Bologna, 27 settembre 2018 – Luca Marziani parla. Racconta. E dentro il suono della sua voce si percepiscono chiaramente la passione, la delusione, la voglia, l’amarezza, l’entusiasmo, la frustrazione, l’amore, il desiderio… Luca Marziani è un cavaliere arrivato a disputare il Campionato del Mondo sulle ali di una serie di prestazioni favolose, e dal Campionato del Mondo se ne è ritornato con il peggior risultato possibile…
«Siamo arrivati a Tryon e io ho montato Tokyo sabato 15 settembre, il primo giorno in sella dopo lo sbarco dei cavalli in America. Tokyo era bellissimo, mi sembrava di averlo montato il giorno prima l’ultima volta, come se in realtà non ci fossero stati il viaggio, la preparazione per il viaggio, l’attesa per il viaggio e tutto il resto… L’ho sentito in forma. Era perfetto».
Il warm-up con la prima serie di salti in campo è stato poi martedì 18.
«Esatto. Siamo entrati in campo tutti insieme, tutti i cavalieri della squadra. Un clima bellissimo, eravamo tutti allegri e felici di essere lì. Scherzavamo: dopo aver saltato la combinazione io mi sono messo a urlare e a ridere… ooooh ragazzi, è una bomba! Davvero: sentivo Tokyo come meglio non sarebbe stato possibile. Quindi morale alto, convinzione massima, il cavallo doveva solo continuare a fare quello che ha fatto tutto l’anno».
Prima prova, la gara di velocità in tabella C mercoledì.
«Faccio quello che mi ero prefissato di fare, sapendo che in una gara a tempo di quindici salti con gabbia e doppia gabbia Tokyo non può essere competitivo, certo non tanto da puntare al vertice della classifica: l’idea mia era quella di stare al massimo a quattro punti di distacco dal primo. In effetti ho perso forse solo uno o due secondi per aver male interpretato la successione gabbia-verticale-riviera, però alla fine ero felicissimo di come era andata: sono tornato in scuderia e ai ragazzi ho detto per come sta Tokyo è difficile che possa sbagliare un salto da qui a domenica. Morale altissimo, tutto perfetto».
Giovedì è il giorno maledetto: prima manches della seconda prova…
«La mattina arrivo in scuderia e Ugo (Carrozzo, il veterinario, n.d.r.) mi fa Luca, stamattina il cavallo ha tutte e quattro le gambe un po’ gonfie… ci preoccupiamo un po’, lo guardiamo, va beh, dico io, lavoriamo un po’, magari si sgonfia, la circolazione si mette in moto… Salgo su Tokyo e… lui si mette a testa bassa. Di solito appena monto ed esco dalla scuderia Tokyo sta a testa alta, orecchie puntate, nitriti… cose da stallone, insomma. Invece testa bassa. Lavoro, e lo sento proprio scarico di impulso, un bel po’… dico Ugo, il cavallo trotta bene, è dritto perfetto, ma lo sento come svuotato… Tanto che io di solito prima di ogni gara importante faccio dei piccoli esercizi sulle barriere proprio per la gestione, per mantenere la sua esuberanza, ma quel giorno non ho ritenuto opportuno farli perché Tokyo era tutto tranne che esuberante».
Un po’ di allarme quindi…
«Sì, questo alle nove della mattina. Poi ho montato Tokyo alle 13.30 prima di entrare in gara. Allora: Tokyo è un cavallo che non suda. Il giorno prima era uscito dal campo dal termine della prima prova saltando alle due del pomeriggio con quella temperatura pazzesca, sembrava che ci fossero cinquanta gradi: e non ha fatto una sola goccia di sudore. Vado in campo prova per iniziare il lavoro di preparazione: dopo cinque minuti di riscaldamento blando l’ho visto inumidirsi un po’ sulle spalle… Faccio il primo saltino e Tokyo si riceve inciampando, quasi in ginocchio… Ripeto lo stesso salto, un dritto da 1.10, e Tokyo fa cadere la barriera… Cosa che normalmente è impossibile. Tokyo in campo prova non ha mai toccato una sola barriera».
Nel frattempo non vi siete parlati con il veterinario, con i tecnici?
«Certo, certo! Eravamo tutti lì… Io stavo sempre da loro a dire ragazzi qualcosa non va, c’è qualcosa che veramente non va… ma poi quelli sono momenti difficili, delicati, anche psicologicamente parlando. Si cerca sempre di motivare le persone, anche il cavaliere stesso in quei momenti cerca di eliminare tutti i pensieri negativi, e dici no no no, va tutto bene, salta bene, sta saltando bene, è bello… ».
Quindi terminato il lavoro di preparazione arriva il momento di entrare in gara.
«Vado verso l’arena. Quello è di solito il momento in cui accorcio sempre di qualche centimetro le redini, e Tokyo su questo comincia a saltellare, fa un passo molto attivo, comincia a trotterellare, si gonfia. Quindi ho accorciato le redini e Tokyo… si è fermato! Si è spento… Allora io lì gli ho fatto sentire le gambe, gli ho appoggiato la frusta… dico Tokyo, ti capisco, non stai bene, me l’hai detto, però adesso tira fuori l’adrenalina e combatti, facciamo quello che dobbiamo fare faticando, ma facciamolo… Tokyo sa perfettamente tutto, lo sa, altrimenti non vengono nove percorsi netti in Coppa delle Nazioni in quel modo, come li ha fatti lui quest’anno, lui sa perfettamente tutto, sa quale è il suo mestiere, capisce l’importanza della gara, io lo so, lo sento, sto insieme a lui da sempre, da una vita… Cominciamo il percorso. Faccio l’uno, il due, vado sul tre, un avvicinamento perfetto, era tutto giusto, ma poi posso dire? Cinque centimetri lontano, dieci gradi obliquo… quel muro Tokyo lo salta da fermo, non gli fa né caldo né freddo… e non è che lì ha parato, che ha dimostrato di avere paura di quell’ostacolo, no… ».
E quindi?
«Semplicemente Tokyo lì mi ha detto: Luca, non ce la posso fare. Mi dispiace. Sono mortificato. Oggi non posso portarti in fondo. Non ce la faccio. Ecco quello che ho sentito io, come cavaliere, in quel momento. Allora ritorno sul muro stando dietro di lui, usando le gambe il triplo di quello faccio di solito ma consapevole del fatto che stavo montando non un cavallo che era contro di me, bensì un cavallo che mi stava dicendo che non ce la poteva fare… Il punto non era il muro, che di ostacoli così Tokyo ne ha saltati a decine: il punto era che Tokyo sapeva benissimo che dopo quel muro ci sarebbe stato tutto il resto del percorso, ed era su questo che mi stava dicendo che non ce l’avrebbe fatta. Si è fermato lì perché sentiva di non potercela fare su tutto il resto del percorso».
In effetti lo spettatore ha probabilmente avuto la sensazione che lei non sia intervenuto con la necessaria decisione ed energia, in quel frangente…
«Sì, ho sentito e letto commenti e critiche sul fatto che io non avrei fatto di tutto per costringere Tokyo ad andare al di là di quel muro… e forse è vero, forse sì, mi prendo la responsabilità di questo, ma in ogni caso la realtà è che le cose sono andate così. Poi c’è da dire una cosa: dopo la mia prima fermata come squadra eravamo ormai fuori, eravamo morti, fuori dalle prime dieci. Anche ipotizzando di poter finire il percorso dopo quel primo rifiuto, come l’avrei finito con Tokyo così scarico? E comunque perfino nella migliore delle ipotesi mi sarei portato dietro quelle 4 penalità più quelle che avrei preso sul tempo… E quindi, cosa faccio? So che il mio cavallo non sta bene, lo sento, so che la gara è ormai compromessa… cosa faccio, lo costringo in tutti i modi a continuare, poi lui mi avrebbe dato l’anima e magari quel suo malessere sarebbe potuto diventare qualcosa di peggio… Sono pensieri di frazioni di secondo, ma la mia testa pensa veloce. Così io dopo la prima fermata gli ho dato due gambatine e… ok, prendetemi pure per una mozzarella, per uno poco reattivo, ma… le cose sono andate così».
Però è stato un malessere di quella giornata: poi il cavallo non è mai stato male, giusto?
«Il giorno dopo uscendo dalla scuderia si è alzato in piedi perché c’era una femmina lì vicino… si è messo in piedi, testa alta, nitriva: era lui. Il solito Tokyo».
E allora cosa può essere accaduto quel giorno?
«Colpo di calore? Dolori di pancia? Blocco intestinale? Che ne so… Mal di testa? Il problema è che i cavalli non parlano. Non lo so. Io dico solo che i cavalli, tutti, stavano benissimo. È anche vero che Tokyo la prima prova l’ha fatta nelle ore più calde della giornata: le sue quattro gambe un po’ gonfie l’indomani mattina possono essere una conseguenza di nient’altro che questo, perché la locomozione era perfetta. Tokyo poi è un cavallo che non soffre mai il lavoro, io a casa con lui posso galoppare a 350 m/m per venti minuti di fila e lui non ha mai né il fiatone né il sudore, ha polmoni e cuore d’acciaio… Fosse stato invece un lavoro sbagliato, il cavallo l’avrebbe dimostrato già nel warm-up e poi nella prima prova, invece in entrambe le situazioni Tokyo ha saltato magnificamente bene, con voglia, con sicurezza… io durante il warm-up urlavo davvero di gioia, come quando si esulta per un gol segnato dalla squadra del cuore. Io in quel warm-up stavo sentendo quello che qualunque cavaliere si augura di poter sentire prima di affrontare un Campionato del Mondo…. Cavallo perfetto, ordinato, fresco, reattivo… Sembrava un delfino, ecco: un delfino».
Magari ambientamento?
«No, lo escludo, erano passati cinque o sei giorni dall’arrivo dei cavalli a Tryon… e durante quei giorni io ho sentito il miglior Tokyo di sempre. Quando è finita la prima prova, la tabella C, ho detto ai miei compagni: ho il miglior Tokyo dell’anno, se io rimango concentrato e monto bene succede qualcosa di bello… ».
Per fortuna lo sport offre sempre la possibilità di andare avanti.
«Sì. L’unica cosa da fare. Andare avanti come abbiamo sempre fatto e dimenticare in fretta un mondiale sfortunato. Perché non è stato sfortunato solo per me. Perfino per Lorenzo… Lorenzo de Luca è un campione favoloso. È il migliore. Ha montato divinamente bene. Due barriere del cavolo e un centimetro e mezzo sulla riviera gli hanno tolto una medaglia che meritava come nessun altro in questo Campionato del Mondo. Ha montato da medaglia d’oro. Lui fin dal primo giorno ha montato da medaglia volendo la medaglia. E doveva vincerla perché ha fatto vedere una bravura da fenomeno. La sfortuna, solo quella, un po’ per tutti… Perché, non è sfortuna quella di Emanuele Gaudiano? Il cavallo che si fa una ferita sul numero uno della prima gara… E pure Piergiorgio Bucci: fa un errore il secondo giorno con il cavallo che ha veramente dimostrato di avere tutte le potenzialità, gli viene male l’interpretazione di una linea… era inferocito nero con sé stesso… ma io gli ho detto Piergiorgio, in questo percorso hai avuto la certezza che il cavallo salta super, ora farà più esperienza e diventerà più gestibile. Perché il cavallo nella conduzione e nella bocca non è per niente facile, Piergiorgio lo fa sembrare facile ma non lo è affatto… ».
A distanza di giorni la delusione sarà ancora piuttosto forte…
«Sì. E fa male. Tokyo era in super forma. Io ero arrivato a Tryon con la certezza di poter fare un buon Campionato del Mondo. La certezza. Per me e per la squadra. Allora lì per lì mi è venuto da maledire il destino. Però poi a mente fredda mi sono detto: quanti cavalieri sognerebbero di poter fare quello che Tokyo e io abbiamo fatto durante tutto questo 2018? La vittoria a Roma con doppio zero, tutte le altre Coppe senza errori… Il pensiero di tutto questo mi dà forza. La botta è forte e fa male. Ma andiamo avanti, certo!».