Omaha, 31 marzo 2017 – Ecco Lorenzo de Luca: in tutta la sua leggerezza, in tutta la sua souplesse, in tutta la sua eleganza. Ecco Ensor de Litrange: che ha saltato come se le difficoltà che in precedenza avevano angustiato non poco i suoi colleghi a quattro gambe in realtà non esistessero. Lo sport è una cosa favolosa: capace di creare storie ed emozioni davvero entusiasmanti. Ieri inferno, oggi paradiso. La gara intesa come andamento della classifica di questa Coppa del Mondo per Lorenzo de Luca è stata compromessa ieri: maledizione! Oggi ci voleva un riscatto perentorio per due ragioni: dimostrare che quello di ieri è stato un incidente per un binomio il cui rendimento è di ben altro tenore; raggiungere la finale di domenica per poi sperare di guadagnare qualche posizione. Obiettivo centrato: eccome, se centrato! Con una prestazione sontuosa, magnifica, capace di regalare brividi di piacere allo spettatore. Essendo partito nella metà di coda (maledizione, maledizione, maledizione: se ieri le cose fossero state… normali, dove sarebbe oggi il nostro cavaliere… ?), la prestazione di Lorenzo de Luca ha generato un contrasto impietoso con quelle dei cavalieri che lo avevano preceduto e immediatamente seguito: tra il frastuono delle barriere che franavano a terra (per gli altri), Ensor è sembrato una ballerina che nel silenzio danza sulle punte leggera come una piuma e capace di galleggiare in aria senza bisogno di toccare terra. Quella di Lorenzo non è stata una rivincita rabbiosa: è stata invece una calma affermazione di bellezza. Fosse stato anche un po’ più veloce – quindi scongiurando quell’unico punto di penalità sul tempo massimo – avrebbe raggiunto con pieno merito l’aristocrazia della gara nel barrage decisivo. Ma non importa: quello che importa è che Lorenzo de Luca nonostante il più che comprensibile avvilimento dopo la prova di ieri sia stato capace di fare non qualcosa di eccezionale, bensì quello che normalmente è nelle sue corde: montare benissimo ed esaltare la qualità del suo cavallo. Semplicemente. Se domenica le cose andranno come oggi, forse ci potrà essere anche un piazzamento importante. Vedremo. Ma in ogni caso nulla potrà offuscare lo scintillio che ha incantato tutti questa sera.
McLain Ward è mostruoso. Se non fosse che nello sport la regola del mai dire mai è la più saggia possibile, bisognerebbe dire che questa Coppa del Mondo è ormai sua: e che gli altri dovranno dimostrarsi capaci di eventualmente togliergliela. Sembrerebbe quasi che il destino sia intenzionato (ma quale destino: la sua bravura, piuttosto… ) a compensare il torto inflittogli nella finale mondiale di Ginevra 2010, quando una discutibilissima – eufemismo – decisione di veterinari e ufficiali di gara lo aveva privato di un molto probabile successo. Tutto può succedere domenica, del resto: abbiamo già visto casi di concorrenti che sembravano aver la vittoria in tasca e poi cedere al momento del dunque; lo si dice per puro amore di statistica, perché obiettivamente dopo le prestazioni di ieri e quella di oggi McLain Ward e Azur sembrano semplicemente imbattibili. Equitazione stellare: un modello sotto qualsiasi punto di vista, organizzazione, stile, efficacia, esperienza, coraggio, calcolo, tutto… Meraviglioso poi che in McLain Ward (e non solo in lui) ci sia anche George Morris, campione e allenatore che porta con sé tutto il sapere dell’equitazione degli anni Cinquanta, e poi Sessanta, e poi Settanta, e poi Ottanta e Novanta fino a questi Duemila nei quali lui è moderno e sapiente esattamente come quando il suo riferimento e il suo modello erano il messicano Humberto Mariles e gli italiani Piero e Raimondo d’Inzeo. Certo la concorrenza per Ward non è da sottovalutare: Gregory Wathelet lo incalza a soli tre punti di distanza, cioè meno di una barriera; i tre formidabili svizzeri Romain Duguet, Martin Fuchs (vederlo montare è un piacere sublime) e Steve Guerdat sono lì pronti ad approfittare del benché minimo passo falso; così come il giovane e sorprendente Guido Klatte, per il quale è già un risultato straordinario essere dove si trova. Sia come sia, una cosa è certa: quella riservata ai migliori trenta concorrenti domenica sarà una gara entusiasmante.
Tra i nomi dei tanti fuoriclasse in sella, a Omaha se ne è messo in evidenza uno che sta vivendo la finale a piedi: il direttore di campo. Alan Wade, irlandese, ha proposto ieri e oggi due percorsi magnifici, difficili ma sinceri, complicati ma trasparenti. Oggi in particolare si è apprezzato il suo lavoro, che ha pienamente confermato i valori in campo: nella prima metà dei partenti le barriere sono fioccate, nella seconda la classe e la bravura sono state messe in grande risalto. Se la finale di Omaha si sta confermando una grande finale il merito è anche suo.
LA CLASSIFICA DELLA SECONDA PROVA
http://www.longinestiming.com/#!/equestrian/2017/1300/html/en/longinestiming/resultlist_J2.html
LA CLASSIFICA PROVVISORIA DOPO DUE PROVE
http://results.hippodata.de/2017/1300/docs/standings_after_wcf_2.pdf