Bologna, mercoledì 23 agosto 2022 – Piergiorgio Bucci ha preso parte nel ruolo di riserva con il suo grigio Cochello alla spedizione azzurra che ha affrontato il Campionato del Mondo di salto ostacoli a Herning.
In realtà il veterano di quella squadra era proprio lui, con le sue 63 presenze in Coppa delle Nazioni e con i suoi sei campionati internazionali (cinque d’Europa e uno mondiale). Unico tra i cinque azzurri ad aver conquistato una medaglia: quella d’argento a squadre nella riunione continentale di Windsor 2009. E infine anche il… meno giovane con i suoi 47 anni contro i 39 di Emanuele Camilli, i 35 di Lorenzo de Luca, i 32 di Antonio Garofalo e i 29 di Francesca Ciriesi.
Come ha vissuto il ruolo di riserva? Qual è stata la ragione per cui il commissario tecnico Marco Porro ha scelto lei?
«Marco Porro mi ha spiegato che avrebbe voluto far fare esperienza ad altri cavalieri e cavalli, ma soprattutto che secondo lui per Cochello sarebbe stato uno sforzo troppo grande: lui in sostanza lo vede più come cavallo da gara secca, non da campionato. E quindi mi ha chiesto di fare il quinto».
Forse un po’ le sarà dispiaciuto… ?
«Beh, io per carattere sono uno che ama battersi in campo… Quindi contento non lo sono stato, però ho capito le intenzioni di Marco Porro e le ho rispettate. Oltretutto quando qualcuno rimane fuori dalla squadra titolare deve sempre tener presente che i quattro meritano di essere lì tanto quanto lui, quindi… Io non ho mai avuto la presunzione di dire no, dovevo esserci io al posto di questo, di quello, di quell’altro… Tra l’altro a memoria mi sembra di non aver mai fatto la riserva, questa credo sia la prima volta. Ovviamente mi è dispiaciuto perché mi sentivo pronto e carico per affrontarlo, questo Campionato del Mondo, però bisogna sempre rispettare le scelte del tecnico selezionatore, anche perché dei cinque comunque uno deve rimanere fuori inevitabilmente».
Un cavaliere della sua esperienza poi è forse importantissimo in squadra anche come quinto…
«Sì, assolutamente. Anche se in quel momento forse non ero la persona più felice del mondo ho comunque cercato in tutti i modi di non trasmettere il mio stato d’animo ai miei compagni, e anzi spero di essere stato di qualche utilità».
Come osservatore suo malgrado esterno, come valuterebbe le prestazioni dei nostri azzurri a Herning?
«Nel limite del loro possibile i nostri cavalli nella prima prova hanno dato il meglio di loro stessi. Nessuno di quei quattro è particolarmente veloce, nemmeno quello di Lorenzo (de Luca, n.d.r.), nonostante Lorenzo sia un cavaliere così straordinario e soprattutto così competitivo. Hanno fatto il massimo di quello che potevano fare. Antonio (Garofalo, n.d.r.) è stato strepitoso, Francesca (Ciriesi, n.d.r.) ha fatto una gara fenomenale, il cavallo di Emanuele (Camilli, n.d.r.) è molto macchinoso e difficile quindi lui il primo giorno non può esagerare. Dunque direi che il primo giorno abbiamo raccolto il massimo di quello che si poteva ragionevolmente raccogliere».
Poi però è arrivato il secondo giorno…
«La verità è che noi siamo bravissimi, ma gli altri lo sono di più. Questo lo abbiamo visto anche lungo l’arco di tutta la stagione in Coppa delle Nazioni: abbiamo fatto tanti percorsi con 4 penalità, prestazioni bellissime di certo però senza la fondamentale continuità di percorsi netti. È questo che oggi ci tiene lontano dai primi. Prendiamo il caso della stessa Svezia: hanno stravinto nonostante Malin Baryard con Indiana non abbia brillato come suo solito e nonostante Peder Fredricson con All In abbia chiuso un percorso con 12 penalità, davvero una cosa inusuale per lui… Ma hanno avuto altri due binomi con doppio zero: ed è questo che fa la grande differenza. A Herning poi per noi c’è stato anche l’incidente a Francesca: una cosa che su altri mille percorsi non le accadrebbe di certo mai».
Tre azzurri non avevano mai affrontato un Campionato del Mondo prima nella loro vita: l’emozione può aver avuto un certo peso?
«Per chi non ha ancora molta esperienza nei campionati internazionali il primo giorno è normalmente quello che esercita l’impatto più forte sotto tutti i punti di vista. Ecco perché la prima prova in moltissime occasioni si è rivelata per noi il punto debole: noi uno o due debuttanti li abbiamo ogni volta, ed è ciò che fa la differenza. Invece a Herning i nostri tre esordienti hanno attaccato, hanno fatto il massimo di quello che potevano fare, sono stati bravissimi. Secondo me c’era tutto che stava andando molto bene».
Avendo visto il tipo di percorsi e il tipo di gare, come pensa che si sarebbe comportato il binomio Bucci/Cochello se fosse stato schierato in campo?
«Mah… io non lo so. Per chi sta fuori e guarda senza montare sembra sempre tutto meno complicato: ma se lo dicessi io che sono un uomo di sport e anche di una certa esperienza sarei davvero ipocrita. L’unica cosa certa è che anche io come i miei compagni avrei dato il massimo del mio massimo, però magari avrei fatto peggio del binomio al quale avrei tolto il posto. Diciamo che Cochello è un cavallo abbastanza speciale, non è un cavallo ordinario, non ti fa stare molto tranquillo: se fossi stato io il tecnico avrei sinceramente avuto a mia volta qualche dubbio sull’opportunità di schierarlo o meno in squadra. Allo stesso tempo è pur vero che i suoi risultati parlano chiaro. Vale quindi la regola che dovrebbe stare sopra tutte: parlare stando seduti sul divano a casa o anche in tribuna è sempre troppo facile… ».
A proposito, lei ha detto se fossi stato io il tecnico… Ma lei vede il suo futuro in quel ruolo? Le piacerebbe? Si sentirebbe tagliato per quel compito?
«Assolutamente sì! Però fra tanto tempo, eh… sia chiaro, almeno una quindicina d’anni… !».