Bologna, domenica 22 marzo 2020 – Talvolta nel compimento delle più grandi imprese sportive gioca un ruolo non secondario la casualità: una serie di coincidenze imprevedibili che pilotano il corso degli eventi in una direzione invece che nell’altra. Certo, il destino (o la fortuna, come si suol dire) aiuta gli audaci, ma bisogna anche sapersi preparare bene per ricevere l’eventuale aiuto del destino (o della fortuna): altrimenti nulla accade. Sulla scena del salto ostacoli internazionale l’esempio forse più eclatante di ciò si è avuto nel 1990. Vediamo il perché: si tratta di una bellissima storia…
L’estate di quell’anno a Stoccolma è in calendario un evento che oggi si può già definire storico: la prima edizione dei World Equestrian Games, cioè la disputa del Campionato del Mondo di sei specialità equestri (salto, dressage, completo, attacchi, volteggio e fondo) nello stesso luogo e nello stesso momento, una maratona agonistica dedicata solo ed esclusivamente ai cavalli come non se ne erano mai viste prima. Una manifestazione destinata a collocarsi nella storia dello sport equestre mondiale come lo spartiacque definitivo tra un ‘prima’ e un ‘dopo’. Naturalmente tutte le federazioni nazionali arrivano alla vigilia dell’appuntamento con un bel carico di aspettative e di speranze sulle spalle: un Campionato del Mondo di per sé è un evento della massima importanza, ma qui la posta in palio è ancora più alta grazie alla grandissima concentrazione mediatica che converge su Stoccolma e alla presenza sui terreni di gara svedesi di tutte le componenti tecniche e sportive di massimo livello per ben sei specialità.
La Francia del salto ostacoli giunge a Stoccolma portandosi al collo l’argento del Campionato d’Europa di Rotterdam 1989, il bronzo delle Olimpiadi di Seul 1988, l’argento del Campionato d’Europa di San Gallo 1987 e il bronzo del Campionato del Mondo 1986. Una formidabile serie ininterrotta di medaglie. La star della squadra è indubbiamente il piccolo morellino Jappeloup, campione d’Europa individuale nel 1987 e olimpico nel 1988. Una stella che però si sta inevitabilmente appannando, perché nel 1990 gli anni sono quindici: il c.t. francese Patrick Caron tuttavia non se la sente di escludere dalla formazione titolare il binomio che comunque quell’anno aveva vinto il Gran Premio dello Csio di Roma e che – pur mostrando i segni di un certo logorio – aveva esibito ancora una buona consistenza agonistica. Caron ripropone poi Morgat con Hubert Bourdy (presente anche a Seul 1988 ma non a Rotterdam 1989), fa esordire in squadra in un campionato internazionale Roger-Yves Bost con Norton de Rhuys (4° posto nella finale della Coppa del Mondo di quell’anno) e si affida infine alla sicurezza garantita da Hervé Godignon con La Belletière. Quest’ultima – morellina nata nel 1977 figlia del purosangue Pot d’Or – era stata la migliore della squadra francese nel Campionato d’Europa di Rotterdam dopo Durand/Jappeloup (sesta posizione) con il 9° posto individuale. Il suo rendimento era stato fino a quel momento e per i due anni precedenti sempre molto regolare: un cavallo ideale da squadra, insomma.
Ma ecco l’imprevisto: La Belletière si infortuna proprio alla vigilia dell’evento mondiale. Patrick Caron si vede costretto a impegnare il binomio di riserva, Eric Navet e Quito de Baussy. Un binomio iscritto più per dovere formale, certo non con l’idea di doverlo utilizzare realmente e non perché non ne avesse le qualità potenziali, anzi, ma solo perché il cavallo era ancora molto giovane, essendo nato nel 1982. Dal canto suo l’allora trentunenne Navet è già cavaliere esperto e capace, pur se con un solo campionato internazionale alle spalle fino a quel momento, le Olimpiadi di Los Angeles 1984. Quito in effetti si era già dimostrato un cavallo fuori dall’ordinario: perché a soli sette anni aveva fatto quello che cavalli normali di solito cominciano a fare a nove, cioè Gran Premi internazionali con risultati davvero eccellenti. Ma si sa, un Campionato del Mondo non è certo come un Gran Premio…
L’utilizzo di Quito in squadra suscita qualche perplessità iniziale, pur nella consapevolezza che si tratta di una scelta dovuta a cause di forza maggiore. Ma c’è anche chi è molto ben sicuro del cavallo, cioè Eric Navet: Quito lo aveva allevato e addestrato lui stesso, se lo aveva fatto esordire in Gran Premio a soli sette anni era perché fin dall’inizio della sua preparazione tecnica e agonistica erano risultate chiarissime le sue doti di maturità, di equilibrio mentale, di forza fisica. Navet sapeva di poter davvero contare su Quito anche per un impegno difficile e stressante come un mondiale. Ma certo nemmeno lui avrebbe potuto immaginare quello che poi a Stoccolma sarebbe successo: Eric Navet e Quito de Baussy campioni del mondo individuali e a squadre!
Nato nel 1982 nell’Haras de Baussy, l’allevamento della famiglia Navet in Normandia, Quito è figlio di Jalisco B e di Urgande. Jalisco B (1975-1994) è uno dei figli-gioielli del grande Almé ma la sua fama di straordinario padre si incrementerà a livello mondiale proprio grazie al successo di Quito a Stoccolma. Prova ne sia che il prezzo della sua monta nel 1989 è di 7.500 franchi, mentre dopo il 1990 sale fino ad arrivare a 36 mila (40 mila per le fattrici straniere). Certo non solo per merito di Quito: Olisco, Papillon Rouge, Quidam de Revel, Quel Type d’Elle, Rochet M sono solo alcuni dei grandi campioni che spiccano nella sua progenie. Quito è però quello che ha raggiunto le vette agonistiche più alte, appropriandosi di tutte le qualità migliori del padre (soprattutto una straordinaria forza fisica) e innestandole su una tecnica di salto decisamente migliore e più raffinata di quella paterna. La mamma di Quito, Urgande, nata nel 1975, è figlia di Prince du Cy, a sua volta figlio del grande purosangue Ultimate: l’anno successivo alla nascita di Quito mette al mondo lo stallone Rocky de Baussy, sempre con Jalisco B, ma senza ripetere il formidabile risultato della stagione precedente.
Quito de Baussy si dimostra da subito cavallo di qualità inusuale: come detto, affronta il grande circuito internazionale già a sette anni, dopo una ottima carriera a livello giovanile (a quattro anni 6 netti su 7, a cinque 15 su 17). Pur riconoscendo che il ritmo agonistico del 1989 non è certo paragonabile a quello dei giorni nostri sia per quantità sia per qualità degli impegni, si tratta comunque di un qualcosa di fuori dalla norma. Lo spettacolo che Quito offre a Stoccolma è davvero una meraviglia: forza e prestanza fisica unite a tecnica ed eleganza stilistica, il tutto sapientemente miscelato da un cavaliere destinato a consolidare nel tempo la sua fama di grandissimo fuoriclasse. Quito ha un galoppo arrotondato e arrembante, con un potente movimento del dorso e una incessante spinta del treno posteriore: quando si dirige verso l’ostacolo sembra che lo voglia letteralmente divorare, salvo poi vibrare una portentosa battuta a terra, una battuta quasi rabbiosa, terrificante, e librarsi in aria con un gesto plastico e rotondo dell’incollatura e della schiena, e una flessione simmetrica e massima degli arti anteriori. A Stoccolma ci sono anche Milton e Jappeloup, Darco e Dollar Girl, Gem Twist e Libero H, e si potrebbe continuare ancora con una lista di fenomenali campioni come forse né mai prima né mai dopo un Campionato del Mondo ha sciorinato sullo stesso terreno di gara, ma Quito è quello che emerge su tutti: lui è la sorpresa, lui è la forza, lui è il campione nascente.
Ma se Stoccolma è l’inizio della storia, è il Campionato d’Europa di La Baule l’anno successivo che decreta la vera grandezza di Quito. Perché a Stoccolma in realtà dopo le tre prove affrontate sotto la sella di Navet il figlio di Jalisco è al terzo posto della classifica generale, superato da Gem Twist e Milton. Sarà poi Navet a vincere il Campionato del Mondo nella finale con lo scambio dei cavalli, mettendo magistralmente a frutto la sua bravura di cavaliere e di interprete. Invece a La Baule 1991 va in scena la vittoria perfetta: perché ottenuta davanti al pubblico di casa, perché ottenuta da campione del mondo in carica, perché ottenuta nel primo campionato internazionale dopo quello del ’90, soprattutto perché ottenuta in modo pieno e totale (nel Campionato d’Europa non c’è la finale con lo scambio dei cavalli) dando così se possibile un significato ancor più grande a quella di Stoccolma. Campione del Mondo e campione d’Europa un anno dopo l’altro…
Quito de Baussy in breve entra nella storia del salto ostacoli di Francia. A tutt’oggi è il cavallo francese vincitore del maggior numero di medaglie, ben sei: dopo le due medaglie d’oro di Stoccolma e quella d’oro di La Baule, arrivano il bronzo olimpico a squadre di Barcellona 1992, il bronzo europeo di Gijon 1993 e l’argento mondiale a squadre di L’Aia 1994. E tutto ciò nell’arco di una carriera agonistica relativamente breve: perché il figlio di Jalisco viene ritirato dalle scene nel 1995, per essere totalmente impegnato nella riproduzione (ma la sua prima stagione di monta è quella del 1987). In campo allevatoriale Quito produce un’infinità di cavalli che raggiungono la competizione internazionale, anche se nessuno fino a oggi è riuscito a eguagliare le imprese del padre. Risultato obiettivamente difficile, anche in considerazione del fatto che di Eric Navet non ce ne sono tanti in giro, però è vero che tra i figli di Jalisco è Quidam de Revel quello che si è maggiormente distinto per qualità della produzione. Sul piano sportivo però non c’è confronto: Quito de Baussy è un campione che farà per sempre parte del ristretto gruppo dei fuoriclasse inimitabili.