciandomi carta bianca».
Che tipo di cavallo è Ensor?
«Un po’ diverso dal genere di cavalli che solitamente preferisco, cioè con molto sangue e ‘caldi’. Ma lui pur essendo un cavallo grande è molto sensibile, intelligentissimo, rispettosissimo. Il primo Gran Premio che ha fatto con me l’ha vinto! Però la prima gara veramente grossa che abbiamo fatto insieme è venuta dopo, ed è stata la Coppa delle Nazioni a Roma. Poi a Roma c’è stato diciamo… l’incidente in Gran Premio, che mi ha turbato molto. Ma su Ensor mi sono concentrato tantissimo, consapevole del fatto che se su una macchina così potente si fanno le cose per bene la risposta è del cento per cento».
Però Jos Lansink è un cavaliere di valore indiscutibile…
«Sì certo, figuriamoci, infatti Ensor andava bene anche con lui alla fin fine. Diciamo che con me il cavallo ha avuto un po’ più di successo come può capitare a qualunque altro cavallo con qualunque altro cavaliere… Ci siamo trovati, magari la mia è una monta un po’ più leggera rispetto a quella di Jos. Poi Ensor è un cavallo che non appena ti conosce e si fida di te è pronto a darti l’anima. Adesso sta diventando sempre più veloce, poi, cosa che nessuno si aspettava».
Quindi la comprensione dello spirito che c’è dentro ciascun cavallo è una chiave fondamentale per la costruzione del binomio.
«Ovviamente. La cosa importante è rispettare il limite di ciascun cavallo e programmare bene il lavoro e gli impegni agonistici. Bisogna capire quando si può forzare un po’ e quando invece si deve alleggerire un po’. Che detta così sembra una cosa ovvia e semplice, ma ci si arriva solo con l’esperienza. Quando si montano cavalli così buoni come quelli che monto io ora, è inutile andare in gara se sai che non sono al cento per cento: meglio stare a casa. Io in scuderia lavoro con un campione come Daniel Deusser, poi vedo gli altri cavalieri importanti in concorso ed è evidente come il rispetto per i cavalli deve essere la prima cosa: nello sport che facciamo noi tutto deve essere al cento per cento».
Quando si è all’inizio della carriera agonistica però può non essere così semplice, no?
«È vero. Sono tutte cose che si devono verificare sul campo e nel tempo. Se sei all’inizio della tua carriera e vieni invitato a un cinque stelle anche se non hai tutto perfettamente a posto ci vai pur di non perdere l’occasione… ma se poi funziona è solo per fortuna. Non può essere quello il sistema».
Naturalmente anche Stephan Conter è allineato su questo suo pensiero.
«Quando sono entrato nei primi venti della computer list la prima cosa che ho detto a Stephan è stata: “Adesso non cambiamo niente, andiamo avanti come sempre”. Perché ovviamente il rischio è che ti venga la voglia di accelerare per salire sempre più. Ma i cavalli non ragionano così… Per fortuna Stephan è un grandissimo uomo di cavalli, le cose le sa e le capisce come nessuno. Però è anche un uomo che si pone degli obiettivi: la prima cosa che mi ha detto quando sono arrivato da lui è stata che nel giro di un anno e mezzo al massimo mi avrebbe voluto nei primi trenta del mondo… ».
Beh, un’aspettativa bellissima ma anche non facile da sostenere…
«Io sono un sognatore. Ho lavorato tantissimo per poter arrivare ad avere persone di questo tipo al mio fianco e quindi adesso l’ultima delle cose che vorrei è deluderle, e anche deludere me stesso. Però se ti ingaggiano in una scuderia del genere vuol dire che le aspettative sono alte. E avere alle spalle una persona come Stephan è di grande rassicurazione».
Come è nato il rapporto con lui?
«È stato lui a propormi di fare delle cose assieme, quando io lavoravo sempre in Belgio per Neil Jones (a sua volta commerciante di cavalli sportivi, n.d.r.). Da Neil montavo cavalli anche di altri proprietari, quindi con il suo benestare ho preso qualche cavallo di Stephan. Abbiamo cominciato così: due o tre cavalli, poi una volta venduti me ne mandava degli altri. Dopo un po’ di tempo però Stephan mi ha chiesto di trasferirmi in scuderia da lui: avrebbe voluto affidarmi cavalli importanti, che però proprio per questo voleva che rimanessero nella sua scuderia. Io ho pensato che fosse un’opportunità da non lasciarmi sfuggire, ne ho parlato con Neil e la cosa si è fatta».
C’è anche un buon rapporto umano con Conter?
«Ottimo. Lui è il primo che mi ha veramente rafforzato. Che mi ha fatto crescere in sicurezza e consapevolezza di me stesso. Ogni volta che si vive uno spostamento da una situazione a un’altra inevitabilmente un po’ ci si indebolisce, anche se si tratta di una propria scelta: ma Stephan mi ha sostenuto in modo meraviglioso. Lui è capace di far crescere tantissimo l’autostima di una persona, e questo è fondamentale nel lavoro con i cavalli. E io lo dico con cognizione di causa: ho avuto a che fare con tanta di quella gente… ».
Anche il suo livello di competenza specifica deve essere molto alto.
«Certo. È grazie a lui se abbiamo tutta questa qualità di cavalli. Lui è nello sport: sa vedere e sa capire».
Come è organizzata la vostra scuderia?
«C’è Daniel, ci sono io, c’è la mia fidanzata Jonna Ekberg (amazzone svedese di alto livello, n.d.r.), c’è una ragazza svedese che l’anno scorso faceva gare importanti ma poi i suoi cavalli sono stati venduti quindi adesso sta ricominciando con un gruppo di nuovi, e poi c’è un ragazzo francese che si occupa più che altro dei cavalli giovani. E poi naturalmente ci sono le due figlie di Stephan. Ognuno di noi ha la sua organizzazione con la sua scuderia, due groom e mediamente da quindici a diciotto cavalli da gestire».
Da un punto di vista tecnico Henk Nooren ha avuto un ruolo importante nella sua formazione di cavaliere.
«Non ha avuto un ruolo: ha avuto il ruolo. Henk Nooren rappresenta il 99% della mia equitazione. Ai tempi in cui lavoravo per Rori Marzotto sono stato sei mesi fisso in scuderia da lui: è lui che mi ha dato le basi, a lui devo tutto. Mentre stavo da Neil Jones sentivo tanto il bisogno di tornare a lavorare con Henk, ma Neil non me ne ha dato mai la possibilità. Invece Stephan mi ha lasciato via libera e così io ogni lunedì mattina ho preso il mio camioncino, sono andato a casa di Henk, ho montato due o tre cavalli… Un’esperienza fondamentale: Henk ti mette in una specie di pace mentale, si concentra tantissimo sul lavoro, spinge il suo allievo ad avere altrettanta concentrazione, chi monta con lui si affida ciecamente alla sua bravura perché sa di lavorare con un trainer straordinario, e così tutto funziona a meraviglia. Il suo poi è un lavoro nella leggerezza, nella naturalezza del cavallo: e a me piace tantissimo. Adesso è fantastico come Henk e io riusciamo a intenderci. Ci confrontiamo ogni settimana per programmare il lavoro. Mi sento molto rassicurato nell’averlo così vicino».
Lei ha la percezione della sua evoluzione di cavaliere?
«Sì, certo. Io ho sempre cercato di migliorarmi. Amo la bella equitazione e voglio montare bene, possibilmente sempre meglio. Ma ovviamente tengo molto anche ai risultati: quando in barrage faccio un errore divento pazzo e per un’ora non riesco a rivolgere la parola a nessuno… Ma credo sia meglio così piuttosto che riderci sopra. Credo che nello sport di alto livello qualunque atleta debba continuamente evolversi: io il mio miglioramento l’ho avuto perché finalmente dopo aver abbandonato l’Italia ho ricevuto le mie prime basi tecniche che prima mi erano mancate completamente. E me le sono andate a cercare a volte aggrappandomi ai vetri… ».
A proposito di Italia: il suo rapporto con la Fise, con i tecnici azzurri?
«Favoloso. Quest’anno con Roberto Arioldi è stato favoloso. Lui è una guida fantastica per tutti noi: un uomo che ammiriamo e rispettiamo incondizionatamente per tutto quello che ha fatto e vinto nella sua carriera, e per il modo in cui si impegna nel suo lavoro con noi. E poi con lui l’intesa adesso è automatica: non c’è più nemmeno bisogno di parlare, bastano le occhiate».
Si è creato anche un bel gruppo di cavalli e cavalieri nel 2016.
«Un gruppo meraviglioso. Avere in squadra gente come Bruno Chimirri e Gianni Govoni, con tutta la loro esperienza e bravura, che sai che quando entrano in campo lottano alla morte, beh… è bellissimo, dà una certezza e una carica eccezionali. E avere Roberto Arioldi alle spalle di tutto questo è impagabile. Poi è chiaro, gli errori si fanno: lo vediamo anche con i cavalieri più forti tipo Marcus Ehning o Christian Ahlmann che nelle gare di Coppa del Mondo di recente qualche errorino lo hanno fatto quindi respiriamo anche noi che siamo di livello inferiore… ».
Livello inferiore… sì, forse, però lei in questo momento è sulla bocca di tutti!
«È bellissimo. È bellissimo rappresentare l’equitazione italiana, rappresentare l’Italia, è una cosa sulla quale sto lavorando da tanto e adesso con dei buoni cavalli si vede finalmente qualcosa».
Il rapporto con i suoi cavalli e il commercio come è organizzato? Ensor è in vendita per esempio? Quali sono i limiti entro cui viene gestito l’aspetto commerciale e quello sportivo sui singoli cavalli?
«Non ci sono limiti: Stephan fondamentalmente non è uno sponsor, lui è un commerciante. Anche se ama lo sport immensamente e molte offerte per cavalli che monto io e che monta Daniel le ha rifiutate, cosa che non so quanti altri avrebbero fatto: ma lui ama lo sport, è felice di vedere noi e i suoi cavalli a questi livelli, anche perché trovare soggetti come i nostri attuali non è facile, per questo abbiamo le scuderie piene di cavalli giovani; però tutti noi sappiamo benissimo perché siamo lì e quale è l’obiettivo dell’attività della scuderia. Sappiamo benissimo che da un giorno o l’altro ci potremmo trovare a dover ricostruire il gruppo dei nostri cavalli, ma questo è quello che accade a qualunque persona normale che non sia un miliardario… ».
Il suo rapporto con Daniel Deusser?
«Buonissimo. Daniel è un grande professionista. C’è un grandissimo rispetto tra noi. All’inizio non è stato facile perché comunque… insomma, è brutto dirlo ma quando vai in una scuderia del genere all’inizio ti guardano sempre dall’alto verso il basso, però quando vedono che lavori bene, che tratti bene i cavalli, che riesci a crescere gradualmente allora le cose cambiano. Io ho avuto un riscontro che mi ha fatto un piacere enorme».
Ovviamente all’inizio Daniel Deusser era il numero uno e lei il due…
«Certo, certo. Ovviamente».
Però adesso le gerarchie si sono almeno allineate, se non proprio invertite.
«No no, da noi non c’è alcuna forma gerarchica. La cosa buona è che adesso sono considerato con rispetto, e per me, sapendo quale è la mia storia e il mio percorso, è una cosa che mi gratifica tantissimo».
Lei lì dove vive?
«Vivo a dieci minuti dalla scuderia in un appartamento a Wolvertem che è a dieci minuti da Bruxelles. Praticamente Wolvertem è la scuderia… !».
Con Jonna Ekberg fate vita di coppia a tutti gli effetti?
«Sì, da circa un paio d’anni».
Cosa che avrà avuto di certo un qualche effetto sulla sua maturità di persona.
«Sì, mi ha cambiato tanto. È la mia prima vera relazione di coppia con convivenza, e penso che mi sia servito tanto anche per la mia vita di cavaliere, mi ha aiutato molto nel mio miglioramento. Quando si matura lo si fa in tutti gli ambiti della vita, e la mia vita è montare a cavallo. Sto crescendo, adesso ho 29 anni non più 19, è giusto che le cose un po’ più importanti arrivino».
Non è che con Jonna parla in svedese, vero…
«Per carità, no… inglese inglese! Con l’inglese non ho problemi, e adesso sto tentando di migliorare il mio francese».
E il suo rapporto con la Puglia, Lecce, casa sua?
«Eh, poco, pochissimo: 23, 24 e 25 dicembre. E basta. Purtroppo, sì».
Però i suoi genitori saranno contenti…
«Contentissimi. Fieri di me, mi seguono… Poi si sa come sono le persone del sud, con il cuore sempre nelle mani».
Vengono a vederla in gara, la seguono?
«In Italia, sì, ma solo a Piazza di Siena e a Verona, non di più».
Ecco, l’Italia. Il suo rapporto con l’Italia dello sport equestre?
«Abbiamo cavalieri bravissimi, certo. A me piacerebbe tantissimo aiutare i nostri ragazzi ad aprire gli occhi e far loro capire che se uno ci crede, e crede in un’equitazione corretta, beh… allora ci vorrebbe una cultura generale un po’ più approfondita. Quando io vengo in Italia e guardo i ragazzi vedo poca conoscenza… Mi piacerebbe vedere più interesse da parte dei giovani per imparare, ma imparare veramente, dedicandosi con sacrificio e disponibilità. Come ero io, alla fin fine: non è che io sono nato come sono oggi, e come me tanti altri miei amici cavalieri italiani».
La gestione dei rapporti tra Fise e Conter sui suoi cavalli come va?
«È molto facile. Stephan è fantastico su questo, e il presidente Vittorio Orlandi e Roberto Arioldi sono stati molto bravi nel sapergli rendere il giusto merito e i giusti ringraziamenti, il che è una cosa fondamentale. A lui piace vedere che i suoi cavalli e i suoi cavalieri fanno le gare internazionali più importanti del mondo. Adesso che abbiamo una squadra forte e importante lui è ancora più stimolato».
Certo è che con lei, Daniel Deusser, Jonna Ekberg e poi le sue due figlie si dovrà dividere tra Italia, Germania, Svezia e Belgio…
«Esatto! Ma a lui piace tantissimo».
A questo punto cosa vede nel suo futuro? I suoi sogni?
«I sogni li sto vivendo tutti in questo momento. Nel 2017 cercheremo di concretizzare al meglio il nostro Campionato d’Europa: non dovrà più essere un sogno, ma una realtà».
A proposito: lo sa che a Ginevra lo scorso dicembre tutti dicevano di aspettarla per la prossima finale della Top Ten?
«(Risata lunga e sonora) Sì ho sentito, ho sentito anche io… ! Bello, bellissimo. Diciamo che con i cavalli che ho in questo momento non sarebbe proprio un obiettivo impossibile: è molto difficile, certo, ma sarebbe favoloso farla davvero. Ci terrei da morire, e ci terrei anche per Stephan. Avere due cavalieri nella Top Ten per Stephan sarebbe favoloso. Se lo merita. Se lo meriterebbe lui e ce lo meriteremmo noi, direi».
Quindi Campionato d’Europa e Top Ten. Ma c’è anche la finale della Coppa del Mondo: che in calendario viene prima di tutto il resto…
«Eh sì. Il 2017 sarà un anno impegnativo. Ensor ricomincerà verso febbraio con calma. Io andrò a Wellington per fare qualche concorso del Winter Equestrian Festival e poi da lì mi sposterò a Omaha per la finale. Il mio intento è quello di montare Ensor in finale: perché al di là del valore del cavallo, c’è una fiducia totale tra noi».
C’è qualcosa che è cambiato nel suo stile di vita grazie alle esperienze più recenti?
«Beh, direi che sto affrontando tutto più professionalmente: prima era una cosa tutta nuova, dai viaggi ai concorsi… Adesso è la vita, è la mia vita, e deve essere così. Se sei troppo emotivo fai fatica, ma è normale che all’inizio quando vieni dal nulla qualunque cosa ti emoziona, è normale. Quando lo fai tutte le settimane poi pian piano viene tutto con naturalezza. È bello, è quello che ho sempre desiderato, essere lì e poterci rimanere. Poi il rispetto delle altre persone: quando senti anche le persone che parlano bene di te, vuol dire che qualcosa di giusto lo stai facendo».
Quando si arriva a un livello professionistico come il suo si riesce a mantenere un rapporto sentimentale con i cavalli che si monta?
«Eh sì, certo, bisogna assolutamente, si deve assolutamente… Io forse esagero, mi affeziono tantissimo ai miei cavalli… forse un po’ troppo, addirittura. Io sono la parte italiana della scuderia, mi vedono sempre abbracciato ai miei cavalli, con le mani sempre piene di zuccherini, mentre invece Daniel è molto tedesco, molto freddo… Io quando i miei cavalli fanno zero me li abbraccio come fossero dei bambini… Ma è molto importante: secondo me i cavalli poi ti restituiscono tutto. Ed è bello affezionarsi a cavalli che per noi fanno tutto, fanno cose eccezionali… viaggi, gare, ti danno soddisfazioni favolose, ti fanno vivere dei momenti di gloria perché alla fine sono loro… noi siamo pagati per fare il nostro lavoro, ma loro l’unica ricompensa che hanno sono le carote e le nostre carezze, quindi dovrebbero essere trattati come dei principi».
LA CARRIERA DI LORENZO DE LUCA
Lorenzo de Luca è nato a Lecce il 23 aprile 1987. Ha esordito in Coppa delle Nazioni con la squadra azzurra nel 2013; diciassette presenze a tutto il 2016, diciannove se si considerano anche il Campionato del Mondo 2014 (su Evita van de Veldbalie) e il Campionato d’Europa 2015 (su Geisha van Orshof), con tre vittorie: Arezzo 2014 (tre stelle, su Elky van het Indihof), Lummen 2015 (cinque stelle, su Erco van het Roosakker), Dublino 2016 (cinque stelle, su Ensor de Litrange). Venti volte nei primi tre posti di Gran Premi internazionali con sei vittorie, tra le quali spicca quella nello Csio di Dublino 2016 con Ensor de Litrange. Nel mese di dicembre 2016 Lorenzo de Luca è al 17° posto della computer list della Fei. E dopo la tappa di Coppa del Mondo di Londra Olympia al 2° posto del girone dell’Europa Occidentale.