Bologna, martedì 28 maggio 2019 – I risultati, certo. Le classifiche, certo. Ma non solo. Se fosse solo questo non saremmo donne e uomini di cavalli. Ci sono i cavalli infatti. La loro crescita. Il loro modo. E il modo e il tempo di montarli. Non c’è un modo uguale all’altro e un tempo uguale all’altro: altrimenti non sarebbe così difficile. E’ difficile? Sì, molto. Molto difficile. Lo è per tutti. Lorenzo de Luca, per esempio: ha sbagliato qualcosa domenica scorsa in quel Gran Premio di cui lo scorso anno era stato formidabile vincitore? Forse sì: ed è ciò che lo rende grande. Perché un errore serve per comprendere al meglio il senso della bravura dimostrata tutte le volte in cui l’errore non c’è stato. Non ci dobbiamo abituare: ripetere e ribadire la propria bravura decine e centinaia di volte non vuol dire che sia normale essere bravi, perché essere bravi è in realtà una cosa eccezionale e l’errore può essere sempre lì per dimostrarlo. Lorenzo de Luca è un campione: quando e se sbaglia qualcosa, beh… quello è il momento in cui diventano enormi i suoi successi magnifici. Le amazzoni e i cavalieri non sono macchine: sono donne, e sono uomini. Non dobbiamo abituarci alla loro bravura: ma anzi stupircene ammirati ogni qualvolta tale qualità si materializza nel campo di gara. Essere consapevoli che il confine tra errore e perfezione può essere labile, e delicato. Anche i cavalli naturalmente non sono macchine: cambiano lentamente, ma in continuazione. Perché il tempo passa e le cose succedono. Ricordate Zenith, trionfatore mondiale ed europeo con l’olandese Jeroen Dubbeldam? Tre anni in cui è stato imbattibile: poi non ha più finito un Gran Premio senza errori. Noi siamo abituati a vedere un cavallo che salta in campo ostacoli: ma ogni salto, anche il salto di un singolo ostacolo per non dire di un intero percorso, in realtà è una cosa difficile e complessa. E’ come il nostro corpo, il corpo di tutti noi esseri umani: quando stiamo bene ci pare tutto normale e semplice, ma basta che anche il più piccolo ingranaggio della nostra macchina organica si fermi o smetta di funzionare al meglio per farci capire la complessità della nostra costruzione: e renderci conto che perfino muovere un passo o chinarsi verso terra o alzare un braccio sono operazioni in realtà molto sofisticate. Giulia Martinengo Marquet ha ritirato dallo sport Verdine, la sua cavalla numero uno, alla vigilia di quello Csio di Roma nel quale lo scorso anno la baia figlia di Verdi era stata una grande protagonista: nessun problema particolare, nessun infortunio, nessun incidente… solo una sensazione, la sensazione che per Verdine le cose non fossero più come prima. Verdine sarebbe stata la cavalla numero uno per Giulia… senza di lei come poter fare? Ma il tempo passa e le cose cambiano: ecco Elzas aver raggiunto una maturazione e una qualità tali da consentire a Giulia Martinengo Marquet di cogliere domenica scorsa un risultato favoloso in Piazza di Siena, lei con la sua splendida equitazione e adesso con un cavallo confermato in più. Una sorpresa perfino per la stessa amazzone azzurra: perché i cavalli si muovono seguendo lo scorrere del tempo, cambiando giorno dopo giorno, e noi non ci dobbiamo abituare… Non si è abituato infatti Paolo Adorno che ha portato il suo Fer ZG ostacolo dopo ostacolo e concorso dopo concorso ai massimi livelli: e a Roma ha ottenuto un risultato magnifico al cospetto di binomi di calibro mondiale… Fer ZG è cresciuto con il cavaliere siciliano e mentre cresceva lo vedeva solo lui e forse pochi altri: adesso invece lo ha visto il mondo, e naturalmente è piaciuto. E naturalmente sono arrivate le richieste… Paolo Adorno ha detto: “Vedremo… ”, con un sospiro di preoccupazione ma anche di soddisfazione. A volte vendere un cavallo non è solo indispensabile, ma anche inevitabile: non se ne rende conto solo chi non è un cavaliere professionista oppure chi per sua fortuna non ha problemi legati al conto in banca. Molti cavalli importanti hanno lasciato l’Italia per questa ragione, ma sbaglia chi pensa che ciò accada solo nel nostro Paese: in realtà accade ovunque. Anche per tale motivo alcuni importanti cavalieri italiani si sono da tempo stabiliti all’estero, là dove il movimento dei cavalli è più intenso e soprattutto non in una sola direzione: come Piergiorgio Bucci o Emanuele Gaudiano, senza contare chi – come Lorenzo de Luca, Alberto Zorzi, Filippo Codecasa – lavora per una scuderia di commercio. Piergiorgio Bucci a Roma ha montato il grigio Cochello, mentre la svedese Angelie von Essen la grigia Cochella: figlio e madre, perché i cavalli – non essendo macchine… – si riproducono proprio come facciamo noi esseri umani. Allevamento, quindi. Di quello italiano non se ne parla più molto, ed è un peccato vista la qualità dei cavalli indigeni in gara in Piazza di Siena, uno dei quali – Final – addirittura montato dal cavaliere irlandese Cian O’Connor (una volta, tanto tanto tanto tempo fa, erano i cavalieri italiani a montare i cavalli irlandesi… ): gli altri Quixotic del Colle (Guido Franchi), Ottava Meraviglia di Ca’ San Giorgio (Paolo Paini), Lazzaro delle Schiave (Massimo Grossato). E un altro ancora: Sundance, montato da Filippo Moyersoen… Sì, Filippo Moyersoen: un cavaliere che ha fatto la sua prima Piazza di Siena quando la stragrande maggioranza dei cavalieri italiani in gara nello Csio di Roma la scorsa settimana doveva ancora nascere. Quasi tutti, in realtà, tranne uno: Roberto Arioldi. Filippo Moyersoen nato il 30 agosto 1954, Roberto Arioldi il 29 novembre 1955. Due straordinari campioni che vivono la vita in scuderia e con i cavalli e in concorso senza sapere cosa voglia dire essersi abituati a farlo… Due straordinari campioni per i quali ogni cavallo, tutti i cavalli, sono una proiezione sul domani.