Bologna, venerdì 17 maggio 2019 – Siamo nel 1977, un momento molto difficile della storia del nostro Paese: la vita sociale, politica ed economica è messa a dura prova da tensioni fortissime che agitano sia gli ambienti istituzionali sia quelli della gente cosiddetta comune. Terrorismo e scandali e perfino catastrofi ambientali (Seveso, però nel 1976… ) generano paura, insicurezza, disorientamento, reazioni incontrollate… Se la vita della società per così dire civile è messa a dura prova, anche il nostro sport è in un momento di difficoltà. Anzi, per la precisione il salto ostacoli azzurro vive proprio nel 1977 l’inizio di una crisi che a livello agonistico si protrarrà per almeno tre decenni. Il 1977 è esattamente l’anno in cui si mette la parola fine a un ciclo favoloso caratterizzato dalla massima potenza agonistica di una squadra azzurra composta dai fratelli Piero e Raimondo d’Inzeo, da Graziano Mancinelli e da Vittorio Orlandi che vincono a Piazza di Siena l’ultima Coppa delle Nazioni della loro era sportiva: The Avenger, Stranger, Ursus del Lasco e Creme de la Cour rispettivamente i loro cavalli. Sarà anche l’ultima vittoria dell’Italia prima di quella del 1985, a sua volta l’ultima prima della favolosa accoppiata del 2017 e 2018, i giorni nostri dunque. Ebbene, Luigi Gianoli (1918-1998), scrittore e giornalista, ma prima di tutto uomo di sport e di cavalli, scrive un pezzo meraviglioso e intensamente drammatico pubblicato sulle pagine della Gazzetta dello Sport il 23 aprile 1977: parole che descrivono e raccontano come meglio non sarebbe stato possibile l’atmosfera di quei momenti e di quei giorni… Parole che è importante rileggere oggi, per farci avere sempre più consapevolezza di ciò che è bene e di ciò che è male… Ecco di seguito l’impareggiabile Luigi Gianoli.
Piazza di Siena, un nome, un ricordo, una realtà? Chissà che cosa è nella nostra coscienza Piazza di Siena, sin dove reggerà il suo mito, sin dove resisterà la sua gloria sportiva al fuoco divorante di questo mondo iconoclasta e incredulo? C’è da chiederselo e con qualche inquietudine in tempi di così drammatica devastazione d’ogni cosa e d’ogni valore, devastazione che l’Italia sta subendo passivamente nascondendosi dietro l’assioma che chi devasta, distrugge, uccide ha tutte le ragioni per farlo essendo costui una vittima della società, e chi è derubato, infangato, ucciso ha ricevuto semplicemente ciò che meritava. Se ai nostri tempi si lavorava per sillogismi ancora, oggi il sofisma è di moda pronto a giustificare tutto ma non quanto ci proviene dal passato, da tradizioni che si fanno difficili, quasi intollerabili, non tanto perché superate o fastidiose ma perché obbligano la nostra cattiva coscienza a un confronto dal quale usciamo battuti. E’ dunque ancora credibile Piazza di Siena? E’ credibile questo scampolo di natura mediterranea, impareggiabile, dove alberi, bossi, ombre e luci diventano arte, nel cuore di una città gravata da angosce di paura, di orrori, di scempi sociali, urbanistici e morali? Che senso può avere ancora questo verde rifugio, se lo assediano la rabbia, il sopruso, il delitto? Ha un senso, credo, il senso che può avere un’orchestra, un teatro, ogni luogo dove si porta un discorso affascinante per passarlo, come il testimone d’una staffetta, alle generazioni che verranno; uno spettacolo non superato proprio in quanto fondato sul tecnicismo puro e sull’ispirazione più alta, un unicum come le sonate per violino solo di Bach dove la perfezione tecnica è la condizione prima della loro bellezza, ma dove basta tuttavia un’incertezza, una caduta di ritmo, una sbavatura per smagare ogni cosa e precipitarla a livello di gratuito esibizionismo. E la sbavatura a Piazza di Siena può venire tanto dall’interno – presunzioni di casta chiusa, intolleranza, incapacità di aggiornarsi al ritmo dei tempi – quanto dall’esterno; cioè dallo scetticismo, dall’incredulità, dall’ironia. Già la tv e qualche settimanale avevano tentato di infliggere qualche graffio a Piazza di Siena, sia pure con esito dubbio risultando quei servizi goffi, maldestri per troppa insipienza. Non è una novità che nell’ambiente equestre, come in tutti i circoli chiusi, esistano i tromboni, i recitanti, i laudatores, le damazze, le preziose ridicole. Lo sappiamo da sempre. Si tratta tuttavia di una commedia irritante ma innocente. L’importante è capire, enucleare da questo spettacolo l’essenza di quei valori tecnici e sportivi che esso porta avanti e che soltanto grandi e dotatissimi cavalieri, poderosi cavalli e pubblici generosi possono giustificare e conservare intatti nel tempo.