Bologna, 15 marzo 2018 – Dice: «Ho avuto il privilegio di lavorare con tanti grandi campioni, ma Marcus Ehning è davvero speciale». Chi parla non è un ‘signore’ qualsiasi, bensì uno tra i più grandi allenatori e tecnici di salto ostacoli del mondo: Henk Nooren. Ora, mettete le parole di Nooren insieme al curriculum di Ehning e avrete la esatta dimensione di questo favoloso fuoriclasse. Molto semplice.
Per Marcus Ehning l’anno determinante è il 1999: perché è allora che gli viene affidato – lui ancora molto giovane, essendo nato nel 1974 – uno dei cavalli più importanti del mondo: lo stallone sauro For Pleasure, secondo classificato in finale di Coppa del Mondo nel 1995, medaglia d’oro a squadre alle Olimpiadi di Atlanta 1996 e nel Campionato d’Europa 1997, oltre che due volte vincitore della Coppa delle Nazioni dello Csio di Aquisgrana sempre sotto la sella di Lars Nieberg. In quel momento Marcus conta già diversi ottimi risultati internazionali, ma nulla in confronto a quelli che la sua carriera gli riserverà da allora in poi. Questa intervista, rilasciata al nostro giornale qualche tempo fa, è da godere dalla prima all’ultima parola.
«Ho sempre avuto buoni pony e buoni cavalli nella mia carriera da junior e poi da young rider: poi però quando si entra nel mondo seniores le cose cambiano, e molto, e i buoni cavalli non bastano più… For Pleasure è stato il primo grande cavallo della mia carriera. Ho imparato tantissimo da lui. Soprattutto lui mi ha fatto provare la chiara e netta sensazione di cosa voglia dire saltare i percorsi più grossi e difficili del mondo».
In quel momento chi era il suo tecnico di riferimento?
«Devo dire di non aver mai avuto un trainer vero e proprio. Ho sempre avuto un ottimo tecnico di riferimento nel c.t. della squadra nazionale nella quale via via mi sono trovato: Lutz Merkel quando montavo i pony, Fritz Ligges da young rider, poi è arrivato For Pleasure e allora per me è stato fondamentale Ludger Beerbaum che mi ha aiutato soprattutto a non sentire la pressione di quel momento: io praticamente ero un ragazzino quasi sconosciuto che si trovava a dover montare uno dei cavalli più importanti del mondo… Per fortuna è andato tutto bene fin dal primo concorso».
Non deve comunque essere stato tanto facile reggere le emozioni di quei giorni…
«Io non sono uno che parla tanto ma allo stesso tempo non sono un freddo, anzi… L’emozione la sento eccome, ma cerco di concentrarmi il più possibile sul mio cavallo fino a prima di montare in sella, e poi naturalmente in tutti i momenti in cui monto. Tendo ad escludere tutto quello che non c’entra in quel momento con me e il mio cavallo. Mi concentro al massimo per capire lui, per capire come sta, come va… Cerco di essere al 100% sul mio cavallo e basta».
Sembra semplice da dire, un po’ meno da fare… Come la sua equitazione, del resto: lei fa sembrare semplici anche le cose più difficili…
«Non lo so… se è una cosa che sembra, allora bisognerebbe chiedere a chi guarda… ».
Ma la ricerca della semplicità è un suo preciso obiettivo, un suo scopo?
«È l’unico modo in cui riesco a montare più che altro… Quello che faccio io è sostanzialmente cercare di capire la situazione in cui si trova il mio cavallo: quello che posso e che devo fare è aggiungere o togliere un po’ di pressione, a seconda delle circostanze. Poi a saltare ci pensa lui, non sono io che lo costringo».
I suoi cavalli… Ne ha montati talmente tanti di eccellenti: ma quale è stato il più importante per lei?
«Se dicessi For Pleasure o Sandro Boy o Plot Blue non sarei giusto nei confronti di tutti gli altri. Fortunatamente ne ho avuti molti… e da tutti ho imparato, anche se naturalmente For Pleasure è stato il primo… lui mi ha insegnato tantissimo, forse solo perché è stato il primo».
Tra i tanti c’è anche stato chi le ha dato qualche dolorosa delusione, come Kuechengirl per esempio.
«Beh, con lei ho avuto dei momenti molto belli e dei momenti molto brutti, e tutto questo la rende una cavalla davvero speciale per me».
Forse è più interessante sapere come si reagisce nei momenti brutti.
«I momenti brutti insegnano che non tutto può andare sempre bene. È banale da dire, me è un insegnamento molto importante. Ho imparato molto da questo. Il momento più brutto ovviamente è stato quello dell’eliminazione nel secondo percorso della finale a squadre nel Campionato del Mondo 2006 ad Aquisgrana. Lei può immaginare, no? Io, tedesco, ad Aquisgrana, nel Campionato del Mondo, eliminato… è qualcosa che tutti ricorderanno per sempre, io per primo naturalmente. Ma bisogna saper guardare avanti e in effetti Kuechengirl dopo quella disavventura ha fatto delle gare bellissime».
Ma quella sera quando è andato a dormire cosa è successo? È riuscito a chiudere occhio?
«No, semplicemente perché non sono andato a dormire. La squadra aveva comunque conquistato una medaglia nonostante la mia prestazione e quindi siamo andati fuori a festeggiare, sebbene non fossimo proprio al settimo cielo: eravamo i grandi favoriti, eravamo in gara davanti al nostro pubblico, insomma… Abbiamo festeggiato un bronzo che doveva essere oro, però abbiamo festeggiato lo stesso. Io sono stato fuori a lungo con Marco Kutscher e Christian Ahlmann e abbiamo trascorso bei momenti: è molto più facile assorbire i brutti colpi se si hanno veri amici intorno, persone che dimostrano di credere in te, questa è la cosa più importante di tutte».
Comunque le aspettative nei vostri confronti sono sempre forti: come ci si sente a essere tedesco?
«Sinceramente non lo so, non sono mai stato italiano o francese o inglese o svedese… Però sono orgoglioso di essere tedesco, fiero di poter rappresentare il mio Paese».
Significa dover sopportare bene la pressione però perché voi siete quasi sempre i favoriti in qualunque gara…
«Sì, ma… beh, certo i buoni risultati aiutano ma non è una cosa a cui penso troppo. Forse perché le cose sono così, per noi è normale che sia così quindi… ».
Come è l’atmosfera tra tutti voi cavalieri di prima squadra?
«Negli ultimi anni le cose sono un po’ cambiate soprattutto grazie al Global Champions Tour. Prima erano poche le occasioni in cui ci si ritrovava tutti assieme, ognuno andava a fare i concorsi del suo programma personale. Il GCT ha fatto sì che un piccolo gruppo di noi si ritrovi con maggiore continuità rispetto a prima. Poi per il resto è come nella vita direi: ci sono amici, ci sono conoscenti… ».
Per tutti voi è importante il ruolo del commissario tecnico?
«Dipende. Può essere molto importante quando ci sono persone nuove in squadra. La maggior parte di noi… vecchi della prima squadra si conosce da una vita. Ormai sappiamo benissimo cosa dobbiamo fare e come dobbiamo farlo, e poi Otto Becker è stato uno di noi a lungo prima di diventare c.t. e quindi in realtà è come se fosse ancora un cavaliere, anche se non va in campo in gara: ci conosciamo talmente bene che non è nemmeno necessario che ci si parli».
Prima ha nominato il Global Champions Tour, nel quale lei si è sempre distinto particolarmente. Cosa pensa di questo circuito?
«Penso che abbia dato una spinta fortissima allo sport: non solo in generale, ma anche nel particolare per la realtà di alcuni Paesi. Ha reso il salto ostacoli molto più interessante per la televisione in modo consistente e continuo, ha costretto tanti altri concorsi a migliorarsi, a crescere, a dare di più allo sport… Detto questo, non so dire quale potrà essere l’evoluzione futura: la crescita di tutto questo meccanismo soprattutto nel corso degli ultimi anni è qualcosa di impressionante… ».
Ma da cavaliere cosa pensa dell’aumento vertiginoso delle date importanti in calendario?
«In generale è un bene, perché aumenta il numero di cavalieri che hanno possibilità di mettersi in evidenza. E contemporaneamente i cavalieri di alto livello hanno maggiori possibilità di scelta. Naturalmente deve esserci ancora più consapevolezza e lungimiranza da parte di tutti nel non esagerare, nel sapere che i cavalli non possono andare oltre certi ritmi, che c’è bisogno di riposo per loro, che non possono viaggiare in continuazione. Diciamo che questa crescita costringe i cavalieri a maggiore organizzazione e maggiore professionalità».
Della gestione e dell’organizzazione del salto ostacoli in generale cosa pensa?
«Tutto si può migliorare a questo mondo. Io personalmente penso solo una cosa: che se un concorso ha una buona scuderizzazione, un buon terreno, buoni campi di lavoro, beh… quello è un buon concorso. Tutto il resto non mi interessa molto: che ci sia o meno il contorno mi è indifferente».
Quali sono i suoi cavalieri di riferimento? O quali erano…
«Credo che il miglior riferimento per qualunque cavaliere sia John Whitaker. Sempre calmo, non combatte mai contro il cavallo, non contrasta mai il suo cavallo, cerca sempre di essere assieme al suo cavallo, lo ascolta e cerca di capirlo, di essere davvero con lui. Quando io sono in concorso non mi perdo mai una sua gara, se posso. Ma anche Rodrigo Pessoa e Ludger Beerbaum, anche loro ovviamente sono due fenomeni».
Anche sua moglie Nadia Zulow…
«Nadia Ehning… ».
Sì, Nadia Ehning, è stata una grande campionessa di volteggio. Adesso lo pratica ancora?
«No, ma continua a esserne coinvolta».
Monta bene, a parte il volteggio?
«Sì, monta bene, ma con i nostri tre figli non ha molto tempo libero… ».
E i vostri figli montano di già?
«I primi due sì».
Lei è orgoglioso del fatto che abbiano già montato?
«Sono orgoglioso di loro. Poi che montino o meno non è importante. Se vorranno montare a cavallo diciamo che avranno qualche opportunità in più rispetto agli altri. Ma non ci penso troppo in effetti».
I figli, e dunque lo sguardo sul futuro sono sempre un ottimo argomento per chiudere un’intervista.
«Ah, bene. E senta, posso fare io una domanda?».
Prego.
«Ho parlato troppo?».
Marcus Ehning: un campione.