Bologna, venerdì 18 gennaio 2019 – Parla in modo tranquillo, sereno, equilibrato. Sta sul campo, guarda, ascolta, controlla. Marco Porro, 54 anni, divenuto nel 2019 selezionatore della seconda fascia del salto ostacoli azzurro (Duccio Bartalucci per la prima), è la classica persona poco fumo e molto arrosto: poca apparenza, cioè, e molta sostanza.
Questo ormai è il suo secondo anno in un ruolo di responsabilità tecnica.
«Sì, ma ho iniziato con il settore dedicato ai cavalli giovani. Poi quando il selezionatore della prima squadra è stato Roberto Arioldi ho fatto uno Csio ad Aquisgrana con lui e quindi in seguito lo Csio di Calgary da solo».
Con l’inizio di questo 2019 invece la Fise l’ha inquadrata come selezionatore della seconda fascia. Cosa significa esattamente?
«Diciamo che il mio compito sarà quello di seguire e coordinare i binomi impegnati negli Csi a due e tre stelle. Il salto verso i cinque stelle è enorme, e farlo senza essere pronti e preparati può diventare pericoloso: il rischio è quello di bruciare sia cavalli sia cavalieri che non abbiano ancora la necessaria maturità per farlo. Io cercherò di seguire questi cavalli e questi cavalieri secondo un programma di lavoro che li faccia crescere nel modo giusto per condurli progressivamente al livello dei cinque stelle».
Da un punto di vista personale tutto questo dovrebbe rappresentare una bella soddisfazione, no?
«Sì, certo. Sono soddisfatto. Ringrazio tutti per questo, la Fise naturalmente, ma poi anche Hans Horn che mi è sempre molto vicino, Roberto Arioldi che è stato il primo con il quale ho lavorato in questo ruolo, e poi naturalmente Duccio Bartalucci con il quale collaboro attualmente».
Questo ruolo, appunto… era un suo obiettivo, un suo desiderio, oppure lo ha scoperto e vi è arrivato strada facendo per una serie di circostanze contingenti?
«Io penso che nello sport la carriera di una persona debba essere in continua evoluzione… Prendiamo il calcio: oggi fai il calciatore, domani l’allenatore, poi se sei bravo fai il dirigente. Con l’età bisogna cambiare. Questa situazione è una cosa che ho provato con Roberto Arioldi, mi è piaciuta, sono andato avanti, sono contento di potermi rendere utile agli altri».
È una cosa che l’appassiona…
«Sì, certo. Io mi sento molto dalla parte di quelli che… vengono da dietro, diciamo. Quando il presidente della Fise Marco Di Paola mi ha chiamato io ho cominciato a lavorare con i cavalli giovani e mi sono molto appassionato a quelle tematiche e a quella realtà. Bisogna lavorare sui cavalli giovani e sui cavalli italiani: non è possibile che i nostri cavalli di sette anni impegnati in gara rappresentino un terzo di quelli che sono partiti a cinque anni. Noi dobbiamo cercare di valorizzare al massimo il nostro prodotto: abbiamo cavalieri ottimi, due sono veri fenomeni che tutto il mondo ci invidia (Lorenzo de Luca e Alberto Zorzi, n.d.r.) e proprio loro con cavalli che prima erano qui in Italia ci hanno fatto vedere come si fa… ».
Quindi lei ha messo parzialmente da parte la sua attività di cavaliere, oppure ha ancora delle ambizioni personali?
«No, direi che l’ho accantonata. Monto i miei cavalli quando ho tempo, ma la mia priorità adesso sono i cavalieri italiani e la nostra federazione».
Qual è la cosa più difficile in quello che lei sta facendo adesso?
«A dire la verità… sono fortunato, perché ho sempre intorno a me della gente con esperienza, con cui mi confronto e con cui parlo, quindi difficoltà vere e proprie non ne ho trovate… anzi, forse sono perfino agevolato perché conoscendo bene sia i ragazzi sia i cavalli mi viene tutto facile nel dialogo. Io sto molto sul campo quindi conosco bene quello che succede, la realtà delle cose che accadono, e dei binomi che seguo mi piace interessarmi di tutto: con i cavalieri e con i tecnici e con i veterinari».
Il suo lavoro si integra dunque bene con quello svolto da Duccio Bartalucci.
«Sì, io forse sto sul campo un po’ più di quanto riesca a fare lui, mentre lui si occupa molto della parte organizzativa, gli inviti, i regolamenti, le trasferte, la selezione. Direi che l’anno scorso abbiamo ottenuto ottimi risultati, abbiamo fatto bene, tranne il mondiale che è andato come è andato però complessivamente è stata una buona stagione. Io ho portato un po’ di ragazzi nuovi che ho cominciato a seguire, i vari Pisani, Vizzini, Zuvadelli, Alfonso, Cristofoletti… alcuni purtroppo poi hanno venduto i cavalli, succede… ».
Come funziona il lavoro tra di voi?
«Ci sentiamo spesso, tutti i giorni, io segnalo a Duccio i binomi che secondo me potrebbero essere provati, ai quali si potrebbe dare spazio, Duccio chiede sempre il mio pensiero quando lui fa una squadra, e quindi è una bella collaborazione. Come del resto al tempo di Roberto Arioldi, anche con lui il rapporto era secco e diretto ed efficacissimo».
Piano di lavoro per il 2019?
«Quello che mi è stato chiesto è di cercare di muovere una fascia di cavalli di otto e nove anni ai quali proporre un impegno di crescita graduale. Ormai sappiamo bene che a ogni inizio di stagione parte la solita rincorsa a Piazza di Siena… Tutti dicono faccio il Campionato d’Italia così dopo vado a Roma… Invece tutti devono capire che la strada per arrivare ai cinque stelle è molto lunga. I ragazzi giovani che hanno dei buoni cavalli di otto anni non devono pensare al 2019 bensì al 2020. Bisogna evitare di impegnarsi in gare troppo grosse e difficili per le quali non sono pronti né i cavalieri né i cavalli: il rischio è quello di bruciare entrambi… Bisogna muoversi bene nei due e nei tre stelle, fare delle Coppe delle Nazioni non troppo impegnative per portare a termine una buona maturazione e una buona preparazione. Così si costruiscono le basi per poi affrontare con sicurezza e disinvoltura gli impegni maggiori. Io cercherò di occuparmi di questi ragazzi, li visioneremo in concorso, parleremo con loro e con i loro tecnici per fare un programma cercando di portarli avanti bene e con sicurezza. Questo è l’obiettivo principale».